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Via al processo di beatificazione per don Benzi, il prete che «giudicava tutto abbracciando tutti»

Il successore, Giovanni Ramonda, ricorda: «Vestito con la talare entrava nelle discoteche per conoscere i giovani e andava per le strade a raccogliere prostitute e barboni. Dormiva con le scarpe ai piedi»

Benedetta Frigerio
11/11/2013 - 4:00
Chiesa
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La congregazione per le cause dei Santi ha concesso il via libera alla causa di beatificazione di don Oreste Benzi.

«Mia mamma faceva spesso il ricamo ed io, curioso, la osservavo. Chiedevo: “Mamma cosa fai?”. “Adesso non puoi capire, aspetta e vedrai che cosa bella viene fuori”. Poi mi mostrava il lavoro compiuto: “Visto che avevo ragione?”. Da adulto ho rielaborato queste impressioni e mi hanno aiutato a capire che Dio ha un disegno su ognuno di noi, un progetto preciso che però non ci rivela tutto in una volta. Ce lo rivela un passo dopo l’altro. Come faceva mia mamma: un punto qui, un punto là e alla fine emergeva il disegno completo. Lei però il disegno l’aveva già tutto in mente fin dall’inizio. E se io mi fido del grande disegno d’amore, allora entro da protagonista in quella storia preparata da Dio che è padre» (don Oreste Benzi, Con questa tonaca lisa, Guaraldi).

Tempi a Caorle per il Premio Luigi Amicone 2023 - Chiamare le cose con il loro nome Tempi a Caorle per il Premio Luigi Amicone 2023 - Chiamare le cose con il loro nome Tempi a Caorle per il Premio Luigi Amicone 2023 - Chiamare le cose con il loro nome
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È con questi occhi che don Oreste Benzi guardava ogni prostituta, tossico, barbone, orfano, anziano, handicappato. «Era lui ad andare cercarli, cambiando migliaia di cuori, offrendo a ciascuno una famiglia ma soprattutto un senso, questo il significato della nostra comunità di accoglienza». Giovanni Ramonda, oggi alla guida della Comunità Papa Giovanni XXIII, sposato con 12 figli, di cui 3 naturali e 9 accolti, incontrò il sacerdote romagnolo più di trent’anni fa. Fu un colpo di fulmine: decise di lasciare ogni progetto per seguirlo.
All’indomani della notizia dell’avvio del processo di beatificazione per il sacerdote romagnolo scomparso il 2 novembre 2007, il suo successore accetta di raccontare a tempi.it quelle virtù eroiche che la Chiesa gli ha riconosciuto. «Abbiamo chiesto l’apertura dell’iter a cinque anni dalla morte, come previsto dal diritto canonico. Vogliamo scoprire ancora di più chi era don Benzi e farlo sapere al mondo. Crediamo che possa emergere tutta la straordinarietà di un uomo che ha dato ogni attimo della sua esistenza a Cristo attraverso i bisognosi. Saranno i fatti giudicati dalla Chiesa a rivelarne la santità».

Don Benzi diceva: «Quando io incontro il povero in me si rifà presente quel momento in cui ebbi quell’impressione profonda di mio papà che riteneva di non valere niente». E sosteneva che per rendere protagoniste le persone bisogna offrire loro il senso: «Bisogna offrire Cristo». Cosa significa concretamente?
Ripeteva che occorre proporre un incontro con Cristo «simpatetico», non discorsivo. Era gioioso e anche scherzoso se serviva. Era un prete fedele al Magistero, che vestito con la talare entrava nelle discoteche per conoscere i giovani e andava per le strade a raccogliere prostitute e barboni. Così affascinava e attraeva i ragazzi, i senza tetto, i drogati. Ma anche i personaggi famosi, i vip, i cantanti. E così conquistò anche me. Era un veicolo potente della tenerezza di Dio che viene a prendersi cura di ogni uomo. Ricco o povero, sapeva far emergere in ognuno anche l’unica risorsa rimasta, anche se nascosta lui riusciva ancora a vederla.

