Sud Sudan. Dopo i massacri, niente festa dell’indipendenza: «Non abbiamo soldi»

Di Leone Grotti
02 Luglio 2016
Secondo l'ultimo rapporto della Fao, a causa del conflitto etnico tra Nuer e Dinka oltre un terzo della popolazione, 4,8 milioni di persone, rischia di morire di fame
epa05282893 South Sudan President Salva Kiir (R) and former rebel leader and First Vice-President Riek Machar (L) attend a ceremony after a new unity government was sworn-in, Juba, South Sudan, 29 April 2016. South Sudan President Salva Kiir named a new unity government sharing power with former rebel leader Riek Machar, ending a conflict that erupted since mid-December 2013. According to peace agreement, the interim government will govern for the next 30 months before holding general elections. EPA/PHILLIP DHIL

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Niente parate, niente eventi, niente festività tradizionali. Quest’anno il Sud Sudan farà poco o niente per celebrare il giorno in cui ha ottenuto l’indipendenza. Il 9 luglio lo Stato più giovane del mondo compirà cinque anni, ma dopo due anni e mezzo di una sanguinosa guerra civile, che ha causato decine di migliaia di vittime e ridotto la popolazione alla fame, non ci sono soldi da spendere in frivolezze.

[pubblicita_articolo allineam=”destra”]CATASTROFE UMANITARIA. Secondo l’ultimo rapporto della Fao, il conflitto etnico tra Nuer e Dinka scatenato dal contrasto tra il presidente Salva Kiir (a destra nella foto) e il suo vicepresidente Riek Machar (a sinistra), ha provocato una crisi alimentare gravissima. Oltre un terzo della popolazione, 4,8 milioni di persone, soffrono per la scarsità di cibo. Il numero sarebbe ancora più alto se 350 mila persone non fossero accolte nei campi dell’Onu. Da inizio anno oltre 100 mila bambini sono stati curati per malnutrizione grave, riporta Unicef, e 100 mila persone sono scappate dal paese solo negli ultimi mesi.
Anche per questo il ministro dell’Informazione, Michael Makuei, ha annunciato che «il 9 luglio non vogliamo spendere troppe risorse nei festeggiamenti. Dobbiamo consacrare quel poco che abbiamo ad altre priorità».

DA 10 A 28 STATI. La guerra civile cominciata nel dicembre 2013 è formalmente finita ad aprile, quando Machar è stato reinsediato come vicepresidente. Ma scontri tra i Dinka e i Nuer continuano a insanguinare parti del paese, che è stato smembrato ulteriormente lungo linee etniche. A dicembre 2015, infatti, il paese originariamente comprendente 10 Stati è stato ulteriormente suddiviso in 28.

NUOVE VIOLENZE. Central Equatorial, ad esempio, è stato spezzato in tre: Terekeka, Jubek e Yei. Ma non basta un dubbio accorgimento amministrativo per fermare la violenza. I Mundari di Terekeka e i Bari di Jubek, infatti, hanno subito cominciato a contendersi la contea di Mangala, in mezzo ai due nuovi Stati. Prima della suddivisione, la guerra tra i due gruppi era stata risolta attraverso dei matrimoni misti ma ora che c’è un confine a dividerli, lo scontro è rinato e 1.200 abitanti hanno abbandonato le loro case temendo di essere uccise in una sola settimana.
Kiir si è detto disposto a rivedere i confini dei 28 Stati, mentre un uomo di Machar ha affermato che «non accetteremo mai 28 Stati. Non c’è posto, solo 10 sono validi». La speranza è che ora non scoppi un nuovo conflitto.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

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1 commento

  1. Menelik

    E poi parlano del colonialismo dei bianchi come la causa dei mali dell’Africa !

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