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Home Economia

Così la vaghezza della Bce lascia l’Italia in balìa dello spread

Perché, dopo l’aumento dei tassi, i mercati sembrano credere di più alla durezza dei tedeschi sul nostro debito che alle contromisure annunciate da Christine Lagarde

Daniele Forti
25/07/2022 - 6:30
Economia
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Christine Lagarde
Christine Lagarde, presidente della Bce (foto Ansa)

Lo scorso giovedì 21 luglio il Consiglio dei governatori della Bce ha deciso di aumentare i suoi tre tassi di riferimento per la prima volta dal 2011. La misura dell’aumento è di mezzo punto percentuale; si passa da tassi negativi a tassi positivi, in particolare il tasso sui depositi di liquidità presso la Bce passa da -0,50 a 0,00 per cento. Si è voluto in questo modo segnalare al mercato la forte determinazione con la quale la Banca centrale perseguirà il suo obiettivo di combattere l’inflazione, che ha raggiunto in giugno il livello dell’8,2 per cento su base annua.

L’importanza degli impegni verbali

Nel fare ciò la Banca centrale non ha osservato le indicazioni che aveva dato al mercato nel recente passato, quando aveva in un primo tempo abbandonato la linea a lungo sostenuta di non fare nulla perché l’inflazione si sarebbe domata da sola; in un secondo tempo aveva lasciato intendere che avrebbe gradualmente aumentato i tassi di interesse; pochi giorni prima della sua riunione aveva lasciato trasparire che l’aumento avrebbe potuto essere più sostanzioso; giovedì il mercato si è trovato di fronte non solo un aumento di mezzo punto, ma la decisione di non fornire indicazioni sulle sue future decisioni, ciò che in gergo si chiama “guidance”. Tutte le future decisioni saranno pertanto prese nei vari incontri mensili sulla base dei dati disponibili al fine di raggiungere l’obiettivo di un tasso di inflazione del 2 per cento nel medio periodo.

Di fatto il lavoro di una banca centrale in genere è costituito per il 98 per cento da comunicazioni di visioni e di intenzioni, e per il 2 per cento di decisioni. È rimasto esemplare l’impegno preso da Mario Draghi da poco al timone della Bce di fare tutto ciò che sarebbe stato necessario («whatever it takes») per salvare l’euro. Fu sufficiente per calmare i mercati per mesi, fino a quando concrete misure furono adottate anche contro il parere della Bundesbank. Rappresentò un grande insegnamento per tutti i banchieri centrali riguardo all’importanza degli impegni verbali: quando questi sono detti con autorità, sono presi sul serio dai mercati e diventano immediatamente efficaci.

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L’inflazione era in vista da oltre un anno

Ora gli investitori sono confusi e la credibilità delle istituzioni è messa ulteriormente alla prova. Per chi era a contatto col mondo dell’economia reale, i primi segnali di forti rincari dei prezzi delle principali materie prime, componenti e semilavorati erano emersi chiaramente fra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera del 2021. Subito dopo è venuta la consapevolezza che tutto il sistema dei trasporti marittimi internazionali era in crisi.

Ci si trovava di fronte non solo ad aumenti di prezzi, bensì alla impossibilità di ottenere consegne tempestive di quasi tutti i beni (compresi quelli di investimento come i macchinari) a qualunque prezzo. È stato relativamente facile per molti governi chiudere in quarantena decine di milioni di persone nei propri paesi e fermare le attività produttive. Per chi vive staccato dalla realtà è sempre difficile comprendere quanto sia oneroso far ripartire una sola fabbrica; figurarsi intendere come possa ripartire un intero sistema produttivo.

Bce disarmata davanti alla fiammata dei prezzi

Le difficoltà della ripartenza sono state e sono tuttora particolarmente gravi in Europa rispetto agli Stati Uniti, a causa della debolezza e della frammentazione delle varie economie nazionali. Il fatto è che la Bce è disarmata di fronte al problema dell’inflazione e del recupero delle economie dell’area euro dalla pandemia e dagli effetti della guerra in corso in Ucraina. La fiammata dei prezzi (dell’energia in particolare come quella dei beni alimentari) non si cura certo aumentando i tassi di interesse, poiché le sue cause risiedono sul lato dell’offerta, non sono certo determinate da un eccesso di domanda. Alla recessione che è già in atto si rischia di aggiungere altri problemi.

Ad esempio, sui i prezzi dell’energia ha avuto un maggiore impatto (negativo) la decisione presa a maggioranza dal parlamento tedesco di confermare la chiusura delle sei centrali nucleari ancora attive nel paese. Esse generano il 6 per cento dell’energia per la Germania. Così in Italia c’è stato inadeguato impegno nel risolvere i problemi legati alla riattivazione delle centrali a carbone, all’installazione di nuovi rigassificatori, alla ripresa della attività di estrazione di idrocarburi. Le esitazioni del ministro Roberto Cingolani ne sono la raffigurazione plastica.

