Si può essere liberi anche in guerra o sotto il totalitarismo più subdolo. A scuola da Grossman
Pubblichiamo stralci dell’intervento di Giovanni Maddalena all’incontro Educare alla libertà, organizzato dalla Fondazione Tempi il 9 giugno scorso a Milano.
Servono nuovi diritti o un approfondimento della natura del soggetto? Non è inutile rispondere a questa domanda a partire da Grossman perché lo scrittore russo mette in luce la radice profonda di tante discussioni di oggi: la libertà. Ed è questo approfondimento della natura del soggetto che occorre per capire che cosa sta succedendo.
Eppure i due significati del termine libertà devono vigere insieme e compenetrarsi (come molte leggi, dall’obbligatorietà della scuola al divieto delle droghe, hanno sempre fatto emergere). Per questo è istruttivo vedere l’esempio di Grossman, il quale, vivendo in un totalitarismo, è stato certamente un difensore della libertà di scelta ma, allo stesso tempo, data la sua passione cristallina per descrivere la realtà in modo sincero, ha presentato un quadro più complesso e attento della natura del soggetto umano che mette in luce il ruolo centrale della concezione di libertà come adesione.
Che cosa vuol dire essere liberi, per Grossman? La libertà è l’antidoto all’ideologia, dove per ideologia egli intende la triste tendenza dell’uomo a scegliere un idolo come significato ultimo della propria esistenza e della storia. Grossman è un classico perché capisce che questa possibilità non riguarda solo i totalitarismi, ma ciascun essere umano. Siamo tutti tendenzialmente ideologici, ossia tendiamo a scegliere e rendere esclusivo un pezzo della realtà (che può essere anche un desiderio o un concetto o un discorso) e lo erigiamo a principio unico e assoluto. L’ideologia è il contrario del senso religioso autentico, che è un’apertura al fatto che il significato non sia posseduto dall’uomo e un’attenzione esistenzialmente partecipata a ogni particolare così com’è, in quanto segno di un significato.
Il totalitarismo è la versione estrema dell’ideologia, ma anch’esso si può trovare spesso, a vari livelli, nell’esperienza quotidiana. Il totalitarismo si caratterizza, oltre che per l’ideologia, per propaganda, violenza fisica e/o morale, delazione sistematica, burocratizzazione, creazione del nemico oggettivo. Non è difficile vedere come, anche in una concezione teoricamente liberale come quella attuale, permangano forme di totalitarismo ideologico, a volte esercitate in nome degli stessi diritti che devono difendere desideri che in principio, dentro un ordine complessivo, hanno un’origine vera e profonda.
Come si descrive, dunque, l’uso sociale della libertà? Il primo grado, mai scontato, è il rifiuto del dominio altrui. Se si vuole, si potrebbe dire che il livello più elementare della libertà grossmaniana ha un accento illuministico, di difesa di se stessi, come singoli e come popolo, in quanto esseri umani, dotati di ragione. È il livello dell’anti-fascismo, il rifiuto del farsi piegare dalla forza altrui. Ed è un livello che trova il proprio aiuto fondamentale nella legge, così come è avvenuto dalla Rivoluzione francese in avanti. È questo tipo di concezione, con alleanza giuridica, che oggi resta spesso l’unico significato della parola “libertà”: poter fare ciò che si vuole senza ingerenze altrui.
Il secondo livello è quello della libertà di espressione. L’uomo ha bisogno di comunicare se stesso per custodire la propria identità. Non esiste una libertà senza legami e l’uomo è dunque libero, cioè se stesso, solo quando può essere in rapporto con gli altri, come testimonia l’eroe della libertà grossmaniana – Darenskij – dopo un dialogo sulla politica sovietica, avvenuto con uno sconosciuto, sperduti nella notte della steppa calmucca.
Ma aveva comunque pensato e detto ciò che di solito non pensava e non diceva, ed era una gioia. “Sa cosa le dico?” concluse. “Mai nella vita, qualunque cosa mi dovesse succedere, rimpiangerò questa nostra conversazione notturna” (Vita e Destino).
Fa parte di questa libertà di espressione anche quella di essere informati, di potersi formare da soli un giudizio, “senza balia” (VD: 261), di non avere notizie contraffatte o parziali. Grossman è un difensore del secondo aspetto elementare della libertà di scelta o “negativa”: devo poter formare un giudizio personale su quanto avviene perché senza quest’aspetto personale, nulla è mai effettivamente proprio, capito e vissuto.
Ma c’è un terzo livello, più profondo, della libertà descritta da Grossman: il rapporto con il vero, che è l’unica «forza prodigiosa», fonte di interesse e di gusto, di qualsiasi conversazione che sia «franca». Il rapporto decisivo della libertà con la verità emerge anche nel silenzio stupefatto dell’esercito sovietico dopo la vittoria, un silenzio nel quale tutte le cose tornano nuove, originali e vere.
Erano i più begli attimi di silenzio della loro vita. E in quegli attimi provarono sentimenti solo umani. Nessuno di loro, in seguito, avrebbe saputo spiegare la ragione di tanta felicità e tristezza, di tanto amore e tanta rassegnazione. […] La verità è una. Una sola, non due. Vivere senza verità, o con qualche briciola, qualche suo frammento, con una verità tosata o potata è difficile. Perché un pezzo di verità non è più verità. E in quella notte splendida e silenziosa si meritavano di averla tutta nel cuore la verità, tutta quanta (Vita e destino).
