Vade retro ruiniano
Il cardinale Ruini ha davvero colto nel segno se, trascorsi ormai più di venti giorni dalla sua intervista ad Aldo Cazzullo sul Corriere, negli ambienti del cosiddetto “cattolicesimo democratico” ancora se ne parla per evitare che i cattolici votino Salvini. Lo ha fatto ieri il sociologo Mauro Magatti sul Corriere in un commento intitolato “La questione cattolica nell’epoca dei cambiamenti”.
Ruini il “berlusconiano”
Scrive Magatti che «l’intervista del cardinale è diventata per la Lega l’occasione per conquistare quote importanti di voto “cattolico”» (quote che, in realtà, come segnalano diversi sondaggi, sono “già” leghiste). Secondo il professore esistono due atteggiamenti dei cattolici nei confronti della politica.
Il primo, quello “ruiniano”, è così descritto:
«Il primo ritiene che gli interessi (materiali e spirituali) della religione vengano meglio difesi da un accordo con quella parte del potere politico che si dimostra più orientata ai valori della fede. Almeno a parole. È stato così, ad esempio in Italia nel momento in cui è finita l’esperienza della Dc. Con l’avvento di Berlusconi la Chiesa italiana — guidata dalla Cei di Ruini — ha scambiato consenso politico per l’attenzione ad una serie di questioni: la difesa della scuola privata e della famiglia, la resistenza all’aborto e alle coppie gay, la presenza dell’insegnamento religioso nelle scuole, la conservazione dell’8×1000. Che una tale posizione abbia giovato alla Chiesa o all’Italia è onestamente molto dubbio. E non per caso. Detto che i processi della modernità si svolgono prevalentemente altrove, in un Paese a matrice cattolica un accordo di questo tipo finisce per mortificare lo sforzo che occorre sempre fare: capire quei processi e rielaborarli nel proprio particolarissimo codice socio-culturale. Per il bene del Paese (nel nostro caso, l’Italia) e della Chiesa».
Il lievito nel mondo che cambia
Il secondo, quello del cattolicesimo democratico, ha invece «l’ambizione», all’interno della modernità, di portare un pensiero cattolico che
«debba sempre sforzarsi di essere il lievito nel mondo che cambia. Di essere, cioè, con forme e modi sempre diversi, un soggetto capace di aiutare la polis a trasformarsi e a superare le proprie contraddizioni attingendo alla sapienza dei principi evangelici. E lasciando alla Chiesa la responsabilità dell’evangelizzazione».
È chiaro, quindi, dove vadano le simpatie di Magatti. Da un lato, infatti, abbiamo una Chiesa che si fa ancella del potere pur di ottenere qualcosa, una Chiesa che «sposterà una parte del voto cattolico, specie anziano» (sic!) e che se infischia delle «posizioni di papa Francesco». Dall’altra, invece, non c’è la “Chiesa di sinistra”, ma i cattolici di buona volontà, che hanno il compito e l’ambizione di dover «ridisegnare un modello di sviluppo oggi in grave difficoltà».
Ponendosi, s’oppose
Messa così, che gli volete dire al sociologo? Se da una parte ci sono i buoni e dall’altra i cattivi, è chiaro da che parte occorra stare. Ma il ragionamento è inficiato da almeno due pregiudizi: il primo è la lettura che il periodo di presidenza ruiniana abbia segnato la stagione del collateralismo della Chiesa al potere politico berlusconiano. È una lettura superficiale perché, come spiega lo stesso Ruini a Cazzullo,
«senza mitizzarla, quella strada ha portato dei frutti. Si è trattato di sottolineare contenuti molto importanti, non solo per i cattolici, e di chiedere alle forze politiche di impegnarsi su di essi, o almeno di non contrastarli. Questa linea ha avuto maggiori adesioni nel centrodestra, ma ne ha trovate anche nel centrosinistra».
