Si è conclusa la vicenda giudiziaria della sorella gemella del piccolo Gammy, il bambino nato attraverso l’utero in affitto in Thailandia e abbandonato dalla coppia pagante perché affetto dalla sindrome di Down. Il caso, che aveva fatto scalpore nel 2014, aveva scatenato una gara di solidarietà per aiutare la madre del piccolo e spinto la donna a chiedere l’affido anche della figlia, tornata invece in Australia con i richiedenti.
MOLESTATORE SESSUALE. Il motivo per cui Pattaramon Chanbua, la madre surrogata, ha fatto causa alla coppia chiedendo l’affido della sorella gemella di Gammy è la scoperta dei trascorsi del padre con la giustizia. David Furnell, 58 anni, ha infatti passato in carcere negli anni 90 tre anni per aver molestato sessualmente tre minorenni.
«RISCHIO MOLTO BASSO». Il giudice Stephen Thackray ha stabilito che la bambina, Pipah, potrà continuare a vivere con il padre e la compagna Wendy Li, invece che con la madre e il fratello gemello. Secondo la sentenza, «c’è un rischio molto basso che Pipah possa essere abusata [dal padre] se resta con lui». Nonostante il rischio sia «molto basso», il giudice ha ugualmente ordinato che l’uomo non possa mai restare da solo con la figlia: potrà passare del tempo insieme a lei solo se in compagnia della compagna o degli assistenti sociali.
LA STORIA A FUMETTI. Inoltre, sempre per decisione del giudice, alla bambina come forma di precauzione dovrà essere letta ogni tre mesi una «storia a fumetti», appositamente preparata dai servizi sociali, che le spieghi, con un linguaggio adeguato alla sua età, perché non può passare del tempo da sola con suo padre. Attraverso il racconto, Pipah dovrà conoscere «la storia e i metodi» usati dal padre per le molestie sessuali.
FRAINTENDIMENTI. Il giudice Thackray ha anche criticato la «foga mediatica» con cui i giornali si sono occupati della vicenda, secondo lui eccessiva, e ha affermato che «non è vero che la coppia ha abbandonato» il piccolo Gammy. Il magistrato ha infatti creduto alla versione di Furnell, che avrebbe capito che la madre surrogata voleva a tutti i costi tenere per sé il bambino down e non la sorellina sana. Però, ha concluso il giudice, inserendo l’ultimo tassello di una sentenza alquanto contraddittoria, non ci si può sorprendere che accadano simili fraintendimenti «quando il corpo di una donna viene affittato a beneficio di altri».
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