Nella notte della stangata, il sussiegoso Gavino Angius si tramutò repente in attonita faccia da curiale arcivescovile. Oh bella, quale manciata di sabbia di voti venne a ingrippare il motore della gioiosa macchina da guerra dei Puri? Diciamolo con un vero Vescovo, il cardinal Camillo Ruini, che a nome della Chiesa italiana, ha spiegato: l’esito del voto? “Innovativo e rassicurante”.
1. Godiamoci un po’ la festa del 16 aprile L’accidente fa il paio con l’euforia trapassata del Luigi Berlinguer in un’altra mitica notte di mezzo aprile, quella delle politiche ’96, quando una manciata di minuti dopo la chiusura dei seggi il barone rampante si presentò tutto trafelato davanti alle telecamere per annunciare che “erano cinquant’anni che aspettavamo (si intenda “noi comunisti”, benché chi più post, chi meno ex) questo giorno”. Se allora Berlinguer esultò per una gravidanza durata 50 anni, noi, molto più modestamente, godiamoci il felice esito di un travaglio durato poco più di un quinquennio, iniziato nell’autunno del ’94, quando uno sghembo ma efficace combinato a guida Oscar Luigi Scalfaro ribaltava il voto democraticamente espresso dagli italiani.
2. Autocelabrazioni Detto ciò, la copertina simbolo della straordinaria vittoria della casa della libertà, l’abbiamo fatta la scorsa settimana e non possiamo che felicitarci con Tempi se da qualche mese si era qui pubblicamente così tanto persuasi del buon governo Formigoni da assumerlo come testimonial nazionale e tormentone settimanale sotto la testatina “Lombardia libera tutti”. E ora qualche riflessioncina a caldo, da noi che di politica ne mastichiamo poca ma che già alla vigilia del 16 aprile, richiesti di un parere sui “catastrofici” sondaggi segreti che circolavano nelle redazioni romane (e che ad esempio davano il Veneto a Cacciari) spiegavamo ad amici e colleghi capitolini: take care, non abbiamo speso un lira per Data Media, ma le nostre antenne su piazza, le nostre suole bucate su strada, il proletariato che è tra noi ci dice che non ce n’è.
3. Le formichine alle urne, le marmotte a Botteghe Oscure Il popolo non è con D’Alema e i sette nani, sentivamo, scrivevamo e – qualcuno sospettava – con qualche eccesso ci galvanizzavamo. Tutto ciò si è dimostrato vero con tale eloquenza, che le marmotte uliviste nella notte acquattate a vedere se potevano fare diga coi legnetti (con la storia di Berlusconi al carro di Bossi, con le proiezioni di conflitti tra l’Umberto e il Silvio), hanno dovuto capitolare davanti al senza Bossi Storace, al senza Bossi Fitto, al senza Bossi Pace, al senza Bosssi Chiaravalloti (rammentando tra l’altro i casi di Venezia, Catania, Oristano … e che in Friuli, Sicilia, e Sardegna sono tutte regioni che, quatte quatte, stanno già col Cavaliere). Vedete cari lettori, certe volte, per essere un po’ chiaroveggenti, non occorre anche essere, galidellaloggiamente parlando, politologi barbuti o fini intellettuali di bottegoni oscuri. Basta stare per strada, salire sui tram, portare i figli a scuola ogni mattina. Dopo questa autocelabrazione, qualche pensiero.
4. Giudici, par condico e spot. Com’è che si vince anche imbavagliati? Nonostante i divieti di spot, le par condicio, i giudici con l’elmetto, si rafforza la compagine governativa del ’94 fatta saltare dalla sinistra in piazza, dal golpe istituzionale di Scalfaro, dal ribaltone dell’(allora) tatticistico fino all’ingenuità leader leghista. Ma il paese ha memoria lunga, intelligenza pratica, Bossi ha capito. E così l’Italia reale, nonostante il regime, non si è fatta prendere per il naso. Ha solo perso qualche anno di riforme.
5. Ulivo addio Lo sapevamo già ma il 16 aprile è stata una conferma bellissima: l’Ulivo si è dissolto e con lui è morta quella compagine eterogenea di comunisti senza fede e di cattolici senza fede che hanno nel potere il loro unico cemento. E…avete notizie dell’Asinello? 6. Chi vince a sinistra La sinistra sopravvive là dove la società produttiva vive in simbiosi con l’antico ed efficiente apparato della Lega delle cooperative (Emilia e Umbria, ma già scricchiola in Toscana e nelle Marche) o dove è legata a fenomeni popolari. Come nel caso della bellissima strana coppia Bassolino-Mastella, mix di antidalemismo incarnato e di solido voto di scambio. Ma anche in Campania emergerà presto un piccolo dettaglio da risolvere: per continuare a rimanere in sella ai simpatici Masaniello non sarà sufficiente proseguire sulla strada del maquillage e della creazione di nuovi fondali per il teatro di Napoli. Dovranno trovare risposte reali (e non più soltanto assistenzialistiche attraverso il drenaggio di risorse statali reperite al Nord) al disastro immigratorio, occupazionale, sanitario, scolastico della regione.
