
Si può ancora strappare la Nord Corea dall’abbraccio mortale di Putin

Pochi occidentali conoscono veramente la Corea del Nord al di là degli stereotipi. Ancora meno sono quelli che l’hanno visitata almeno una volta. E quasi nessuno può vantare di aver vissuto a nord del 38mo parallelo anche solo per poche settimane. Ecco perché il termine “esperta” per Katharina Zellweger è molto riduttivo. Dopo aver gestito da Hong Kong i programmi di Caritas Internationalis per la Corea del Nord dal 1995 al 2006, Zellweger ha vissuto a Pyongyang per cinque anni fino al 2011 in qualità di direttrice dell’Agenzia per lo sviluppo e la cooperazione del governo svizzero.
«Kim e Putin mi spaventano»
In quegli anni, racconta in un’intervista a Tempi a margine dell’incontro “La Corea del Nord vista da vicino” organizzato dal Pime il 12 novembre a Milano, «la vita era complicata: non era sempre chiaro che cosa potevi e non potevi fare. Ma quando capivi quali erano i limiti, le cose andavano bene. Avevamo anche la possibilità di prenderci delle pause e di andare a Pechino. Oltre a fare shopping, facevamo scorte di cibi non disponibili a Pyongyang e ci godevamo la città».
Terminata l’esperienza a Pyongyang, dopo aver insegnato per due anni accademici alla Stanford University della California come visiting fellow dell’Asian Pacific Research Center (Aprac), Zellweger ha fondato una ong, KorAid, per continuare ad aiutare la popolazione nordcoreana. In oltre 75 visite nel paese più eremitico del mondo – la prima nel 1995, l’ultima nel dicembre 2019, subito prima che il regime di Kim Jong-un chiudesse le frontiere – Zellweger ha imparato non soltanto a conoscere il paese, ma anche ad «apprezzare la gente, soprattutto la loro determinazione a non arrendersi». Anche per questo oggi si dice «estremamente preoccupata» dagli sviluppi politici del paese, soprattutto dal rafforzamento del rapporto tra Kim Jong-un e Vladimir Putin e dal deterioramento di quello tra le due Coree.
La Nord Corea al di là degli stereotipi
Oggi la Corea del Nord non è più quella dell’Ardua marcia, terminologia con cui il regime ha denominato la carestia che tra il 1994 e il 1998 ha portato alla morte di un numero imprecisato di nordcoreani compreso tra 300 mila e tre milioni. «A quel tempo la gente era abituata a dipendere in tutto e per tutto dal governo, dal cibo ai vestiti», racconta Zellweger. «Oggi non è più così. La popolazione ha capito che deve arrangiarsi da sola per sbarcare il lunario, che deve trovare altre strade per guadagnare dei soldi. Nelle campagne i mercati esistono da tempo e vengono organizzati ogni dieci giorni. Nelle città ormai viene tollerata la costruzione di mercati speciali dove si trovano sia prodotti locali che importati dalla Cina».
Per quanto al momento sia difficile avere notizie certe su quello che è accaduto in Corea del Nord negli ultimi cinque anni, Zellweger è convinta che nel paese non sia in corso una carestia. Questo non significa però che i problemi legati all’approvvigionamento di cibo siano terminati: «Non c’è dubbio che la scarsità di cibo costituisca ancora un’emergenza», continua. «E quando parlo di cibo non intendo solo riso e granturco, ma cibo di qualità: proteine, grassi, vitamine, minerali».

