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Stato, ma quanto mi costi?

Tagli alle tasse e spending review? Le promesse del governo sono rimaste tali. Eppure basterebbe adeguare gli stipendi dei dirigenti pubblici italiani a quelli degli omologhi stranieri

Francesco Amicone
02/03/2016 - 12:19
Interni
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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Nell’estate del 2015 il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, parlava di possibili riduzioni delle tasse e tagli alla spesa pubblica. È passato qualche mese, e i fatti sono stati altri: dopo un 2015 in cui il nostro debito è continuato ad aumentare (+34 miliardi di euro) raggiungendo quota 2.169,9 miliardi, a febbraio 2016 i conti dello Stato sono ancora peggiorati. Nessun italiano ha assistito a una complessiva riduzione delle imposte e oggi il tasso di crescita economico italiano si aggira stabilmente poco sopra lo zero per cento, mentre il rapporto debito/Pil si attesta ben al di sopra del 138 per cento. Non c’è stata alcuna diminuzione della pressione fiscale, non c’è ripresa economica e i conti pubblici non migliorano. A fronte di una situazione stagnante, messa in secondo piano in questi giorni rispetto al varo della legge sulle unioni civili, sul Messaggero, settimana scorsa, trapelava nuovamente la notizia di possibili tagli “agli sprechi” pari a 30 miliardi di euro. Sarà vero?

Lo Stato italiano ha bisogno ogni anno di 800 miliardi di euro. Eppure non è in grado di amministrarsi. Basta andare al centro del problema, la Capitale, per capire che, al di là dei periodici strali contro l’evasione fiscale e le ruberie dei politici, è complessivamente l’amministrazione dello Stato a giocare un ruolo di primo piano nella situazione economica dello Stato. È un esempio, ma significativo, il fatto che nonostante l’importo spaventoso che i cittadini italiani versano nelle casse pubbliche in imposte (pari a 6 mesi di lavoro l’anno, secondo i dati del 2015) e nonostante i continui finanziamenti, a Roma capitale dove ha sede l’élite statale italiana, non si è nemmeno in grado di assicurare l’illuminazione. Da mesi il Raccordo Anulare, la tangenziale della città, è completamente al buio, e di notte non un lampione è acceso nemmeno sulla strada per l’aeroporto internazionale di Fiumicino.

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I ladri di rame sono poco meno ingordi dello Stato, e i rastrellamenti di cavi elettrici soltanto ultimamente sono costati 46 milioni di euro al Comune. Pare che il fenomeno non si riesca a debellare, così come quello delle buche nelle strade, il secondo pericolo mortale dopo il buio pesto, che incontra l’automobilista uscendo dal Raccordo per raggiungere il centro. A cosa servono 300 milioni che Roma riceve dal Tesoro («fino al 2040!», notizia ed esclamativo di Ferruccio De Bortoli) per la gestione del proprio debito (13,5 miliardi)? A cosa sono serviti i 200 milioni di euro assegnati alla Capitale per il Giubileo? I contributi per l’operazione “strade sicure”? Gli stanziamenti per illuminare Roma con i led?

Il salasso degli stipendi
Per non parlare del senso di abbandono: basta parcheggiare in via Vittorio Gassman e soffermare lo sguardo al di là del Tevere per farsi un quadro simbolico della realtà romana. Dal recente Ponte della Scienza, che già dà i primi segni di ruggine, guardando verso il quartiere Garbatella si nota lo scheletro di ferro del gasometro, e a destra, sotto un canneto, un paio di baracche in lamiera. A sinistra, invece, dietro un muro graffitato, sorgono due palazzine ben tenute e in mattonelle di pietra a vista. La targa appesa al muro identifica il complesso come sede dell’Istituto superiore antincendi dei Vigili del Fuoco. Al di là del muro si intravede in uno spiazzo ordinato un albero d’arancio. L’asimmetria fra le due parti del muro è evidente. Da una parte c’è la Capitale, ben tenuta, ordinata, che sbocca su 100 inutili metri di strada recentemente asfaltata e senza sbocchi. Dall’altra, c’è la città sigillata da nastri gialli per impedire l’accesso ad anfratti ingorgati da erbacce e spazzatura. E quello dell’Istituto superiore antincendi è soltanto uno dei tanti muri che separano l’Italia oppressa da tasse, buche, ladri di rame, e rigagnoli marroni che fuoriescono dalle fogne intasate, dalla Roma dei ministeri, del Parlamento, delle Corti, degli Istituti: la “Roma predona” che con i romani e la città e l’Italia, ormai quasi completamente abbandonata a se stessa, non ha nulla a che vedere.

