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Le fiamme della Turchia rischiano di trasformare la primavera araba in un orrido inverno

Il crollo di Gheddafi e di Mubarak ha spostato verso il basso gli equilibri di potere geostrategici in Africa. Se crolla anche Assad sarà un disastro incalcolabile

Giulio Sapelli
24/06/2013 - 6:20
Esteri
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Le fiamme della Turchia hanno un significato che va oltre ciò che accade in quella nazione. Il Nord Africa e il Medio Oriente, infatti, sono stati e sono il primo banco di prova di uno sbilanciamento dei rapporti di forza che ha indotto gli Stati Uniti a una illusione di autosufficienza e di onnipotenza strategica e militare insieme. Oggi la strategica solitudine della Russia impedisce ogni contenimento delle spinte aggressive di tutte le potenze regionali a medio raggio che possono esercitare un ruolo superiore a quello loro possibile, perché consentito da una fallimentare strategia di contenimento delle disgregazioni sempre periclitanti dell’area Nord e Centro Africana.

La Turchia persegue disegni neo imperialistici e mette in pericolo il patto militare con Israele che era uno dei punti di forza archetipali dell’equilibrio dell’aerea, e che iniziava da quel patto, proseguiva con il ruolo stabilizzatore della Siria, proseguiva ancora con la neutralizzazione dei palestinesi grazie al ruolo di gendarme della monarchia ascemita in Giordania e terminava, infine, in Egitto con il ferreo controllo armato del Sinai da parte di Mubarak. Ora tutto è stato messo in discussione per l’esosità di militari che si rivelano, però, oggi, non sostituibili.

La necessità di “tornare a Westfalia”
L’Egitto è stato abbandonato dagli Stati Uniti nel suo storico costrutto di potere perché si riteneva che l’assenza dell’Urss potesse consentire un cambio della guardia tra gli esosi mubarakiani e i normalizzati Fratelli Musulmani che potevano succedere al potere degli stessi senza intaccare il laicismo egiziano. Questo significava non aver compreso nulla delle trasformazioni del continente simbolico islamico. I Fratelli Musulmani hanno una tradizione ricchissima di ingegno, di pazienza, di tattica scaltra, che ha avuto il suo banco di prova in una Giordania che li ha resi atti a una operazione di penetrazione nelle istituzioni senza per altro perdere il loro carattere di movimento di massa, e come tutti movimenti di massa, conservano una grande varietà di articolazioni, di anime politiche al loro interno. E conservano anche quella capacità di essere disponibili alla discussione, elaborazione, implementazione e tremenda attuazione delle tesi più estreme, proprio essendo non dei diseredati. I Fratelli Musulmani come i salafiti, come i jihadisti, non sono gli affamati della terra come afferma la retorica terzomondista mai morta nel modo di oggi, ma raffinati intellettuali, tecnici, esperti, costruttori di network a più volti, come dimostra l’esperienza di Bin Laden.

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Il crollo di Gheddafi e di Mubarak ha spostato verso il basso gli equilibri di potere geostrategici in Africa. Se crolla anche Assad sarà un disastro incalcolabile per la proliferazione bellica e terroristica che ne seguirà. Altro che primavere: saranno orridi inverni… Vi sono armi, truppe addestrate come i Tuareg, conflitti interraziali, conflitti intereuropei (basti pensare a quello attorno ai grandi laghi tra francesi, inglesi e nordamericani). Ci sono tentativi di colpi di Stato in Eritrea ed Etiopia e spostamenti di truppe, di eserciti che di esercito hanno solo il nome e che debbono essere sorretti, armati, diretti da potenze europee e nordamericane.

In Africa andar sul terreno è poi essenziale. Non c’è spazio per nessuna dottrina Rumsfeld. Il disegno sovranazionale dei jihadisti e dei salafiti e il ruolo sempre più enigmatico e misterioso dell’Arabia Saudita, disposta a tutto – non dimentichiamolo – per distruggere l’Iran e sradicare lo sciismo dal continente nero e dalle tre faglie prima evocate, aprono inquietanti interrogativi sul futuro. O si ritorna alla Pace di Westfalia, ossia al concetto che ogni Stato dispone da sé e per sé della sua costruzione istituzionale senza interferenze esterne, o tutto crollerà inevitabilmente in un dolorosissimo disordine. “Tornare a Westfalia” è l’unica strategia possibile che deve essere perseguita grazie a un accordo tra Unione Africana, Europa e Russia e Stati Uniti e Cina (interlocutore silenzioso ma sempre presente che non ha ancora scoperto le proprie carte).

Tags: arabia sauditaassadEgittoerdogangiordaniairanmedio orienteMusulmanirussia assadSiriaStati UnitiTurchiaturchia erdoganturchia siria
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