Infatti, andò esattamente così. La presidenza Ruini pose sul tavolo una serie di temi e su di essi chiamò al confronto tutti: laici e cattolici, di destra e di sinistra. La battaglia sulla legge 40, da questo punto di vista, è un ottimo esempio. Su temi di natura antropologica convogliarono intelligenze, esperienze e sensibilità molto differenti: dalle parrocchie ai movimenti, dagli intellettuali conservatori a quelli progressisti, fino ai cosiddetti “atei devoti” alla Ferrara. Ruini certamente “si pose” e dunque “s’oppose”, ma il suo intento non fu mai “barattare” i valori con i voti, restringendo il suo campo d’intervento ad un solo schieramento politico, ma di porre delle questioni di natura razionale (dunque comprensibili a tutti) che il magistero della Chiesa ritiene cruciali per ogni uomo, sia esso cattolico o meno.
Il secondo pregiudizio
Che quella stagione abbia segnato e interpellato maggiormente il popolo cattolico “di destra” (che brutta espressione, perdonate la brutale semplificazione) è un fatto innegabile e su questo Magatti ha ragione. Ha ragione, ma farebbe bene a farsi qualche domanda. Il secondo pregiudizio che infatti inficia il suo ragionamento riguarda esattamente questo punto e cioè che il cattolicesimo democratico sia puro come acqua di fonte e che i suoi esponenti non facciano mai politica, non si sporchino le mani, ma si limitino a essere “lievito” che fa crescere la consapevolezza democratica e cattolica in un campo di sinistra per sua natura più ricettivo.
Speriamo in un premier laico
Ma va là, ma dove? È vero il contrario. Per stare solo a esempi recenti e non tornare indietro fino ai cattolici del sì al divorzio e all’aborto, basti ricordare che la coppia Prodi-Bindi fu quella che teorizzò il cattolicesimo adulto che voleva i Dico, e lo scout Renzi è quello che ci ha dato le unioni civili (dopo aver sfiliato, quando gli conveniva, al primo Family day). La verità è che, per un cattolico che speri che le istanze della dottrina sociale siano almeno accolte in politica, è meglio che al potere ci sia un laico piuttosto che un cattolico democratico. La retorica del lievito in Italia non ha portato altri frutti che leggi completamente opposte all’antropologia cristiana.
«Sono un cattolico adulto»
Ruini ne era così consapevole che reimpostò i rapporti con il potere su un altro piano, cioè quello dei “principi non negoziabili” di ratzingeriana memoria che non sono i dogmi talebani che la pubblicistica di sinistra ha sempre osteggiato, ma quei punti irrinunciabili d’umanità senza i quali qualsiasi esperienza non può definirsi tale. Su questo chiamò alla sfida tutti e a questa sfida il cattolicesimo democratico s’è sottratto per scelta, la stessa scelta che rivendicò Prodi con la famosa intervista in cui motivò la sua partecipazione al referendum sulla legge 40 del 2005: «Sono un cattolico adulto e vado a votare».
La dipendenza dalle onde del mondo
È questa retorica, così come quella del lievito, ad aver reso irrilevanti i cattolici. Perché come spiegò Benedetto XVI
«si parla di fede adulta emancipata dal magistero come se, in quanto cresciuto, debbo emanciparmi dalla madre. Ma il risultato è la dipendenza dalle onde del mondo, della dittatura dei mezzi di comunicazione, della opinione comune, del modo che tutti pensano e vogliono». Al contrario occorre «liberarsi da questa dittatura per liberarsi davvero. Dobbiamo essere emancipati in questo senso, con una fede realmente adulta che vede e fa vedere la vera realtà adulta in comunione con Cristo. Essere veri nella carità e nella verità».
Lievitate solo le loro carriere
La verità è dunque, come hanno già ben spiegato su Tempi Rodolfo Casadei e Matteo Forte, che «Ruini non ha difeso Salvini, ma il popolo cristiano» (al contrario di tanti cattolici democratici che hanno usato del loro moderatismo sempre pronto al compromesso per diventare presidenti di fondazioni, sindacati, giornali, banche, partiti. Fino alla poltrona di presidente del consiglio. L’unica cosa che è “lievitata” sono le loro carriere).
Non si tratta quindi di sposare Salvini o barattare un endorsement per qualche attenzione in più sull’8×1000. Si tratta di non demonizzarlo, così come fanno tanti uomini di Chiesa, chiedendogli di «maturare» e di non limitarsi a sventolare rosari in piazza. E soprattutto chiedergli di andare oltre gli slogan, cosa che, finora, non ha mai fatto.
Foto Ansa
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