«Quello a Turetta non è un processo al femminicidio». C’è un giudice a Venezia

Di Piero Vietti
25 Settembre 2024
Il procuratore capo Bruno Cherchi contro una nuova gogna mediatica sull'assassinio di Giulia Cecchettin. «Gli studi sociologici si fanno in altre sedi». Forcaioli ed editorialisti anti-patriarcato prendano nota
Gino Cecchettin processo Filippo Turetta
Gino Cecchettin, padre di Giulia, nell'aula d'Assise del Tribunale di Venezia, per la prima udienza a carico di Filippo Turetta, accusato dell'omicidio di Giulia Cecchettin, il 23 settembre (foto Ansa)

«Questo non è il processo contro i femminicidi, ma un processo contro il singolo che si chiama Filippo Turetta e che risponderà dei reati che gli sono stati contestati. Se si sposta questo quadro a obiettivi più ampi si snatura totalmente il processo. Il processo non è uno studio sociologico, quello si fa in altre sedi, il processo è l’accertamento di responsabilità dei singoli». Non avrebbero dovuto fare notizia le parole pronunciate l’altro ieri dal procuratore capo di Venezia Bruno Cherchi a commento dell’inizio del processo a Filippo Turetta per l’omicidio di Giulia Cecchettin. Eppure sono suonate a molti come straordinarie, in un sistema abituato alla spettacolarizzazione delle indagini e a condannare i colpevoli sulle pagine dei giornali e sui social prima che in tribunale.

No alla spettacolarizzazione del processo a Turetta

«Turetta merita una pena e non un processo mediatico», ha detto il suo avvocato Giovanni Caruso, «non deve diventare il vessillo di una battaglia culturale contro la violenza di genere». Ma se dichiarazioni del genere possono sembrare scontate da chi deve difendere un assassino, a colpire sono state quelle di chi rappresenta l’accusa in un processo su un omicidio che subito era stato usato per mettere in piedi un narcisistico circo di accuse ai maschi e al patriarcato.

«Questa è la posizione della procura», ha detto Cherchi, «e lo è fin dall’inizio, quando abbiamo detto che il processo deve svolgersi in aule giudiziarie con i diritti che anche l’imputato ha, secondo la Costituzione e il codice di procedura penale. La spettacolarizzazione di questi eventi, che comprendo colpiscano l’opinione pubblica per la loro gravità, e si inseriscono in contesti più ampi che sicuramente devono essere valutati, non deve però snaturare il processo e i diritti a esso connessi. Si tratta di una contestazione di omicidio premeditato, particolarmente delicata e grave, che deve essere svolta nell’aula di giustizia e non altrove».

Il processo mediatico al patriarcato

Come sembra lontano il fiume di dichiarazioni e accuse dei giorni successivi alla confessione di Filippo Turetta, quando il ritrovamento del corpo senza vita della povera Giulia Cecchettin aveva scatenato un narcisistico fiume di editoriali, tweet, selfie e mea culpa non richiesti da parte di persone qualunque, politici, influencer e vip che accusavano se stessi e chiedevano scusa a tutte le donne a nome di tutti gli uomini. Settimane di accuse ai maschi, appelli per organizzare corsi di educazione sentimentale nelle scuole, cortei in piazza contro il femminicidio, l’assassino Turetta trasformato nel simbolo del patriarcato malato e la vittima Giulia Cecchettin nell’icona delle femmine schiacciate che dicono “basta!”.

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Gli ingredienti per la trasformazione del processo in tribunale a Turetta nel secondo atto di una gogna mediatica a lui e al patriarcato c’erano tutti. L’Italia poi è il paese in cui basta un’accusa non provata per ottenere le prime pagine di siti e giornali, e in cui molti pm usano il proprio ruolo per ottenere visibilità personale (nel migliore dei casi) o si spingono oltre per moralizzare la società (nel peggiore). Ecco perché, come ha sottolineato anche il Foglio ieri, le ordinarie parole del procuratore Cherchi appaiono straordinarie.

La giusta esclusione delle associazioni anti-violenza dal processo a Turetta

Come giusta è la decisione della Corte di escludere dal giudizio le associazioni anti-violenza che si erano costituite parte civile: Penelope, di cui sono referenti i legali dei Cecchettin, Differenza Donna, Udi Aps, I care we care e Insieme a Marianna. «Sarebbe grave», ha aggiunto ancora il procuratore parlando dell’assenza in aula di Filippo Turetta, «se la pressione mediatica potesse aver spinto l’imputato a non essere presente». L’ideologizzazione dei processi è una deriva che non rende giustizia a nessuno, a partire dalle vittime. Con più giudici come il procuratore di Venezia sarebbe più facile evitarla. Forcaioli ed editorialisti anti-patriarcato prendano nota.

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