Se a Roma i ladri di rame continuano a beffare la Polizia della capitale, nonostante questa scorrazzi ovunque, compreso sulle piste ciclabili lungo il Tevere, se non si riesce a mettere mano agli “sprechi” dello Stato, la responsabilità è dovuta principalmente agli amministratori. Fra loro non si trovano soltanto i politici, prede mediaticamente facili dai tempi di Tangentopoli, ma anche i quasi 60 mila dirigenti pubblici – esclusi i medici – che, visto il loro numero e i loro stipendi, segnalati sull’Annuario statistico della Ragioneria di Stato, almeno in teoria dovrebbero essere più che in grado di amministrare efficacemente l’apparato pubblico. Se Renzi cominciasse a occuparsi nel piccolo di tagli agli sprechi, dovrebbe prima di tutto constatare che la media degli stipendi dei dipendenti statali, pari a quasi 35 mila euro l’anno, è superiore di 5 mila euro a quella dei dipendenti privati, stando ai dati della Ragioneria di Stato. Non si parla di insegnanti, o di tecnici inquadrati in contratti di categoria C, come la maggior parte dei dipendenti pubblici, ma di chi viene identificato come “dirigente di Stato”.

I magistrati sono al top
Il costo salariale dei 3,3 milioni di dipendenti pubblici italiani si aggira sui 160 miliardi di euro l’anno. Basta una semplice operazione per verificare che se il reddito medio dei dipendenti pubblici si attestasse attorno al reddito medio del settore privato, lo Stato risparmierebbe una ventina di miliardi di euro l’anno. Significherebbe diminuire gli stipendi della maggioranza dei 3,3 milioni di dipendenti pubblici che guadagnano meno di 30 mila euro l’anno? Non sembra, perché stando ai conti della Ragioneria, non è la gran parte dei dipendenti pubblici a pesare sulla statistica, quanto una parte di amministratori, sicuramente con alte qualifiche, per i quali pesano tanto gli stipendi diretti quanto rimborsi spese e benefici vari.

I numeri annuali sugli stipendi pubblici provengono da varie fonti. Oltre alla Ragioneria, ci sono le analisi annuali della Corte dei Conti e dell’Aran (Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni). Non affrontano il tema degli oneri dei rimborsi spese, o dei benefici, e non tutti dividono i dipendenti pubblici per categorie. Da un calcolo della Cisl-Fp, basato sul dossier della Corte dei Conti del 2013 sul costo del lavoro pubblico, si arrivano a contare 170 mila dirigenti pubblici e una spesa lorda per le loro retribuzioni di quasi 15 miliardi l’anno. E non crediate che la maggior parte siano medici. Con i loro 74 mila euro lordi in media – senza parlare del costo delle assicurazioni – sono ben al di sotto di tutti gli altri dirigenti, eccetto quelli scolastici (62 mila euro).

L’Italia spende ogni anno 4,5 miliardi di euro soltanto per pagare i dirigenti apicali e dirigenti di seconda fascia o semplici funzionari dei ministeri. Sono 1,5 volte meglio pagati che nel Regno Unito, secondo l’economista ed ex consulente di Renzi, Roberto Perotti. Dal Conto Annuale del pubblico impiego, si evince poi che a far lievitare i salari statali sono i dirigenti di prima e seconda fascia degli enti pubblici non economici (guadagnano dai 120 ai 220 mila euro l’anno), delle agenzie del Fisco (fino a 230 mila euro), della presidenza del Consiglio (in media 135 mila euro). Nelle Forze armate, invece, ci si attesta “solo” a 100 mila euro.

Al top della classifica dei meglio stipendiati ci sono i 10 mila magistrati italiani. Anche se dovrebbero arrivare a tali livelli soltanto dopo 28 anni di anzianità, stando ai dati della Ragioneria di Stato e dell’Aran, i nostri magistrati hanno in media una retribuzione sopra i 140 mila euro. Sono loro i più pagati della Pa.

Che il lavoro di un chirurgo primario sia meno “delicato” di quello di un giudice di pace o di Cassazione si può dubitare. Eppure è proprio questa la giustificazione principale ostentata dal sindacato dei magistrati italiani, l’Anm, quando si tratta di difendere una retribuzione media lorda dei propri iscritti doppia rispetto a quella di un chirurgo primario e quasi quintupla rispetto a un normale dipendente pubblico. Lo stipendio dei soli magistrati pesa sui conti per 1,5 miliardi di euro all’anno. Come quello di tutti i dirigenti di prima e seconda fascia delle amministrazioni politiche. E come quello di tutti gli ufficiali delle Forze armate e dei corpi di polizia.

Dopo i magistrati, seguono nella classifica dei funzionari più remunerati gli amministratori delle prefetture e i diplomatici (90 mila euro di media). Circa 80 mila euro lordi vengono assegnati invece a chi ha intrapreso la carriera penitenziaria e ai funzionari delle autorità indipendenti. Scende a 60 mila euro lordi di media il costo dei lavoratori della presidenza del Consiglio dei ministri.

