Tutta colpa del capitalismo? Fusaro usa categorie spazzate via dalla storia
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Sono rimasto molto stupito dal vedere pubblicato su Tempi l’articolo “Perché il capitalismo ci preferisce infantili, capricciosi e precari”, di Diego Fusaro. Un articolo che, per toni e argomentazioni, ci riporta agli anni Settanta del secolo passato.
Lo stile di Fusaro è quello dei vecchi testi di autori marxisti: qualche intuizione, retorica hegeliana, paroloni e concetti complicati che conferiscono un’aura di presunta autorevolezza esoterica. Ma la sostanza? Questa l’apertura: «La forma repressiva del capitalismo dialettico si è da tempo capovolta in quella permissiva del capitalismo assoluto: il suddito diventa consumatore la cui libertà si estende senza limiti fin dove si estende la sua capacità di acquisto». Fusaro dà per scontato che il lettore possa destreggiarsi nella distinzione tra capitalismo dialettico (repressivo) e capitalismo assoluto. Io insegno Storia del pensiero economico all’università e, pur avendo dedicato molto tempo a Marx e ai marxisti, confesso di non essermi mai imbattuto in tale distinzione. Intende forse Fusaro riferirsi ad un capitalismo ottocentesco definito dal conflitto tra capitale e lavoro (tipica retorica marxista) contrapposto alla situazione attuale in cui il capitalismo, secondo lui, non ha nemici? Ancora, Fusaro dà per scontato che nel primo caso la società fosse abitata da sudditi (attributo dispregiativo), diventati oggi consumatori (peggio che sudditi). I sudditi non consumavano?
[pubblicita_articolo allineam=”destra”]Ora, il ragionamento di Fusaro nasce vecchio, usando categorie spazzate via dalla storia e una dialettica buona solo per l’autocompiacimento. Andiamo al cuore del ragionamento del filosofo: viviamo in un tempo contraddistinto dal desiderio assoluto di consumare, di soddisfare bisogni crescenti, del volere tutto e subito e del vivere eternamente giovani e precari. Premetto che la situazione del precariato perenne è una tipicità italiana. Io ho 39 anni e da quando ho lasciato l’Italia sono tutt’altro che precario. Fusaro attribuisce la colpa di tale situazione al capitalismo e, in particolare, alla sua evoluzione recente, che però manca di spiegare nel dettaglio. Infatti, nell’articolo a mancare è proprio il nesso logico tra capitalismo e desiderio assoluto di consumare.
Nel mio Hermeneutics of Capital (2016), ho cercato di spiegare come la parola capitalismo debba essere abbandonata per sempre. Introdotta da Sombart all’inizio del Novecento, ha finito per essere l’etichetta, positiva o negativa, di una serie di cose che non la riguardano. Di per sé, essa starebbe ad indicare l’utilizzo di capitale all’interno del processo produttivo. Ma quale sistema produttivo non necessita di capitale? E, soprattutto, cos’è il capitale se non un insieme di beni che in un certo momento storico sono scelti soggettivamente per essere combinati insieme al fine di ottenere un determinato output al termine di un processo produttivo che si svolge nel tempo? È chiaro dunque che il termine capitalismo può attribuirsi sia a sistemi economici in cui i mezzi di produzione ed i relativi processi siano gestiti dallo Stato, sia a sistemi più o meno liberisti. Di fatto, quindi, accusare il capitalismo è come accusare l’acqua, o l’aria.
La vera contrapposizione sta tra pianificazione centrale (socialismo, di diversi gradi) e libero mercato. Ma in che modo, secondo Fusaro, il libero mercato, che credo essere il vero obiettivo del suo attacco, ha generato una società di consumatori schiavi e senz’anima? Questo Fusaro non lo spiega. Per quale motivo una società più libera dovrebbe generare gli zombie descritti dal filosofo?
Andiamo al cuore del problema. L’uomo è desiderio. Tutto il suo percorso terrestre si contraddistingue per l’incontro con una realtà che gli svela sempre più la sua natura, contraddistinta da bisogni di soddisfare; e tra essi includo anche quel desiderio di infinito che lo pone da sempre in relazione col mistero della propria esistenza e dunque all’emergere delle istanze più profondamente spirituali e religiose. Nell’impatto con la realtà l’uomo scopre nuovi bisogni e l’esistenza di risorse per soddisfarli, oppure si ingegna per trovare delle risposte. Senza tale dinamica di bisogno, scoperta e applicazione dell’intelligenza al rapporto realtà/bisogno, che è l’essenza del processo creativo, non vi sarebbe alcun progresso.
Mi sembra di cogliere in Fusaro una preoccupazione per l’assolutizzazione di tali processi e, probabilmente, la mancanza del salto tra i bisogni e il bisogno, inteso come l’emergere di un senso di comunità, appartenenza e dinamiche non legate al consumo. Strano, detto da un marxista. Ma, ammesso e non concesso che ciò sia vero, per quale motivo la colpa sarebbe da attribuirsi al libero mercato?
Il mercato è, in fondo, un meccanismo di scoperta, dove gli individui possono interagire, scoprendosi vicendevolmente nel tentativo di coordinare la soddisfazione di bisogni vicendevoli. Se tra essi viene a mancare il desiderio di soddisfare esigenze spirituali profonde ed invece emerge l’urgenza di acquistare oggetti di rapido consumo, è colpa del libero mercato? Ecco che qui emerge tutto il marxismo di Fusaro: attribuire al cosiddetto modo di produzione la responsabilità di evoluzioni culturali che sono molto più profonde delle tecniche produttive. Basterebbe leggere autori come Giussani, Evola e Guenon, che bene hanno descritto come la graduale perdita di orizzonte spirituale nel quotidiano dell’uomo debba ricercarsi in un percorso culturale che affonda le radici nell’Umanesimo e culmina della Rivoluzione francese. Altro che capitalismo!
Piuttosto, nel contesto contemporaneo il libero mercato appare come l’unica possibilità per una inversione di marcia in tal senso. Solo attraverso la libertà le cose possono cambiare con dinamiche che partono dal basso. Ogni altro tentativo sarebbe l’imposizione, tipicamente comunista, del “bene” dall’alto, scelto dai pochi a “beneficio” dei molti. Tutti abbiamo sotto gli occhi i risultati di tale presunzione. Il libero mercato, di per sé, non avanza giudizi di valore. Sono i consumatori a scegliere se acquistare un iPhone o andare in pellegrinaggio, in base a preferenze che non sono imposte dal modo di produzione ma influenzate da dinamiche culturali.
Fusaro purtroppo è il frutto maturo di ciò che Schumpeter pronosticava già nel 1942: l’emergere, in seno al capitalismo, di una classe di intellettuali anticapitalisti, ma figli dei borghesi, che getterà la propria scure sul più entusiasmante processo di evoluzione economica mai esistito, quello contraddistinto dalla libertà.
Carmelo Ferlito è senior fellow all’Institute for Democracy and Economic Affairs (IDEAS) di Kuala Lumpur, Malaysia
Foto Ansa
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