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Visitare i carcerati è un’opera di misericordia (anche verso se stessi). Come ha fatto Sara: «Basta varcare un cancello»

Lettere di una giovane sulla sua giornata in visita ad alcuni detenuti. Le poesie di Antonio, il cammino di Eddy. Le "periferie dell'esistenza" non sono dall'altra parte del mondo. Sono nelle nostre città, vicino a noi

Sara Sacchi
04/07/2013 - 6:30
Società
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Caro direttore,
sono una ragazza di 24 anni, neolaureata in Lettere.

Ti scrivo per raccontarti semplicemente la mia esperienza in carcere (vista l’attenzione ammirevole che Tempi sta dimostrando verso questo luogo) vissuta grazie all’adesione ad un progetto della Diocesi di Pavia, “Giovani e carcere”, ormai in corso da cinque anni.

Giovedì 27 e venerdì 28 giugno io e alcuni amici con cui condivido l’esperienza del movimento di Comunione e Liberazione abbiamo aderito, come l’anno scorso, insieme a circa altri 15 ragazzi della diocesi, a questa iniziativa, organizzata da alcuni volontari e sacerdoti pavesi che operano in carcere. Abbiamo passato due giorni intensissimi con un gruppetto di circa 20 carcerati a Torre del Gallo, casa circondariale della nostra città. Anche quest’anno sono rimasta molto stupita. Ecco ciò che più mi è rimasto nel cuore di questo incontro.

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Innanzitutto mi ha colpito come il dialogare con questi carcerati mi abbia fatto completamente dimenticare che eravamo in una prigione e che loro si trovavano lì per qualcosa di grave che hanno commesso. Chiacchierando con queste persone, infatti, mi sono sembrate proprio come me.

A questo proposito mi ha impressionato come abbiano il mio stesso desiderio di bellezza, di fare bene le cose e di farle pure belle. Per esempio ne abbiamo incontrati due (uno in carcere e uno che usciva il venerdì) che in cella, per passare il tempo, hanno iniziato a fare sculture di stuzzicadenti. Uno ha ricreato la Tour Eifel e un altro ha costruito un battello stupendo, curato fin nei minimi dettagli (ha fatto anche le panchine interne, il dondolo, ha usato i grani di un Rosario per fare i lampioncini). Bisognava vedere la cura e la precisione con cui hanno realizzato questi oggetti: incredibile! È come se ci avessero riversato sopra tutto il loro desiderio di bello; anzi tutta la loro statura di uomini. Davanti a quelle opere d’arte chi si può fermare al fatto che hanno commesso un reato? Dentro a quelle piccole sculture era come se ci fosse un messaggio: “Io non sono la colpa che ho commesso, io sono INFINITAMENTE di più”.

Ho parlato a lungo anche con Antonio. Un signore di 60 anni che scrive poesie e ha anche pubblicato due libretti. Mi ha fatto vedere il suo quaderno perché gli ho detto che sono laureata in lettere. Alcune erano bellissime: sulla libertà, sull’amore per sua moglie e i suoi nipotini, sulle notti in cella. Venerdì, quando l’ho rivisto, gli ho detto: «Buongiorno poeta!». Lui era tutto fiero! Che bello vedere il suo sorriso e il suo orgoglio quando leggevo il suo quadernino.

Bellissima anche la storia di Eddy, un ragazzo venezuelano che avrà avuto 35-36 anni. Ha raccontato a me e ad una mia amica che in Venezuela ha studiato ingegneria (la mia amica studia la stessa materia) e che gli mancano 6 esami e la tesi. Adesso ha ricominciato a studiare da solo in carcere. È specializzato in informatica e praticamente sta studiando la programmazione del pc senza poterlo usare, ma solo facendo schemi sui suoi quaderni. La mia amica era sconvolta perché mi ha confidato che è quasi impossibile studiare programmazione senza computer. Eppure è stato commovente vedere come brillavano di passione gli occhi di Eddy quando parlava dell’ingegneria.

Tanti di loro hanno una nostalgia incredibile delle loro famiglie e anche un desiderio grande di perdono. Alcuni, tipo Eddy, stanno facendo dei percorsi di giustizia riparativa, cioè di dialogo e riavvicinamento ai familiari delle vittime. Eddy ci ha raccontato cose bellissime su questo percorso. Ci ha detto (la cosa bella che non mi dimenticherò era la sua faccia mentre parlava, sprizzava sincerità e commozione… era bellissimo vedere come era libero): «Se io ho spezzato il ramo di un albero, questo rimarrà spezzato. Nessuno potrà cancellare quel danno. Però io posso iniziare ad innaffiare quella pianta e, anche se rimarrà quella ferita, chissà quanti altri rami, fiori cresceranno e magari anche i frutti! Mi succede come diceva Newton (non per niente è ingegnere!): AZIONE E REAZIONE. Se io cammino sorridendo a chi mi viene incontro (azione), quello vedendo il mio sorriso mi sorriderà a sua volta (reazione)». Se uno qualunque leggesse per caso queste frasi crederebbe che le ha dette un carcerato?

Papa Francesco ha da poco incoraggiato noi cristiani ad andare “alle periferie dell’esistenza”. Per ESPERIENZA posso dire: “Io ci voglio tornare in queste periferie”. In carcere, infatti, sono stata non felice, ma di più a regalare a loro il mio tempo, perché ho visto quanto, per i carcerati, siano fondamentali una visita, un cambio di routine, i nostri sorrisi. Non solo: ho capito quante cose noi diamo per scontate. Tra esse una è quella che esistono delle persone che tutti definiscono per un loro sbaglio e che invece sono uomini proprio come me, con i miei stessi desideri. Per andare a trovarli basta varcare un cancello.

L’ultima cosa che ho capito su me stessa è l’esperienza del dono: donare se stessi ci completa. Io sono andata in carcere solo dicendo “sì” ad una proposta e in cambio ho ricevuto tutta la ricchezza che ho appena raccontato.

Ti ringrazio

Sara Sacchi (Pavia)

Tags: carceraticarceriComunione e Liberazionemisericordiaperdono
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