Ennesima dimostrazione che il governo, qualsiasi governo, è appeso ai fili elettrici di una qualche Procura. Ennesima controprova che la stessa esistenza di un tale di nome Silvio Berlusconi c’entra niente con la vera anomalia italiana che rende inutili gli organi di rappresentanza popolare e una barzelletta lo stato di diritto.
Affare Cancellieri. Ministro di Giustizia che tra qualche ora potrebbe finire ghigliottinato (adesso che, dopo almeno due correnti in seno al Pd, Renzi e Civati, anche il loden di Mario Monti si è iscritto alla festa della sfiducia ad personam), nonostante che il presidente Napolitano pare si stia adoperando in febbricitanti moral suasion per non rovinare la festa della fiducia che con la scissione alfaniana pareva aver messo una bella pezza di tenuta al Letta delle “balls of steel”.
D’accordo, si può pensare ciò che si vuole di conversazioni telefoniche private tra un ministro che, così pare nel mondo degli esseri umani, può perfino non far finta di non aver mai conosciuto persone amiche da una vita e ora finite alla sbarra. Però, come ci sono arrivate all’orecchio quelle conversazioni? La loro divulgazione è legale, oppure no? È o non è, la legalità, un “principio invalicabile” come ci insegnano parrucconi e manettari da vent’anni a questa parte, o è piuttosto una pezza che si può stiracchiare fino a mettere sotto i piedi? Domande importanti alla luce di quanto emerge da un articolo della Stampa di domenica 17 novembre, firmato nientemeno che da Guido Ruotolo, uno che dalla parte della magistratura ha almeno un fratello che sferruzzava sotto la ghigliottina di Santoro e che poi è andato a sbattere con la Rivoluzione civile di Ingroia.
Dunque, Ruotolo informa che nel caso sarebbero state commesse ben cinque violazioni della legalità.
Punto primo, la Cancellieri ad oggi non risulta neppure indagata. Com’è possibile che le sue telefonate private siano finite sui giornali?
Secondo. Ma anche se nei suoi confronti giacesse latente, nascosto o sommerso tra le carte del caso Ligresti un avviso di garanzia, come mai la Procura non ha inviato le carte al Tribunale dei ministri, come tassativamente prescrive la legge?
Terza supposta irregolarità. La Cancellieri fu sentita dai magistrati come persona informata dei fatti, quando in realtà, sostiene il ministero di via Arenula, l’atto istruttorio era finalizzato a capire se il ministro avesse compiuto reati. E allora, come mai l’interrogatorio si è svolto senza la presenza di un difensore, altro obbligo di legge?
Da cui discenderebbe un’ulteriore irregolarità, potendo avvalersi il ministro (come prescrive la legge per qualunque cittadino sottoposto a interrogatorio) della facoltà di non rispondere.
Nel caso ci sarebbe inoltre la violazione delle garanzie costituzionali che impongono l’autorizzazione del Parlamento per l’uso delle intercettazioni di un ministro.
E siamo a cinque. E ve ne sarebbero state almeno altre due, a detta della Stampa: la polizia giudiziaria non poteva eseguire verifiche (che invece ha eseguito) sulle affermazioni del ministro senza un mandato della magistratura. «E infine l’attività della procura di Torino nei confronti del Guardasigilli non è passata attraverso il filtro di un giudice».
Ora, sarà anche vero che la Cancellieri ministro «ha le ore contate». Però, se anche avesse ragione il professor Carlo Federico Grosso (che intervenendo sulla prima pagina del quotidiano torinese oggi si dichiara in totale sintonia con la nota diramata dal procuratore generale di Torino dottor Marcello Maddalena, si dice «interdetto per la notizia pubblicata dalla Stampa» e afferma che «non vi è stata alcuna irregolarità o violazione della legge» da parte della procura torinese), resta comunque da capire come sia possibile, in un paese di diritto e di libertà di parola, di diritto alla libertà e segretezza delle comunicazioni private, che una persona non indagata né accusata di alcunché sotto il profilo penale, venga sputtanata, messa alla gogna e alla berlina, infine costretta alle dimissioni, attraverso la divulgazione di ciò che la Costituzione, la democrazia, lo stato di diritto, le dovrebbe garantire di tenere custodito e difeso nel privato.
Balls of steel? Ma va là. Siano di Berlusconi, di Prodi e, chissà, domani di Renzi, tranquilli, steel o non steel, le balls ce le hanno in mano e continueranno ad avercele in mano le procure di Sua Maestà. A meno di un intervento di stabilità che tagli i fili di quell’elettricità per cui da vent’anni chi governa muore. E per cui l’Italia che sta sotto la panca del non governo, crepa.