
Tenere aperte le scuole si può

Perché le scuole medie e superiori devono rimanere chiuse, arrabattandosi con la didattica a distanza? La domanda inizia a farsi sempre più largo anche sulle pagine dei giornali. Ieri sulla Stampa il ministro Lucia Azzolina ha scritto una lettera in cui ribadisce la sua intenzione di riaprire il prima possibile tutti gli istituti e di voler fare in modo che non ne chiudano nel frattempo. Il ministro assicura di aver ricevuto dal Comitato tecnico scientifico rassicurazioni sulla possibilità di far svolgere lezioni in presenza, ma al contempo lamenta di non poter essere lei a decidere se tenere aperte o meno le scuole.
Intanto le Regioni vanno nella direzione opposta a quella auspicata dal ministro. Basilicata e Calabria hanno previsto ulteriori restrizioni, così come l’Abruzzo anche se in maniera più leggera. Il problema è, come sempre, la lettura dei dati che spesso sono incompleti o difformi da regione a regione.
Priorità educativa
La verità è che, in una situazione così confusa, a fare la differenza dovrebbe essere la politica e il coraggio di fare delle scelte. Negli altri paesi europei – Francia, Inghilterra e Germania, ad esempio – pur predisponendo delle serrate, si è deciso di tenere le scuole aperte. È una scelta politica, appunto, e dunque rischiosa, ma che almeno ha il merito di fissare nell’educazione una priorità. Una posizione condivisa da questo giornale che nei giorni scorsi aveva lanciato un appello per non chiudere le scuole.
Tra l’altro, ieri al Foglio Franco Locatelli, presidente del Consiglio Superiore di Sanità, componente del Cts, ha detto che non esiste correlazione fra riapertura delle scuole e la ripresa della curva dei contagi: «La nostra scuola è nelle condizioni di assicurare sicurezza degli studenti fino alla fine dell’anno scolastico. E lo scandisco. Fino alla fine dell’anno scolastico. La scuola deve essere tutelata al massimo come si fa con le attività lavorative».
La scuola sacrificata
Le parole di Locatelli arrivano solo un giorno dopo rispetto a quelle pronunciate da Agostino Miozzo, coordinatore del Cts, al Corriere:
«C’è un’emergenza che dobbiamo affrontare subito ed è quella delle scuole. Molti politici hanno scelto di sacrificare la scuola come segnale di efficiente reazione in risposta all’emergenza. Banalizzo e sintetizzo questioni drammaticamente serie, ma ho la percezione che la tradizionale cultura di disprezzo del bene primario che è la scuola e la formazione dei nostri giovani si traduca bene nelle reazioni di molti improvvisati politici del nostro disgraziato Paese».
«Per la stragrande maggioranza dei bambini, i vantaggi di tornare in classe superano di gran lunga il basso rischio di ammalarsi di coronavirus e le scuole possono intervenire per ridurre ulteriormente i rischi. I dati ci dicono che è difficile discriminare che l’infezione di un ragazzo sia avvenuta a scuola piuttosto che nei momenti precedenti o successivi».
Un dramma con effetti devastanti
Sempre sul Corriere della Sera è apparso un lungo e interessante editoriale di Francesco Drago e Lucrezia Reichlin in cui ci si domandava a quale prezzo abbiamo deciso la chiusura delle scuole.
«La chiusura danneggia tutti gli studenti anche quando viene attivata la didattica a distanza. Chiusure prolungate hanno effetti permanenti sul rendimento scolastico, sulle abilità cognitive, sulla propensione all’abbandono scolastico e sullo stato psicofisico dei nostri studenti. Non è innocuo chiudere per uno o due mesi oggi, specialmente in un Paese in cui la scuola era stata già penalizzata dalla chiusura di marzo. Montagne di studi nelle scienze sociali ci dicono che chiudere la scuola oggi rappresenta una ipoteca sul futuro di una intera generazione. Costi certi e benefici incerti caratterizzano anche la chiusura di altre attività, ma la scuola è un settore in cui i danni associati alla sospensione della didattica non si recuperano più. Sono perdite permanenti per gli studenti e quindi per tutto il Paese».
«La scuola era un’emergenza prima della pandemia. Oggi è un dramma che se non affrontato avrà effetti devastanti e duraturi».
Numeri da emergenza
Un’emergenza sotto tanti aspetti che ieri il Giornale vedeva confermata nell’ultimo monitoraggio elaborato dalla Direzione generale dell’Istruzione Ue pubblicato la settimana scorsa. «Su 7 degli indicatori chiave identificati dalla Commissione europea, l’Italia è sotto la media Ue in lettura, matematica e scienze, abbandono scolastico, livello di istruzione terziaria, istruzione degli adulti. Soltanto per quanto riguarda la frequenza dei più piccoli fino alla scuola dell’obbligo la percentuale dei frequentanti è superiore alla media europea. Il tasso di abbandono scolastico anche se in calo resta tra i più alti in Europa, soprattutto al sud e tra i giovani nati all’estero. Nel 2019 oltre il 13 per cento dei giovani nella fascia di età compresa tra i 18 e i 24 anni ha abbandonato precocemente l’istruzione e la formazione».
Foto Ansa
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