Come continuate senza di lui?
Era la sua vicinanza al Signore che gli permetteva di essere così. Don Benzi non ha mai attirato nessuno di noi a sé, ci indicava la strada per arrivare a Cristo, attraverso la regola della comunità: fatta di preghiera, messa quotidiana, adorazione eucaristica, vita totalmente condivisa in cui ogni cosa è decisa insieme. Siamo consapevoli che obbedendo al Suo corpo si obbedisce a Cristo. La formazione in comunità è poi legata allo studio del catechismo e agli incontri culturali. Perché, come diceva don Benzi, per stare in piedi davanti al mondo bisogna stare in ginocchio davanti a Dio: questo ci permette di continuare a costruire sulla roccia.

Benzi ha fondato case di spiritualità e di educazione per i giovani, case famiglia, comunità terapeutiche in tutta Italia e in tutto il mondo. Intanto stava con gli ultimi e trovava il tempo anche per lottare per i loro diritti. Come riusciva a rispondere a tutto?
Lo faceva e basta. Ricordo che alla fine ogni giornata, passata per le strade di tutta Italia a raccogliere gente, fare conferenze per sensibilizzare le persone o per cercare di far comprendere alle istituzioni l’importanza della sua lotta, arrivava a casa sfinito e fuori dalla porta c’era sempre qualcuno che lo aspettava. E lui non rifiutava nessuno, non bisognava permettere che qualcuno soffrisse da solo. Per questo dormiva appena qualche ora, seduto su una poltrona con le scarpe ai piedi. Prendendoci uno a uno in 40 anni ha costruito un’opera di migliaia di persone. È così che ha cambiato un pezzo di mondo.

E non ha mai rinunciato nemmeno alla lotta politica, tuonando pubblicamente contro le ingiustizie.
Non gli bastava mettere il braccio sotto le spalle di chi portava la croce: quel braccio bisognava anche toglierlo dalle spalle di chi le croci le produce. Se davvero tieni a una persona fai di tutto! Per questo i cristiani non possono stare in sagrestia, per questo don Benzi faceva pressione sulle istituzioni, sul Parlamento e ha voluto che la comunità si accreditasse all’Onu. Non smetteva di prendere posizione contro le leggi disumane e su ogni fatto che accadeva legato all’aborto, alla prostituzione, ai diritti dei poveri e dei malati. Così continuiamo a fare noi, giudicando e abbracciando ogni particolare del mondo.

Benzi diceva che vivere veramente con i poveri è possibile solo per chi sta del tutto con il Signore. Che cosa aveva da offrire agli ultimi?
Da quello che diceva e faceva si capiva che la sua non era una risposta sociologica alla povertà. Sapeva che gli ultimi avevano bisogno prima di tutto di quello di cui aveva bisogno lui: l’amore di Cristo. Infatti spendere tutta la vita per chi necessita di ogni cosa, non parlare genericamente della povertà o fare un po’ di volontariato, richiede la capacità di vedere Dio nel povero. Così quanti vengono accolti dalla comunità spesso vogliono conoscere il Signore, capiscono che ciò che attendevano prima di incontrarci era innanzitutto Lui.

Siete laici che lavorano nel mondo eppure vivete un’esistenza che sembra impossibile oggi: conciliate lavoro, ospitalità e impegno pubblico. È una vita possibile per tutti?
È una vita impossibile per chi sta da solo. Noi invece possiamo abbracciare tutto senza rinunciare a nulla perché siamo insieme. Vivere così, nella semplicità, pregando e lavorando, ci rende felici. Lo dico dopo trent’anni. E molti vedendoci lo capiscono.

Avete 253 case famiglia solo in Italia, 20 comunità di recupero, diverse case di spiritualità, dimore per i senzatetto. Se si contano quelle all’estero si oltrepassano le 500 strutture con 41 mila persone riunite ogni giorno intorno alle vostre tavole. Come si è potuta espandere un’opera simile in così pochi anni?
Fa impressione anche a noi vedere come in quarant’anni questa esperienza abbia contagiato tanta gente che ha scelto di vivere in comunità. Significa che don Benzi aveva ragione: tutti aspettano di incontrare il senso della vita e di darla interamente per questo.

@frigeriobenedet

Tags: AbortoChiesaComunità Papa Giovanni XXIIICristianicristodiodon oreste benziFamigliafedegesùgiovanni ramondamalatiONUpoveripovertàprocesso beatificazioneprostituzionevolontariato
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