Vogliamo fare qualcosa per la Siria? Gentiloni prema perché si tolga l'embargo

Di Robi Ronza
23 Febbraio 2018
Il nostro Paese dovrebbe avere il coraggio non solo di chiedere al resto dell’Europa di sospendere l’embargo, ma anche di sospenderlo unilateralmente


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A sentire e a leggere quasi tutti i telegiornali e i giornali più diffusi sembra che in questi giorni in Siria bambini, donne, anziani e altri civili disarmati ed estranei ai combattimenti soffrano, restino feriti o muoiano solo a Damasco nel quartiere di Ghouta Est, roccaforte di milizie per lo più jihadiste in campo contro il governo di Assad. In realtà non è affatto così: in Siria i civili sono sotto le bombe ovunque si combatta perché nessuna forza armata sul terreno si preoccupa di risparmiarli e tutte li usano più o meno come “scudi umani”; o deliberatamente, o perché non sanno come sgombrarli dal teatro degli scontri e un po’ sia per un motivo che per l’altro.
Così è finora sempre accaduto nelle guerre scoppiate nel Vicino Oriente, e così accade anche adesso in Siria. Si aggiunga poi che, malgrado in quella parte del mondo le guerre siano purtroppo da anni un fenomeno ricorrente, sin qui nessuna città dell’area è stata mai dotata di rifugi antiaerei né di adeguati sistemi di protezione civile. Quando Ghouta est non era sotto le bombe dell’aviazione governativa, dallo stesso quartiere venivano lanciati allo stesso modo, ossia a caso, su altri quartieri della capitale siriana razzi che andavano a colpire abitazioni civili causando analogamente distruzioni, dolore e morte di persone inermi. Ovviamente non vogliamo certo dire che vada bene così, ma è così che stanno le cose.
[pubblicita_articolo allineam=”destra”]Le immagini, relative solo a Ghouta est, di madri disperate e di bambini feriti o in stato di shock, che in questi giorni riempiono i nostri giornali e telegiornali non sono altro che episodi di una battaglia parallela dell’informazione che le forze jihadiste schierate contro Assad stanno combattendo con la stessa mancanza di scrupoli con cui combattono la battaglia sul campo. Nel campo dell’informazione l’arma fondamentale è il cosiddetto Osservatorio siriano per i diritti umani (Syrian Human Rights Watch), un organismo con sede in Gran Bretagna che fornisce immagini e notizie rigorosamente a senso unico. Notizie e immagini che tuttavia il  grosso della stampa “illuminata” occidentale ha scelto di prendere come oro colato benché la tendenziosità di tali notizie sia stata più volte dimostrata, e benché sia stato pure dimostrato che in diversi casi le immagini diffuse non erano documenti ma finzioni cinematografiche.
Alla base di tanta benevolenza c’è un intreccio di pregiudizi, di inerzie e di scelte di schieramento non facile da dipanare. Mentre contiamo di parlarne in altra occasione vorremmo invece oggi soffermarci su che cosa in particolare il nostro Paese potrebbe fare per aiutare la Siria a uscire dal baratro in cui venne precipitata nel marzo 2011: quando cioè gli Usa del presidente Obama fomentarono irresponsabilmente una crisi contro il regime di Assad trasformandola in una guerra civile senza sbocchi. Anche noi nel nostro piccolo dicemmo subito, come molti altri, che si stava aprendo un vaso di Pandora (chi desideri verificarlo raggiunga quanto scrivevamo allora inserendo le parole “Siria” e/o  “al Assad” nel motore di ricerca interno di questo sito). Era evidente che sarebbe andato a finire così. Perciò è difficile spiegarsi come mai gli Usa di Obama non lo avessero capito, devotamente seguiti dai governi europei compreso il nostro.
Oggi il groviglio militare e geopolitico in cui si trova la Siria è tale che la pace sembra impossibile. Fermo restando il dovere di cercare vie d’uscite in eventuali negoziati in buona fede tra le parti in lotta, a questo punto a nostro avviso non resta che scommettere sulla forza della società civile siriana, malgrado tutto non ancora annichilita. In tale prospettiva il nostro Paese, che fino allo scoppio della guerra era uno dei principali partner commerciali della Siria, dovrebbe avere il coraggio non solo di chiedere al resto dell’Unione Europea di sospendere l’embargo contro Damasco, ma anche di sospenderlo unilateralmente se necessario. È un embargo che, senza incidere per nulla sulle sorti della guerra e senza affatto mettere in difficoltà il regime di Assad, strozza invece l’economia e affama la gente comune.
Ricevendo lo scorso 21 febbraio dall’Istituto di Studi di Politica Internazionale, Ispi, di Milano il premio annuale che l’ente destina “a personalità che hanno contribuito a rafforzare l’immagine dell’Italia nel mondo”, nel suo discorso il premier Gentiloni si è soffermato sulla politica estera italiana del 2017 e sulle priorità per il 2018, affermando tra l’altro che il Mediterraneo è al centro dei nostri interessi e che il governo da lui presieduto sta «facendo uno sforzo diplomatico e intellettuale sul Mediterraneo» e lavora per tessere «una rete di maggiore dialogo e stabilità nella regione». Se a questo punto Gentiloni prendesse un’iniziativa concreta come appunto la sospensione dell’embargo contro la Siria magari tanta chiaroveggenza e tanto  sforzo diplomatico e intellettuale diventerebbero meno impercettibili.
Foto Ansa – Tratto dal blog di Robi Ronza
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