
Riaprire le scuole, limitando l’uso della didattica a distanza e permettendo lezioni in presenza? All’interno del governo restano le divisioni tanto che pare difficile che si possa ritornare in aula prima del 7 gennaio (molto più probabilmente l’11). Ha detto Matteo Renzi: «Prima di discutere sul cenone di Natale possiamo dire che riapriamo i licei?». Ma nella sua maggioranza (e nei sindacati) in molti non la pensano così, anzi temono che cedere alla linea “aperturista” porti a un innalzamento dei contagi. E certo il rischio ha un “prezzo”, ma anche tenere chiuse le scuole ha un prezzo.
Il rischio zero non esiste
Chi continua a esporsi per una riapertura della scuola è Agostino Miozzo, coordinatore del Comitato tecnico scientifico, che oggi ha rilasciato due interviste al Corriere della Sera e a Repubblica. «Io posso dire – ha dichiarato a quest’ultima – che con tutte le indicazioni date dal Comitato tecnico scientifico per tempo le scuole sono un luogo sotto controllo. Distanziamento, uso delle mascherine, igiene. Tutti elementi che riducono i rischi. Con le dovute precauzioni e il monitoraggio costante la scuola non è un luogo di rischio, fermo restando che il rischio zero non esiste in nessun luogo e in nessun contesto».
Cosa si può fare
Invece, quel che c’è già adesso, avverte Miozzo, è lo sfacelo di una generazione che non fa più scuola, o ne fa un suo surrogato: «In Campania la maggior parte degli studenti da marzo ad oggi ha fatto quattordici giorni in classe, se torniamo in presenza il 7 gennaio avremo regalato praticamente un anno all’ignoranza, all’asocialità. È un danno permanente che stiamo facendo ai nostri ragazzi». Cosa si può fare concretamente? «Riorganizzazione del trasporto pubblico locale, scaglionamento degli orari di ingresso, monitoraggio sanitario» dice il coordinatore del Cts al Corriere.
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