
La guerra per l’egemonia tra Usa e Cina si vince sui mari

La geopolitica conta più dell’ideologia. Progressismo e conservatorismo evaporano davanti agli imperativi che la collocazione geografica impongono soprattutto alle grandi potenze. L’allentamento dei rapporti coi paesi europei della Nato e il rafforzamento di quelli coi paesi del Pacifico e dell’Asia da parte degli Stati Uniti non dipende dagli orientamenti politici di questo o di quel presidente, ma da fattori obiettivi relativi alla potenza americana. Che le clamorose mosse di Joe Biden in Afghanistan e nei rapporti con l’Australia si muovano sullo stesso solco (snobbare gli alleati europei, America first) tracciato dal suo nemicissimo predecessore Donald Trump, sorprende solo chi legge le dinamiche della politica internazionale con gli occhiali dell’idealismo e dell’irenismo, cose che vanno bene nelle campagne elettorali europee e nelle prolusioni di Ursula von der Leyen, ma non nella realtà delle relazioni fra gli stati, segnate dai rapporti di forza.
Gli oceani sono la vera chiave
Come ha spiegato George Friedman su Limes, gli Usa sono una potenza marittima che non teme minacce da terra: il paese non sarà mai attaccato dal Canada o dal Messico, mentre deve guardarsi dai pericoli in arrivo dai due oceani, Atlantico e Pacifico, che potrebbero diventare improvvisamente troppo stretti. Gli oceani sono lo spazio strategico che permette agli Stati Uniti di essere la superpotenza egemonica, grazie a una munitissima flotta di navi da guerra e sommergibili nucleari, e a un supporto aeronautico e aerospaziale di assoluta avanguardia.
La Nato l’oceano ce l’ha nel nome, perché la sigla significa Organizzazione del Trattato dell’Atlantico settentrionale, ed è stata voluta dagli Usa per impedire che avesse successo il tentativo egemonico sovietico in Europa (dopo che era stato sventato quello germanico nazista), che avrebbe consegnato all’Urss il controllo del canale di Suez e dello stretto di Gibilterra e la proiezione nell’Atlantico.
La Nato conta sempre meno per l’America
La Guerra fredda è stata vinta dall’Occidente grazie alla deterrenza nucleare e alla crescente debolezza economica del blocco orientale a fronte della crescita di prosperità nell’Europa occidentale, e oggi le cose non sono cambiate sostanzialmente dalla situazione che si è determinata nel 1989: la Russia è economicamente debole e la sua forza militare è assorbita in conflitti “difensivi” come quelli in Siria e Ucraina, paesi che facevano parte della sua sfera di influenza al tempo dell’Unione Sovietica e dove Mosca ha perso posizioni a vantaggio della Turchia, degli Usa e della Ue.
La Russia fatica a contenere la penetrazione turca nel Caucaso, quella cinese nelle repubbliche asiatiche ex sovietiche, quella europea in Ucraina e Bielorussia: lo scarso surplus economico del paese è interamente assorbito dagli sforzi per non perdere ulteriori posizioni in Crimea, in Bielorussia, in Siria. Regno Unito e Unione Europea (soprattutto se quest’ultima aumenterà la spesa militare e si doterà di forze armate integrate) appaiono in grado di contenere la minaccia russa senza bisogno di un aumentato impegno americano. La Nato passa perciò in secondo piano agli occhi dell’America, mentre si rende indispensabile un suo equivalente nel quadrante Asia-Pacifico.
La Marina cinese è superiore a quella Usa
L’attuale spesa militare cinese è solo un quarto di quella americana (209 miliardi di dollari contro 753,5), ma da qualche anno la flotta militare cinese ha superato quella degli Stati Uniti, e il gap si sta allargando: l’anno scorso Pechino disponeva di 360 navi da guerra, contro 297 americane. La volontà cinese di dominare i mari è palese. L’interesse degli Usa a impedirlo altrettanto. Gli Usa hanno iniziato la rincorsa, ma le proiezioni danno per il 2025 una flotta cinese di 400 navi da guerra contro una americana di 355: il divario resta sostanziale, e questo spiega una mossa come quella dello scippo ai danni della Francia del contratto per la fornitura di sommergibili atomici all’Australia; poiché da soli gli Usa faticano a tenere dietro all’escalation militare navale cinese, occorre coinvolgere alleati nell’area asiatico-pacifica, col doppio vantaggio di aumentare grazie alla coalizione la capacità di contenimento e di rientrare dalle proprie spese militari grazie ai profitti delle vendite di armamenti agli alleati.
Lo sgarbo ai francesi è perfettamente logico: paese europeo, la Francia non ha interesse al contenimento della Cina, con la quale anzi si cercano di avere scambi economici reciprocamente vantaggiosi (magari concedendo troppo, come nel caso dell’Accordo sugli investimenti fra Ue e Cina, che ha irritato a suo tempo Joe Biden perché concluso dalla Merkel e da Macron quando la sua amministrazione non era ancora entrata in carica): la geografia la chiama a sorvegliare Russia e Turchia, e secondo gli americani è a questo che i francesi devono dedicarsi. Vitale è invece il controllo degli oceani per un’altra potenza marittima che vuole tornare ad essere tale come azionista di minoranza di un consorzio anglosassone: il Regno Unito, che è il benvenuto in ogni alleanza asiatico-pacifico anticinese. C’è l’onta di Hong Kong da vendicare…
Foto Ansa
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