Vivere a Pechino è come vivere “nella sala fumatori di un aeroporto” (guardare le foto per credere)
Il cielo era terso e di un azzurro splendido a Pechino tra il 5 e l’11 novembre. In quei giorni nella capitale cinese si teneva l’Apec, il summit della Cooperazione economica dell’Asia Pacifico, al quale hanno partecipato i più importanti leader asiatici (più Barack Obama). Per farsi bello e per non mostrare Pechino per quella che è, cioè una delle città più inquinate del mondo, il governo comunista ha preso misure drastiche.
FABBRICHE CHIUSE. Se a Pechino l’aria è irrespirabile, specie in inverno, e il cielo è ricoperto da una spessa coltre grigia simile a nebbia, è a causa di un traffico spaventoso e dei combustibili fossili utilizzati dalle fabbriche onnipresenti in una delle città più selvaggiamente industrializzate e popolate (22 milioni di abitanti) del mondo. In occasione dell’Apec, il governo ha chiuso le fabbriche, ha proibito a metà della popolazione di usare l’auto e ha addirittura garantito ferie pagate a molti lavoratori. Essere un regime a volte conviene e il risultato è stato più che apprezzabile.
«PECHINO È INVIVIBILE». Ma finita la girandola dei potenti, Pechino è tornata tale e quale a prima. E cioè «invivibile». A usare questa espressione è stato niente meno che il sindaco di Pechino, Wang Anshun, parlando al China Youth Daily. «Per avere una città di primo livello, internazionale, armoniosa e vivibile è molto importante fissare un sistema di standard. E Pechino sta cercando di farlo. Ma attualmente, purtroppo, Pechino è una città invivibile».
AIRPOCALYPSE. Anche quest’anno la percentuale di polveri sottili PM 2.5 nell’aria a Pechino è tornata sopra quota 500, cioè a livelli estremamente «pericolosi». Già a quota 300 si riscontrano «danni per la salute». L’anno scorso si era parlato di apocalisse, o meglio «airpocalypse», perché si era superata quota 800, mentre New York viaggiava a quota 19, per intenderci. Quando si arriva a questo punto, «tutta la città assomiglia alla sala fumatori di un aeroporto» e il governo chiede alle famiglie di «tenere i figli a casa da scuola». Tutti devono uscire con la mascherina ma è meglio se non escono affatto (a fianco una foto di Pechino, scattata dallo stesso identico luogo e alla stessa ora, in estate e in inverno).
CAPITALE DEL NORD. Il governo aveva promesso nel 2014 di ridurre di almeno il 5 per cento la percentuale di polveri sottili ma ha toccato solo il 4 per cento. Meglio che niente ma non sufficiente. Secondo l’Istituto americano per gli effetti sulla salute, infatti, in Cina ogni anno almeno 1,2 milioni di persone muoiono prematuramente a causa dell’inquinamento atmosferico. La maggior parte delle oltre 100 mila proteste che si verificano nel paese ogni anno, inoltre, sono dovute a problemi ambientali. L’inquinamento atmosferico, che si verifica tutti gli inverni in Cina, è dovuto soprattutto alla mancanza di politiche ambientali che vietino alle industrie di inquinare in modo sfrenato. Il nome cinese di Pechino spiega bene perché la città è così colpita dallo smog: Beijing (capitale del nord) è situata nella parte settentrionale del Paese, dove i venti in inverno spingono tutte le emissioni inquinanti delle altre grandi città industrializzate.
PROMESSE NON MANTENUTE. A novembre Pechino ha promesso di bloccare l’aumento di emissioni di gas serra entro il 2030. La notizia, sparata in prima pagina da tutti i giornali del mondo a caratteri cubitali, non è stata neanche infilata nei trafiletti in Cina per paura che la popolazione protestasse. Politiche per combattere l’inquinamento, infatti, vengono annunciate ogni anno ma di fatti se ne vedono pochi. Tanto che nel 2013 il cinese Global Times pubblicò un articolo per decantare le qualità dello smog, «che ci rende tutti uguali». L’ultimo piano è stato stilato dall’amministrazione pechinese nel 2013 ma i risultati ancora non si vedono. E non per colpa dello smog.
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