Simbolo di mascolinità violenta, il “Don Giovanni” diventa gender free
Parigi. Per rendersi conto fino a che punto la follia woke abbia colpito la Francia, basta volgere lo sguardo a ciò che sta accadendo al Théâtre du Nord di Lille, uno dei teatri più importanti del Paese, che dal febbraio del 2021 è diretto David Bobée, 43 anni. Militante di estrema sinistra e iniziatore dell’associazione Decoloniser les arts presieduta dalla scrittrice Françoise Vergès (associazione che si pone come obiettivo quello di ridurre il numero dei bianchi, giudicato eccessivo, nel mondo delle arti e della cultura), Bobée ha deciso di portare in scena una delle pièce più importanti del teatro francese, Don Giovanni o sia Il convitato di pietra di Molière, ma proponendone una lettura “critica” in linea con la nuova sensibilità woke imperante.
Nel Don Giovanni decolonizzato i personaggi cambiano genere
Perché l’impenitente seduttore, secondo Bobée, è diventato una figura “problematica”, simbolo di una “mascolinità violenta”. «Si possono ancora interpretare certe situazioni o pièce fastidiose nel loro modo di affrontare i rapporti di dominazione e le violenze contro le donne? “Don Giovanni” non è soltanto la storia di un seduttore. È la storia della dominazione», ha affermato il regista teatrale francese durante una conferenza stampa. Nella commedia in cinque atti di Molière sono riunite, a sua detta, «tutte le forme di discriminazione contemporanea». «Ogni scena racconta una violenza che fa subire agli altri», sostiene Bobée: la glottofobia dinanzi all’accento dei contadini, il disprezzo di classe verso i poveri, l’ageismo nei confronti del padre e «naturalmente il sessismo», sottolinea.
Lo spettacolo andrà in scena tra il 17 e il 29 gennaio a Lille, poi Bobée inizierà il suo tour per portare in tutta la Francia (in altri 14 teatri), il suo Don Giovanni rivisitato in salsa wokista, perché, dice, il pubblico ha bisogno di interrogarsi dinanzi ai grandi personaggi storici e letterari «le cui storie ci infastidiscono». Ma come verrà rivisitato, nel dettaglio, questo classico del teatro francese, scritto nel Diciassettesimo secolo? Bobée ha detto di aver voluto “umanizzare” alcuni personaggi secondari, per far “emergere la violenza” di Don Giovanni, di “degenrer”, ossia di rendere neutri, senza genere alcuni partecipanti della pièce, di modificare la loro identità o le loro origini etniche.
Il regista lgbtq che rifiuta i progetti presentati dai bianchi
«Il padre, figura centrale della pièce, diventa una madre. I contadini diventano dei contadini con l’accento cinese», ha raccontato Bobée. «Al Théâtre du Nord di Lille, viene abbattuta la statua di Don Giovanni, rendendolo gender free», commenta il Figaro. La scelta degli attori è stata fatta in basa alla necessità di una «diversità di origini, di corpi e di età», ha aggiunto il registra francese durante la conferenza stampa di presentazione. Per incarnare Don Giovanni, Bobée ha scelto Radouan Leflahi, attore di origini marocchine che aveva già interpretato il suo Peer Gynt nel 2018. Accanto a lui, Shade Hardy Garvey Moungondo, di origini congolesi, Nadège Cathelineau e Catherine Dewitt. «Il teatro deve rappresentare la violenza, ma non a caso», ha dichiarato David Bobée, fiero di denunciare sul palco quel violento, dominatore e sessista di Don Giovanni.
Bobée si era già fatto riconoscere nel recente passato per le sue sparate. Quando era direttore del Centre Dramatique National dell’Alta Normandia, disse in un’intervista al Monde che «il mondo della cultura in Francia è razzista», vantandosi di aver rifiutato in blocco tutti i progetti concepiti, messi in scena e interpretati dai bianchi. «Nella mia programmazione non voglio spettacoli razzisti», affermò. Oltre a definirsi “decolonialista”, Bobée si dice intersezionale, oltre che militante Lgbtq. Nel 2016, un anno dopo aver preso la direzione del Centre Dramatique National dell’Alta Normandia, introdusse i bagni “neutri”, accessibili a tutti, postando una foto sui social per raccontare il gesto “rivoluzionario” con queste parole: «Quando si diventa direttori di un teatro, può accadere di essere fieri anche della porta di un bagno».
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