Le durissime sanzioni internazionali, legate ai programmi missilistico e nucleare che il regime continua a portare avanti, hanno minato lo sviluppo di settori fondamentali per la vita del paese, come l’agricoltura o la sanità. E se il regime non sembra essere rimasto molto intaccato dalle sanzioni, la popolazione continua a pagarne le conseguenze: «Il paese ha solo il 18% di terra arabile e mancano quasi completamente i macchinari moderni. Tutto si fa sostanzialmente ancora a mano». Il sistema sanitario, aggiunge Zellweger, è «gratuito ma fatta eccezione per Pyongyang quasi nessuno va in ospedale. A che cosa serve, infatti, se nelle strutture è difficile trovare medicine, se l’acqua potabile è un problema, se l’elettricità va e viene e bisogna portarsi da mangiare da casa?».
Gli abitanti dalle campagne potrebbero recarsi a Pyongyang, ma per uscire dalla propria città «serve un permesso speciale» e non è sempre facile ottenerlo. Pochissimi, inoltre, potrebbero prendere un’automobile per spostarsi: «Non esiste questo genere di proprietà privata nel paese».
L’aiuto per i più fragili della Nord Corea
Con la sua Ong, KorAid, Zellweger ha cercato in questi anni di aiutare i più fragili tra i nordcoreani, in special modo i disabili: «Abbiamo organizzato nel 2019 dei corsi di formazione per insegnare a prendersi cura dei bambini con autismo e disturbo da deficit dell’attenzione. Hanno partecipato medici, accompagnatori, genitori e avevano tantissime domande».
Inoltre, continua, «abbiamo sostenuto circa 35 mila operazioni di cataratta, importando lenti, gocce oculari e attrezzature essenziali in dieci ospedali in tutto il paese».
E poiché negli ultimi cinque anni le frontiere nordcoreane sono rimaste chiuse anche alle Ong, Zellweger ha iniziato a collaborare con l’Unicef: «Loro hanno mantenuto aperto il loro ufficio a Pyongyang. A me non piace restare seduta sulle donazioni, per questo abbiamo iniziato a lavorare con loro».
«Il dialogo è l’unica strada»
Durante il primo mandato di Donald Trump alla guida degli Stati Uniti, Zellweger ha davvero sperato che i colloqui potessero portare a una maggiore cooperazione. Purtroppo, i colloqui di Hanoi sono naufragati e la situazione è peggiorata ulteriormente. Il presidente eletto americano potrebbe essere tentato di riprovarci, ma la fondatrice di KorAid ha diversi dubbi:
«Non si può mai sapere, ma mi sembra che la Corea del Nord non sia più interessata a trovare una soluzione con gli americani. Inoltre, ora hanno un nuovo amico, Vladimir Putin. Con gli Usa i rapporti sono andati male per troppo tempo, mi sembra che l’attenzione di Pyongyang abbia cambiato obiettivo».
Questo non significa che per Zellweger non valga la pena riprovarci ancora: «Che cosa hanno ottenuto fino ad oggi le sanzioni? Sofferenze per la popolazione e poco altro. Il regime non è stato intaccato, il programma nucleare va avanti, quello missilistico è sempre più forte. Non c’è una via diversa dal dialogo, anche perché la situazione è sempre più pericolosa».

Kim e il rischio di una guerra nucleare
L’ex direttrice dell’Agenzia per lo sviluppo e la cooperazione del governo svizzero in Corea del Nord si riferisce alla retorica bellicista del regime nei confronti di Seul, che continua a crescere. A gennaio Kim, in un discorso al Parlamento fantoccio del paese, ha definito la Corea del Sud «il nostro nemico principale e immutabile», spiegando che la riunificazione è «impossibile» e non rappresenta più un obiettivo per Pyongyang.
«Io non penso che la Corea del Nord bombarderebbe mai Seul, però conosciamo tutti molto bene i rischi: errore umano, errore di calcolo, una reazione esagerata a una minaccia. Tutto può precipitare in poco tempo», continua l’esperta.
La riunificazione “impossibile” con Seul
Il tema della riunificazione è sempre più controverso, anche in Corea del Sud. Se da un lato Seul non è ostile e continua a considerarla un obiettivo, come recita la Costituzione, i giovani nati dopo la guerra, senza legami con il Nord, non sembrano granché interessati a tornare un unico paese.
«Parlare di riunificazione adesso mi sembra quasi fuori luogo: le due società sono troppo diverse», prosegue Zellweger. «Mi sembra più realistico puntare a una coesistenza pacifica che possa portare infine a un accordo di pace tra i due paesi e poi, quando entrambe le parti saranno pronte, forse anche alla riunificazione».
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