«In Siria bisogna temere i ribelli islamisti quanto Assad se non di più». Il dubbio che rode Obama e gli interventisti Usa
Rinnoviamo l’invito a firmare l’appello contro l’intervento armato in Siria.
In una intervista pubblicata oggi dal Corriere della Sera Norman Podhoretz, l’83enne politologo che con la sua rivista Commentary ispirò la linea neocon di George W. Bush (guerra in Iraq compresa), spiega il motivo per il quale, per ora, a Washington sembra avere avuto la meglio la linea non-interventista sulla Siria. Secondo Podhoretz, la decisione di Obama di sottomettere al voto del Congresso l’annunciato intervento armato nel paese mediorientale dimostra innanzitutto che, al contrario di quello che sostengono molti suoi oppositori, il presidente democratico non è affatto in continuità con il “guerrafondaio” Bush sulla politica estera. «Solo in superficie» sussistono analogie tra i due, ma in fondo «Obama è espressione di quella cultura della sinistra radicale degli anni Sessanta che crede nel pacifismo e, soprattutto, nell’isolazionismo americano». Mr Cambiamento, continua Podhoretz, «crede che se interveniamo fuori dai confini domestici possiamo creare solo problemi», ecco perché «il suo obiettivo è limitare il potere e l’influenza americana sul mondo».
UN PO’ MENO AMERICA. E se è vero che è stato proprio Obama a ipotizzare un intervento armato americano in Siria in seguito ai presunti bombardamenti chimici del regime di Assad contro i ribelli, la scelta di rimettersi al Congresso dimostra un «atteggiamento contraddittorio» che secondo il padre nobile dei neocon «dipende dal fatto che la realtà lo obbliga a intervenire: è successo con la promessa della chiusura di Guantanamo, con la guerra in Iraq e in Afghanistan. Tuttavia se potesse, starebbe a guardare, come in parte è successo con la Libia». Del resto anche i suoi compagni di partito si sono messi a «fare pressione su di lui per coinvolgere il Congresso» nel «tentativo di limitare contemporaneamente il potere presidenziale e i danni di un eventuale conflitto».
COME L’EGITTO. Del resto gli stessi neocon, già paladini dell'”esportazione della democrazia” ai tempi di Bush e dell’Iraq, oggi sulla Siria sono divisi e rosi da un dubbio. «È vero che molti pensano che andare contro Assad sia doveroso», spiega Podhoretz nell’intervista al Corriere. «Ma il principio secondo cui “i nemici dei miei nemici sono miei amici” non è più valido per tutti. Gli “islamo-fascisti” devono essere temuti quanto Assad se non di più, altrimenti la Siria rischia di fare la fine dell’Egitto con i Fratelli Musulmani». Il politologo ha anche un’autocritica da fare a se stesso e alle (ex?) idee suo movimento: «Le transizioni democratiche, soprattutto nei Paesi arabi, hanno bisogno di tempo e consapevolezza. È sbagliato pensare che si possa alterare il dna di un popolo».
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