E le Forze armate?
Entrando nello specifico dei dati della Ragioneria di Stato, ai ministeri il numero di dirigenti apicali arriva a quasi 400, e lo stipendio medio lordo va dai 160 mila del ministero dei Beni Culturali ai 243 mila del ministero della Salute. Sono invece 2.400 i dirigenti di seconda fascia, e guadagnano dai 79 mila euro al ministero dei Trasporti ai 110 mila euro alla presidenza del Consiglio. I dirigenti di seconda fascia del ministero dell’Economia sono 585 e hanno uno stipendio lordo che sfiora i 100 mila euro. Più di 2.000 persone (non dirigenti) assunte dalla presidenza del Consiglio guadagnano circa 60 mila euro. In totale, solo per i ministeri, si parla di una spesa in stipendi per alti dirigenti di circa 300 milioni di euro l’anno. Regioni e Provincie spendono 42 milioni. Contando 10 mila dirigenti di seconda fascia con una media di 100 mila euro, il risultato è di un altro miliardo di euro all’anno.

Da anni è noto il fatto che la struttura dell’esercito italiano abbia una forma a “clessidra”: il rapporto fra ufficiali e truppa è uno dei più bassi al mondo, almeno secondo gli analisti militari. Cosicché anche se la retribuzione media nelle Forze armate è pari a circa 39 mila euro, superiore a quella degli altri dipendenti pubblici, anche in questo caso le asimmetrie sono dovute a una sproporzione fra base e vertici, il cui numero di alti ufficiali potrebbe fare concorrenza al Pentagono. Per pagare più di 400 generali (la metà di quelli degli Stati Uniti) lo Stato spende 250 milioni di euro l’anno. Esclusi carabinieri e guardia di finanza, sono circa 2.400 gli alti ufficiali di esercito, marina e aeronautica. Oltre ai circa 400 generali si contano 2.000 colonnelli. Facendo un semplice rapporto, risulta che nell’esercito c’è un ufficiale ogni 5 uomini. Nella marina 1 ogni 3.

Nell’aeronautica gli ufficiali sono più numerosi della truppa. Bisognerebbe prendere in considerazione i carabinieri perché il rapporto ufficiali-truppa scenda a un normale 1 a 15. Eppure anche in questo caso ci sono delle differenze di trattamento. Non tutti gli ufficiali hanno uno stipendio di riguardo. Secondo la Ragioneria di Stato, in media gli ufficiali classificati come dirigenti delle Forze armate sono la metà, e guadagnano circa 100 mila euro. Il numero di ufficiali classificati come dirigenti di seconda fascia arriva a 12 mila e guadagna in media 70 mila euro l’anno, per un costo di 840 milioni di euro. L’Italia, per pagare 15 mila dirigenti delle Forze armate, cioè 1 militare su 10, spende ogni anno 1 miliardo di euro. Per i dirigenti della polizia i contribuenti spendono 400 milioni di euro, più 200 milioni di euro per i quasi 2 mila alti dirigenti.

Basta rimandare
Il presidente della Repubblica guadagna 240 mila euro. Viene battuto in retribuzione da un gran numero di altri funzionari pubblici, fra cui i 400 avvocati dello Stato, che prendono circa 244 mila euro lordi l’anno, di cui 100 mila di indennità (inventata per adeguare lo stipendio all’inflazione). Superiore a quello del Capo dello Stato è anche lo stipendio dei giudici della Corte Costituzionale, che si aggira sui 454 mila euro lordi (il doppio della Corte Suprema americana), con il picco di 545 mila euro (dato 2014) per il presidente. Stipendi lordi sopra i 400 mila euro spettano ai segretari di Camera e Senato; sopra i 300 mila euro ai consiglieri parlamentari; fra i 200 e i 300 mila euro ai vertici della Cassazione, della Corte dei Conti e del Consiglio di Stato. 890 diplomatici guadagnano circa 190 mila euro. 170 alti dirigenti delle varie autorità indipendenti vengono pagati in media 150 mila euro: si va dai 120 mila euro dei membri della Commissione di vigilanza fondi pensione ai quasi 200 mila dell’Antitrust, dove il personale “non dirigente” guadagna non meno di 90 mila euro.

Di fronte a questi numeri e a quelli dell’economia italiana, del debito, della pressione fiscale, sembra strano che Renzi, dopo tante parole sui “manager” e sullo stipendio dei politici, non riesca a comprendere che trovare risorse per diminuire le tasse tagliando sulle buste paga dei dirigenti – se non altro per adeguarle a quello degli omologhi inglesi e americani –, non sembra così inappropriato o difficoltoso da essere ancora rimandato.

Foto Ansa

Tags: corte dei contiforze armatemagistratiMatteo RenziRoma
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