La libertà come rapporto con il vero raggiunge il suo apice nei “gesti”, in certe azioni che “portano” il vero (dal latino “gero”). Senza gesti, la verità rimane “vaga” cioè non determinata e non efficace. Il colonnello che rimanda di 8 minuti l’assalto ordinato da Stalin per salvare migliaia di uomini, il prigioniero del lager tedesco che si rifiuta di costruire una camera a gas, la vecchia russa che cura il soldato tedesco del plotone che sta uccidendo suo marito. Questi gesti di libertà vissuta, anche quando arrivano dentro tanti tradimenti, sono un’obbedienza delle persone a una verità più grande di sé, delle proprie idee, dei propri sentimenti, della propria convenienza.
Questo legame con il vero apre a un quarto e ultimo livello in cui l’uomo avverte di avere domande ed esigenze che oltrepassano le proprie capacità e possibilità, avverte che il rapporto con il vero implica un legame con l’origine profonda dell’intera realtà. La libertà è qui consapevolezza e amicizia con l’intero cosmo che viene sentito partecipe di ogni situazione, come la steppa calmucca che sempre «parla all’uomo di libertà e la ricorda a chi l’ha perduta». La libertà dell’uomo coincide qui con l’autocoscienza del cosmo. E tale dimensione apre alla caratteristica più grande della libertà: quella di essere accettazione della vita e domanda che quell’origine profonda dell’universo c’entri con la vita e i problemi che essa pone. La grande domanda si esprime come una questione sul destino di tutti coloro che amiamo, come dimostra la pagina finale di Vita e destino, dove la vecchia capostipite torna nella Stalingrado distrutta e si interroga sul destino delle persone a lei care.
Che cosa la aspettava? Aveva settant’anni e non sapeva rispondere. […] Che ne sarebbe stato dei suoi cari? Non lo sapeva. […] La vita della sua famiglia era caotica, confusa, poco chiara, piena di dubbi e di errori. …Perché le loro sorti erano così ingarbugliate, così oscure? […] Sebbene confusi, colmi di amarezze, di dubbi e di segreto dolore, tutti speravano di trovare la felicità. […] Per quanto né lei né loro potevano dire che cosa avesse in serbo la sorte, […] avrebbero comunque vissuto da uomini e da uomini sarebbero morti e chi era già morto era comunque morto da uomo: è questa la vittoria amara ed eterna degli uomini su tutte le forze possenti e disumane che sempre sono state e sempre saranno nel mondo, su ciò che passa e ciò che resta. (Vita e Destino)
Grossman in questo senso è un vertice del senso religioso. Come in Leopardi, le domande ultime dell’uomo, le sue esigenze profonde, sono segno sicuro dell’esistenza della risposta. Grossman, da ateo, afferma così che c’è un senso ultimo, un Dio non un idolo, e che la vita può avere un esito felice.
Una sfida educativa
L’articolazione della libertà grossmaniana mostra che la libertà originaria è aderire a un bene, a un vero e alla totalità dell’universo. Si tratta di una totalità che uno può accettare o rifiutare, e in questa possibilità di rifiuto sta la salvaguardia di fronte ai totalitarismi. Ma nella possibilità di aderire a qualcosa di vero, e che si possa dunque parlare di che cosa è vero e di cosa è bene – e si possa proporlo in gesti concreti – sta tutto il gusto della libertà personale contro l’omologazione. Per non perdere questo gusto uno deve essere educato, affettivamente e concretamente, a percepire il proprio legame con tutto. Tale educazione implica che ci sia la proposta di un bene, la tensione a dire il vero, la concretezza dell’azione, la sincerità della parola: la libertà deve essere “gesto”. Infatti, quando l’esperienza umana non ha dentro questa ricerca sincera o questa proposta appassionata della verità in atto, si chiude a ogni critica e a ogni dialogo, diventando inevitabilmente settaria, cioè ideologica.
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5 commenti
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La vera domanda è chi decide qual’è la verità, il bene e il giusto?
Tutto l’articolo parla di questa verità indiscutibile ma senza arrivare a dire perché mai proprio quella è la verità e non un’altra e chi l’avrebbe definita.
Allora non smettere di cercare. Forse, un giorno, troverai…
Anche no….
Magari trovo di meglio da fare.
In questa risposta mi pare d’avvertire un’eco, per altro molto banalizzata, di quella che Eric Voegelin individuò come caratteristica comune dei totalitarismi moderni: il “divieto di fare domande”…
Questo articolo e’ un riassunto con frasi veramente istruttive. Se ne desume giustamente, che la liberta’ ha un senso ben piu’ profondo del semplice potere o non potere fisicamente fare qualcosa.
La liberta’ nasce prima dalla ricerca di Verita’ , poi dalla consapevolezza del giusto, dal desiderio di fare cio’ che la Verita’ ci fa capire essere giusto ed infine, dal fare cio’ che e’ giusto, liberandoci con coraggio da tutti quegli impedimenti che il nostro egoismo ci insinua, nelle cose piccole di tutti i giorni, ma anche nelle cose grandi, fino a sacrificare tutto, come negli esempi dell’articolo.
Dove c’e’ Verita’ c’e’ Liberta’.
In molti casi, se non in tutti, andare contro la propria coscienza e’ l’esatto contrario dell’essere liberi.
E’ emblematico come l’assecondare il proprio egoismo, i propri difetti ed i propri vizi, ci porti ad essere sempre meno liberi, piu’ insoddisfatti e piu’ infelici. Quando invece riusciamo a vincere, non con le nostre sole misere forze, quei vincoli che ci impediscono di compiere il bene, diventiamo piu’ felici, soddisfatti e liberi.