La visita di Mario Draghi negli Stati Uniti e il colloquio con Joe Biden non sono stati esattamente quel successo che alcuni giornali, come Repubblica o Corriere, descrivono. Il tentativo del premier italiano di fare da ponte tra le esigenze dell’Unione Europea in Ucraina e gli obiettivi americani, una vera mission impossibile, non è riuscito. Se Draghi infatti, pur concordando sulla necessità di sostenere l’Ucraina e fermare l’aggressione di Vladimir Putin, ha chiesto al presidente Usa di ricercare «la pace, un cessate il fuoco e negoziati credibili», Biden ha delineato una strategia completamente diversa: produrre un fallimento strategico del leader russo, indebolirne il regime per renderlo quantomeno inoffensivo fino «alla vittoria dell’Ucraina». Quindi nuove armi e nuove sanzioni. In questa strategia è evidente che non c’è alcuno spazio per le richieste fatte da Draghi.
Gli obiettivi di Usa e Ue sono diversi
Come scrive in un commento Domenico Quirico sulla Stampa, gli obiettivi di Stati Uniti e Unione Europea non coincidono. Quando Emmanuel Macron parla di «negoziare sul serio» ha in mente paletti precisi: «Salvare l’indipendenza dell’Ucraina, non quella di prima del 2014 ma quella di prima del 23 febbraio, data dell’invasione russa. Accettando quindi la spiacevole necessità di negoziare con Putin visto che sembra saldo al Cremlino nonostante i fervidi auspici di tirannicidio; e riducendo le pretese di Zelensky di fantascientifiche “revanche”».
Gli americani invece, continua Quirico, «sono passati dal progetto di un modello Afghanistan anni Ottanta, limare con una lunga guerriglia ucraina il regime di Putin, alla più radicale tentazione di spazzare via la potenza russa come pericolo permanente». Insomma, «altro che umiliazione, una seconda “katastrojka” questa volta militare e non economica e di sistema come l’89 sovietico».
Se per gli americani questo è «l’unico happy end della guerra criminale di Putin in Ucraina», per l’Europa «questa guerra è una sciagura che bisogna tentare di esorcizzare sveltamente».
«Gli Usa azzoppano la diplomazia»
In realtà, anche gli americani si stanno accorgendo che «la guerra in Ucraina è entrata in una nuova fase». Tom Stevenson sul New York Times ha ammesso che «gli Stati Uniti e i suoi alleati hanno cambiato la loro posizione» rispetto all’inizio del conflitto: «All’inizio il sostegno occidentale aveva l’obiettivo di difendere l’Ucraina dall’invasione. Ora l’ambizione è più grande: indebolire la Russia stessa. Presentata come una risposta di senso comune all’aggressione russa, questo spostamento è di fatto un’escalation significativa».
Aumentando infatti il sostegno armato e di intelligence all’Ucraina e «azzoppando ogni tentativo diplomatico di fermare i combattimenti, gli Usa e i suoi alleati hanno aumentato di molto il rischio che il conflitto deflagri in qualcosa di più vasto. Si stanno prendendo un rischio che va molto oltre ogni realistico guadagno strategico».
L’America ha già ottenuto vantaggi
Durante le prime settimane della guerra, continua Stevenson, che ha realizzato reportage nel bel mezzo del conflitto, «neanche i nazionalisti ucraini» parlavano di riconquistare tutto il paese, comprese le parti perdute nel 2014. Mosca, aggiunge, si è già indebolita e «il riarmo dell’Europa al servizio della potenza americana dovrebbe già rappresentare un successo sufficiente per gli Stati Uniti».
Ecco perché l’amministrazione Biden dovrebbe convincersi della necessità di tornare al tavolo delle trattative, dal momento che «più la guerra si prolunga, più l’Ucraina subisce danni e più aumenta il rischio di un’escalation», anche nucleare.
«Ci dirigiamo verso una guerra diretta»
Quella di Stevenson non è l’unica voce che, dall’interno degli Stati Uniti, consiglia a Biden e agli alleati occidentali di cambiare strategia in Ucraina. Con un editoriale sul New York Times, pochi giorni fa Thomas Friedman ha scritto parlando dello scoop sul ruolo dell’intelligence americana nell’uccisione di una decina di generali russi e nell’affondamento dell’incrociatore russo Moskva: «Questa fuga di notizie suggerisce che non stiamo più combattendo una guerra indiretta contro la Russia, ma ci dirigiamo verso una guerra diretta – e nessuno ha preparato il popolo americano o il Congresso per questo».
Se il coinvolgimento diretto degli Usa e dell’Europa nella guerra contro Putin è quanto di meglio possa sperare Zelensky, «io, da cittadino americano, vorrei che fossimo più cauti», senza trasformare l’Ucraina «in un protettorato americano alle porte della Russia». Infatti un conto è aiutare Kiev a difendersi, un altro è «innamorarci dell’Ucraina in modo da rimanere intrappolati laggiù per sempre. Sarebbe l’apice della follia».
L’Europa affermi la sua identità
Se anche gli americani iniziano a mettere in dubbio la politica dell’amministrazione Biden, perché non dovrebbe farlo l’Europa? E perché farlo dovrebbe essere tacciato di antiamericanismo? Riprendendo il commento di Quirico, «se gli europei avranno il coraggio collettivo di affermare che gli americani in Ucraina stanno sbagliando a proporre questa vittoria totale, l’Unione compirà l’atto identitario decisivo per diventare quella che ancora non è, ovvero una presenza di qualche rilievo sulla scena mondiale».
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