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Troppo tardi per il pentimento di Erdogan

L'attentato all'aeroporto di Istanbul, il più punitivo per il presidente turco, arriva proprio all'indomani del suo tentativo di riparare i troppi errori politici

Rodolfo Casadei
29/06/2016 - 14:10
Esteri
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Passengers embrace each other on the entrance to Istanbul's Ataturk airport, early Wednesday, June 29, 2016 following its evacuation after a blast. Two explosions have rocked Istanbul's Ataturk airport Tuesday, killing several people and wounding scores of others, Turkey's justice minister and another official said. A Turkish official says two attackers have blown themselves up at the airport after police fire at them. Turkish authorities have banned distribution of images relating to the Ataturk airport attack within Turkey. (AP Photo/Emrah Gurel) TURKEY OUT

Erdogan e il suo governo lo avevano visto arrivare. Di tutti gli attentati compiuti in Turchia negli ultimi tempi, quello contro l’aeroporto internazionale di Istanbul è la tragedia che più sanziona la politica estera turca riformulata cinque anni fa nel pieno tumulto delle Primavere arabe, quello che più inchioda il capo di Stato turco al ruolo di apprendista stregone travolto dalle forze che ha incautamente evocato. L’establishment di Ankara aveva appena preso coscienza dei tragici errori compiuti nel quinquennio alle sue spalle e aveva appena iniziato a correggerli, ma ormai troppo tardi: la nemesi di quegli errori si è abbattuta implacabile, e il peggio deve ancora arrivare.

Nella settimana che è alle nostre spalle il governo turco ha riallacciato le relazioni diplomatiche con Israele rotte nel 2010 dopo l’uccisione di alcuni militanti islamisti turchi in navigazione verso Gaza; il presidente Erdogan ha inviato sette mesi dopo i fatti una lettera di scuse al presidente Putin per l’abbattimento di un aereo militare russo e la morte dei due piloti, contenente una proposta di collaborazione nella lotta al terrorismo e per la soluzione del conflitto in Siria; il primo ministro Binali Yildirim ha dichiarato che il suo governo persegue la normalizzazione dei rapporti anche con l’Egitto di al-Sisi e persino con la Siria.

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turchia-attentato-istanbul-2-ansa-ap

All’indomani della caduta dei leader di Tunisia, Egitto e Yemen, e col regime di Damasco sotto pressione per l’insurrezione armata sostenuta da Arabia Saudita e Qatar, la Turchia di Erdogan e del ministro degli Esteri poi primo ministro Davutoglu si è candidata alla leadership regionale in un’ottica islamista e neo-ottomana. Ha appoggiato i partiti fiancheggiatori dei Fratelli Musulmani in Tunisia ed Egitto e poi i governi e i presidenti usciti vincitori dalle elezioni; in Siria ha puntato le sue fiches sul Libero Esercito siriano e sulla sua ala politica, ma quando essi si sono rivelati incapaci di abbattere il regime del presidente Assad ha stretto patti diabolici con Jabhat al Nusra (al Qaeda) e con l’Isis.

Nel giro di pochi mesi ha rotto le relazioni costruite con anni di diplomazia con tutti i governi della regione: Israele, Siria, Egitto, Iran e Russia. Si è ritrovata con lo storico alleato Usa al fianco dei curdi siriani fratelli gemelli del Pkk curdo di Turchia, la più importante minaccia all’unità territoriale del paese. Aspirava a stendere la sua egemonia sulla Siria, in particolare sulla regione di Aleppo, e ora si ritrova con quasi tutta la frontiera turco-siriana controllata dalle Forze democratiche siriane la cui componente più importante è il Pyd/Ypg, fratello gemello del Pkk, con la benedizione degli Usa. Costretta a partecipare alla coalizione internazionale contro l’Isis per non perdere l’appoggio della Nato di cui è parte, ora si ritrova bersaglio delle rappresaglie dei jihadisti prima usati e oggi traditi.

turchia-erdogan-ansa-ap

Erdogan ha infine capito che il modo migliore di sventare la minaccia del Pkk e della sua gemmazione siriana e insieme di portare a casa qualche risultato in termini di influenza strategica dal coinvolgimento nella sanguinosa guerra civile siriana non è certo quello di sostenere apertamente o segretamente i ribelli islamisti e jihadisti delle varie tendenze, ma di cercare l’accordo con la Russia. Ha pure capito che la strada più veloce per fare meglio comprendere le proprie esigenze a Washington è quella di riannodare i rapporti col più forte e stabile alleato degli Usa nella regione, cioè Israele.

Ma gli spiriti del male usciti dalla bottiglia sono ormai liberati, e il risultato del flirt clandestino con l’Isis è il radicamento dell’estremismo dei fautori del califfato in terra turca con la prognosi di stragi e destabilizzazione nei prossimi mesi. Il riavvicinamento con la Russia richiederà tempo, durante il quale le forze curde turco-siriane faranno progressi politici e militari difficili poi da smontare. Erdogan raccoglie quello che ha seminato, e il fatto che si sia pentito degli errori non elimina in nessun modo le conseguenze in atto e quelle che verranno.

@RodolfoCasadei

Foto Ansa/Ap

Tags: istanbulRecep Tayyip ErdoganTerrorismo IslamicoTurchia
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