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Autoritarismi contro democrazie liberali. I nuovi cardini dell’ordine mondiale

La guerra in Ucraina e la paura dei nemici possono spingere l’Occidente a riunire ciò che era diviso, rinsaldare le identità comuni, ridefinire i confini tra chi è amico e chi no

Lorenzo Castellani
28/02/2022 - 6:27
Esteri
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Ucraina, soldati riposano nei dintorni di Kiev
Soldati ucraini riposano nei dintorni di Kiev (foto Ansa)

Sfugge ancora l’opportunità che questa guerra tragica porta con sé, che è la possibilità di ricostruire l’ordine mondiale su nuovi cardini. Partire dai classici è sempre una buona idea. Scrive, dunque, Sallustio nel Bellum Iugurthinum: «Del resto da qualche anno a Roma era invalso l’uso delle lotte tra i partiti e gruppi di potere: da esse derivò il malcostume. Vi contribuirono la pace, il benessere, al quale gli uomini tengono più d’ogni altra cosa; laddove prima della distruzione di Cartagine popolo e Senato si dividevano il governo della Repubblica con misura, con moderazione e tra i cittadini non esisteva competizione di gloria né di potere, la paura dei nemici teneva il popolo sul retto cammino».

L’opportunità di superare il disordine

La paura dei nemici, il metus hostilis, può unire ciò che è diviso, preservare la deriva civile. Questo oggi può valere per un mondo occidentale, euro-atlantico, che è stato scosso dagli attriti derivanti dalla globalizzazione negli ultimi quindici anni, quando si è affacciata l’ultima crisi finanziaria. In questo processo l’Unione Europea si è divisa internamente, gli americani si sono disinteressati del Vecchio Continente, la Russia si è fatta progressivamente più aggressiva, il Mediterraneo è stato terra di fallimenti, divisioni e conquiste.

Oggi la guerra in Ucraina, paese confinante con i paesi Nato e con l’Unione Europea, determina un nuovo metus hostilis e l’opportunità di superare il disordine mondiale. I paesi europei che hanno troppo flirtato sul piano economico ed energetico con la Cina e con la Russia, Germania e Italia in testa, sono stati riallineati al sistema americano. Per l’Italia, paese più piccolo e debole, è un processo in corso da diversi anni e non è servita una guerra per rimuovere le simpatie orientali dei vari governi.

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La guerra in Ucraina spinge l’Europa in una nuova fase

Diverso il discorso per i tedeschi, che forse solo ora hanno compreso quanto sia importante non finire schiacciati tra due fuochi. Già Bismarck aveva avvertito il primo Kaiser: non si possono avere un nemico a Occidente e uno a Oriente, è necessario sceglierne uno. Con questa nuova guerra la Germania è spinta di nuovo verso ovest, costretta ad abbandonare le alleanze a geometria variabile con Russia e Cina. Più in generale l’Unione Europea ha davanti a sé due elementi: il primo è che l’ombrello della Nato si rivela fondamentale per la pace e la sicurezza; il secondo è che l’eccessiva debolezza militare di gran parte dei paesi europei li rende vulnerabili a pressioni esterne.

Di fronte all’orrore di una guerra imperialista e al ritorno della politica di potenza su suoi bordi, l’Unione Europea potrà forse entrare nel suo momento costituzionale. Chiudere la cavillosa epoca dei trattati e aprire quella di una Costituzione europea che dovrà essere necessariamente federale o confederale. Sarà opportuno cercare, inoltre, forme più stringenti di coordinamento militare. Il culmine del processo di istituzionalizzazione pubblica risiede da sempre nella creazione dell’esercito e della sua burocrazia. Soltanto ciò fornisce la possibilità di continuare la politica con altri mezzi.

L’Europa non riesce a crearli perché fino a oggi ha ucciso la politica. Senza politica non esiste minaccia della guerra e senza capacità di minacciare la guerra non esiste l’Europa come soggetto delle relazioni internazionali. Un processo costituzionale europeo che superi il mito funzionalista di una Europa governata da una tecnocrazia con poca legittimazione. La lezione di Hobbes, Locke, Montesquieu e Rousseau potrà forse tornare a illuminare i nostri giorni in una discussione costituzionale.

È ora di chiudere il tempo dei trattati

Ma anche per il mondo intero è necessaria una svolta nelle relazioni internazionali. Il disordine e le tragedie prosperano quando viene meno la politica internazionale fondata sull’arte della diplomazia, che stabilisce come si organizzano gli spazi geopolitici del pianeta. È ora di chiudere il tempo dei trattati che, come quello di Minsk dimostra, hanno impatto limitato o nulla. Una nuova Yalta è necessaria, una grande conferenza internazionale. Dopo la fine di Napoleone non si sarebbe avuto un secolo di pace se non si fosse celebrato il Congresso di Vienna. La politica non è altro che il preludio, la condicio sine qua non, ad accordi militari, economici, spaziali duraturi.

Con l’emersione della Cina, la trasformazione della Russia, l’invecchiamento e l’indebolimento dell’Europa, i disastri nel Mediterraneo, la torsione protezionista e isolazionista degli Stati Uniti non si può continuare a pensare che l’ordine fissato negli anni Novanta possa ancora andare bene. Un nuovo ordine va sistemato con un apposito Congresso internazionale che i vari G7, G8 e G20 non sono in grado di realizzare.

Una nuova consapevolezza

Si intravede all’orizzonte una divisione del mondo nuova, ma neppure inedita, tra le potenze del capitalismo democratico e quelle del capitalismo autoritario. Da un lato economia, finanza, legalità, immaterialità. Dall’altro militari, forza, legittimità, materialità. È, non solo, ma anche questo la divisione che abbiamo di fronte. Potenze di mare e potenze di terra, che possono restare in equilibrato ordine soltanto senza dissomiglianze eccessive. Armi e mercati stabilizzano il globo, entrambi devono trovare spazio nei blocchi geopolitici. Le conseguenti sfere di influenza vanno ridisegnate tenendo conto non solo della Cina ma anche delle spinte neo-imperialiste, come quelle di Russia, Turchia e Iran.

Questa nuova scena mondiale riordinata potrà anche riportare sulla terra le élite delle democrazie occidentali. Le guerre esistono, i nemici attaccano, la politica di potenza è viva. La guerra può arrivare molto vicino a casa. Ciò significa, sul piano interno, elidere le pulsioni filoautoritarie a destra (Russia) e a sinistra (Cina); ricordarsi quali sono i valori e i princìpi fondanti dell’Occidente; fermare la guerra civile virtuale della polarizzazione politica costruita intorno alla identity politics, all’antidemocraticità delle tentazioni tecnocratiche e ai nazionalismi senza strategia.

Considerare che le democrazie liberali hanno certamente numerosi problemi interni da risolvere, ma sono comunque una isola felice di libertà e sicurezza rispetto agli autoritarismi summenzionati, i quali non solo sopprimono il pluralismo ma esprimono un neo-patrimonialismo oligarchico superato dal miracolo occidentale fondato sullo Stato moderno e il mercato. In altre parole, la minaccia della guerra può riunire l’Occidente, rinsaldare le identità comuni, ridefinire i confini tra amici e nemici. Per l’Unione Europea può significare una nuova consapevolezza, verso la Costituzione, il coordinamento militare, un ruolo più incisivo nell’alleanza atlantica.

Tags: Cinaguerra ucrainaRussiastoriaUnione Europea
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