Lo strumento “anti frammentazione”

La seconda decisione presa dalla Bce nella sua ultima riunione riguarda la creazione di un nuovo strumento di politica monetaria, chiamato Transmission Protection Instrument (Tpi), in precedenza definito strumento anti frammentazione. Lo scopo dichiarato è quello di consentire un’efficace trasmissione delle decisioni di politica monetaria sulla via della sua normalizzazione: se i tassi di interesse nei vari paesi dell’area euro prendessero strade divaricanti (come purtroppo sta accadendo), la politica monetaria della Bce non sarebbe efficace. È sotto gli occhi di tutti l’aumento dei tassi di interesse in Italia, dove le nuove emissioni di Btp avvengono a tassi di poco inferiori al 4 per cento e il divario rispetto ai tassi sui Bund tedeschi di pari scadenza ha raggiunto i 230 punti base circa.

Lo strumento potrà essere attivato senza limiti a priori per contrastare dinamiche di mercato disordinate e ingiustificate; la Banca centrale potrà effettuare acquisti di titoli di Stato sul mercato secondario (non titoli di nuova emissione, perché ciò verrebbe considerato un indesiderato sostegno a politiche di bilancio espansive), in paesi in cui si possa verificare un deterioramento delle condizioni finanziarie non giustificato dai “fondamentali” specifici di quel paese.

Da «whatever it takes» a «whatever it wants»

La attivazione è tuttavia soggetta alla verifica di condizioni pesanti nei confronti dei paesi interessati: osservanza delle direttive Ue in materia di bilanci pubblici; assenza di procedure per deficit di bilancio eccessivo; assenza di gravi squilibri macroeconomici; adozione di sane e sostenibili politiche di bilancio; rispetto degli impegni assunti in relazione al Pnrr. L’attivazione è comunque soggetta al giudizio insindacabile del Consiglio dei governatori.

Lo strumento Tpi si aggiunge all’Omt (Outright Monetary Transaction), che fu creato a suo tempo da Draghi e non è mai stato attivato perché presuppone l’intervento del Mes. Si aggiunge anche alla dichiarata flessibilità nel reinvestimento delle quote capital dei titoli acquistati a suo tempo in base al Pepp e giunti a scadenza. Quest’ultima è la sola cosa concreta e già parzialmente in funzione da qualche settimana.

In sintesi, la Bce ha dichiarato per bocca di Christine Lagarde che intende fare ciò che vorrà nei tempi che riterrà opportuni. Il quotidiano americano Wall Street Journal ha commentato che la Bce è passata da «whatever it takes» a «whatever it wants». I mercati hanno preso queste decisioni con scetticismo e vanno per la loro strada. Nella conferenza stampa che è seguita alla riunione della Bce, diversi giornalisti hanno chiesto a Lagarde se questo strumento si applicherà per ridurre lo spread dei Btp italiani, senza ottenere alcuna risposta diretta.

La funesta profezia tedesca

Se la Bce non fa adeguata comunicazione finanziaria, c’è qualcuno che invece la fa chiaramente. L’attuale governatore della Banca centrale tedesca Joachim Nagel ha fatto dichiarazioni lo scorso 4 luglio in occasione del Frankfurt Euro Finance Summit. Si è dapprima mostrato sorpreso che la sospensione delle clausole di deviazione dalle regole fiscali (i tristemente famosi parametri di Maastricht) sia stata estesa al 2023, perché ciò potrebbe rafforzare, a suo dire, l’impressione che le regole fiscali non saranno più vincolanti in futuro.

Si è quindi impegnato a negare che ci sia la necessità di strumenti di politica monetaria che limitino i premi sul rischio paese, poiché sarebbe «virtualmente impossibile stabilire per certo se uno spread che si sta allargando è giustificato dai fondamentali» («it is virtually impossible to establish for sure whether or not a widened spread is fundamentally justified»). Ha continuato dicendo che «strumenti inusuali di politica monetaria per combattere la frammentazione possono essere giustificati solo in circostanze eccezionali e in base a condizioni definite in maniera ristretta». Ha quindi concluso dicendo che «è cruciale che gli Stati membri continuino ad essere incentivati a condurre le loro finanze in una maniera sostenibile e riducano i loro debiti».

Se persone considerate autorevoli continuano a comunicare al mercato che alcuni Stati membri ritenuti eccessivamente indebitati corrono il rischio di fallire, è inevitabile che il mercato ci creda e scommetta al ribasso sui titoli di quegli Stati, realizzando le funeste profezie.

Tags: bcechristine lagardeinflazionemario draghitassi di interesseUnione Europea
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