7. Se Emma&Pannella salvano il Governo.
Onore alla buon anima di Emma Bonino e onore al nostro lettore piemontese che ci mise sull’avviso. Aveva ragione lui e noi torto. Marco Pannella in Campania docet: chi tira troppo la corda prima o poi ci resta impiccato. Di primo acchito ne conseguirebbe che per i referendum del 22 maggio dovrebbe farsi strada una suggestione craxiana: tutti al mare.
8.Verso un nuovo ribaltone. Modesto consiglio alla Casa per non ricadere nel trappolone romano.
Ma attenzione, sbagliato, non si può, il Referendum paradossalmente salva di nuovo la pelle al governo. Siccome quando loro perdono le rivincite non finiscono mai, guardate cosa succede: volete che D’Alema si dimetta prima che il popolo si pronunci definitivamente su maggioritario e proporzionale? Ma certo che no. Ciampi rinvia D’Alema alle Camere e qui sulle prime c’è la strana situazione di chi, da destra (Boselli e cespugli vari) e da sinistra (Bertinotti, Cossutta, Cofferati) avrebbe tutte le ragioni politiche per impallinarlo, per l’uno (maggioritario che fa secchi i partitini) o per l’altro motivo (riforme liberistiche che fanno secchi i sindacati). Ma alle strette come sono a Roma che altra via c’è per mantenere le poltrone e scippare di nuovo il voto alle urne? Male che vada con il referendum si potrà sempre aver agio di un nuovo lasso di tempo per maccchinare escamotage e, soprattutto, essendo Fini per il maggioritario, Bossi per il proporzionale, incerto il Berlusconi, tentare di incasinare l’asse AN-FI-Lega. Dunque, dice il Partito, prendiamoci pure il rischio grosso di beccare una batosta su separazione delle carriere, pensioni e liberismo nel lavoro (anche questo potrà comunque farci gioco, pensano a Botteghe Oscure, giacché servirà ad avere mani libere per riformare alla nostra maniera il welfare e nel contempo a indebolire la Cgil che ci tiene sotto schiaffo), ma evitiamo le elezioni anticipate dove ci mandano a casa tutti, sicuro al 100%. Di qui ne discende: altro mese di campagna elettorale e, comunque vadano i referendum, i governativi ci spiegheranno che non possono più dimettersi perché il Parlamento avrà l’obbligo di fare leggi conseguenti al pronunciamento degli elettori, poi c’è la pausa dell’estate, autunno-inverno per completare le leggi referendarie (e mettere in pista una finanziaria ultra demagogica per le politiche di primavera) e poi oplà, eccoci arrivati al 2001. Che fare? Consigli per la casa della libertà: restare uniti, votare compatti e dividersi pure sul maggioritario (dichiarando che non è un problema avere idee diverse in materia di legge elettorale, prova ne è che in tale materia nell’attuale governo non c’è un solo partito che professi la stessa fede) e poi colpire duro facendo marciare compatte le regioni conquistate.
8. Presidenti Governatori Vs Ministri romani Anche se il governo ha in mano il potere per andare fino al 2001, il futuro è comunque segnato. Se il crack D’Alema affonda Piazza Affari, alla Borsa della new economy politica i presidenti delle Regioni varranno presto più di qualsiasi ministro romano. Dunque, volenti o nolenti, lo strappo dal centralismo statalista è virtualmente già consumato. Resta da attuarlo senza arroganza ideologica, ma con intelligenza e concretezza politica. Le Regioni del Nord hanno tutte le carte in reagola per indicare la via e l’attuazione delle riforme di cui ha bisogno il paese: federalismo e sussidiarietà nel campo del fisco, della sanità, dell’istruzione, delle opere pubbliche, dell’immigrazione e dell’organizzazione della sicurezza dei cittadini.
10. Non commettiamo “l’error dei ciechi che si fan duci”
All’improvviso non sono più degli eterni Gianni Morandi. All’improvviso qualcuno ha spento le luci. All’improvviso anche i supporter clericali si sono tramutati in crisantemi. All’improvviso i poveri e gli ultimi hannos coperto All’improvviso ha ragione il Manifesto: “È ormai buio a sinistra”. Impariamo la storica lezione: la presunzione rende ciechi. Perciò, per favore, non insuperbiamo fasciandoci in tricolori o in camicie di verde pittate, non diciamo più “padroni a casa nostra”, ma impariamo più realisticamente a dire “tutti sulla stessa barca”, a rimboccarci le maniche, a remare nei nostri ambienti e a legnare il governo centrale se si permette di tagliarci la strada alla via maestra della libertà, del federalismo, della sussidiarietà. La casa delle libertà non vince perché è arrogante, ma perché in quella casa c’è gente a cui piace vivere, spalancare le finestre, scendere per strada, farsi popolo. Lasciamo pure che nei Palazzi di Roma ricomincino le danze. Forse loro non lo hanno ancora capito. Ma se i vincitori non sono fessi, qui è iniziata la crociera delle libertà, là il walzer sul Titanic.