Quanto costa ai paperoni nostrani l’amore per la squadra del cuore?
I club di calcio perdono circa 1 miliardo di euro e i loro proprietari ogni anno aprono le loro casseforti per ripianare le perdite. Ma anche i loro capitali non sono infiniti. Secondo un articolo di Milano Finanza del 24 agosto a firma di Andrea Di Biase, i paperoni del calcio italiani hanno incassato 2 miliardi di dividendi. Ne consegue che la metà dei loro guadagni sono stati utilizzati per le loro squadre del cuore. Andrea Montanari, tifoso del Bologna e collega nello stesso giornale di Di Biase, ha collaborato alla stesura dell’articolo e a tempi.it commenta le evidenze empiriche rilevate nell’analisi dei conti del calcio.
Montanari, avete analizzato tutti i bilanci della serie A e avete trovato una situazione particolare. Possiamo sarcasticamente definirla poco efficiente?
I signori del calcio spendono soldi e ne spendono tanti, ma ci sono quelli bravi come De Laurentis e Pozzo che, grazie un a certo tipo di politica industriale che non intacca le attività familiari, anziché perdere ingenti somme, riescono ad avere i conti in ordine e altre realtà, come nel caso dei Moratti, dove la Saras – holding fino a poco tempo fa della famiglia -, ha foraggiato per anni l’Inter perdendo molti capitali. L’altra squadra milanese segue a ruota i nerazzurri: per il Milan la redditività di Mediaset e Mediolanum ha garantito dividendi ricchissimi a Fininvest che li ha utilizzati anche per il calcio. Anche Urbano Cairo, proprietario del Torino, è uno degli esempi più tipici, da quando ha comprato i granata il suo gruppo va molto bene – ha recentemente comprato la 7 – e ha distribuito dividendi elevati. La persona di Cairo – direttamente e indirettamente – detiene il 73 per cento della Cairo comunication e in questa quota partecipa al 44 per cento la Qt comunication (società dello stesso Cairo) che possiede il Torino calcio al 100 per cento. In poche parole i due terzi degli utili della Cairo comunication vanno a Cairo e di questi la metà vanno alla Qt che li gira al Torino. Stessa cosa per i Garrone: il business della Erg andava a gonfie vele ed è stato usato per risistemare i conti della Sampdoria.
Stiamo parlando di uomini d’affari e di successo nei loro campi, dov’è il tornaconto nello spendere tutti questi capitali per ripianare continue perdite?
C’è molto tornaconto di immagine, di visibilità e di influenza sociale. Basta vedere l’esempio in questi giorni di De Laurentis: sembra sia diventato il nuovo sindaco di Napoli.
Ma il rapporto rischio-rendimento non è andato un po’ oltre, insomma questo tornaconto di immagine, vale i soldi spesi?
Dipende, il mondo del calcio è molto variegato. Ci sono casi virtuosi e altri no e esistono anche delle particolarità come il Catania, dove il suo titolare è più bravo con il calcio che nel suo core business. Riescono a scovare giocatori a poco prezzo e rivenderli a prezzi maggiori, realizzando importanti plusvalenze. Enrico Preziosi è un altro caso a sé: non è genovese e il suo business è due anni che va male. Anche il calcio non va bene e lui continua a metterci soldi. Si è impegnato fortemente con il sistema bancario e ha problemi con la giustizia. Perché continua a foraggiare il Genoa? Forse perché ha un ritorno e senza calcio avrebbe più problemi, ma questa è solo una supposizione. Infine ricordo che la Juventus dell’era Moggi andava bene nel momento in cui la Fiat era sull’orlo del baratro, non veniva dato loro alcun centesimo, realizzavano plusvalenze nella vendita di giocatori e in più vincevano.
L’equazione soldi spesi – vittorie ottenute, non regge.
Assolutamente no. Milan e Inter hanno speso molto e i loro risultati li hanno portati a casa, ma altre squadre più piccole come la Sampdoria? Niente, neanche uno scudetto. È paradigmatico il fatto che le quattro finaliste della Champions league sono club ad azionariato popolare: non c’è un azionista di riferimento. C’è però un’altra domanda che da giornalista mi pongo.
Quale?
Il calcio italiano è sempre stato ai vertici in Europa, almeno fino ai mondiali 2006; perché i magnati russi, arabi o americani non comprano le nostre squadre? Se consideriamo che il calcio in Italia è la variabile che traina o abbassa gli abbonati di Sky o Mediaset premium ed è la leva sulla quale Sky punta maggiormente in un anno di crisi con Fox sport, perché non siamo appetibili ai grandi investitori esteri? Ora si parla della cessione dell’Inter, ma insomma, non stiamo parlando di un Abramovich o di qualche sceicco arabo. Comprano le nostre aziende, ma non le squadre di calcio.
Come se lo spiega?
Ci provo: il calcio italiano non è così remunerativo come nelle altre nazioni e perché c’è il solito campanilismo italiano. Uno sceicco dovrebbe interessarsi delle 3 big (Inter, Milan e Juventus), ma sono società fortemente connotate dagli attuali proprietari. Insomma, non siamo appetibili ed è colpa nostra. L’esempio di Milano. Abbiamo il museo allo stadio di San Siro, ma perché il comune non fa un bel museo in centro città con le due squadre che hanno vinto un numero di trofei senza eguali?
Parlava di poca propensione all’aspetto remunerativo come primo fattore. Ma non basterebbe essere un po’ più cauti con la gestione dei giocatori?
La spesa dei calciatori è la parte preponderante anche per folte rose. Una squadra come il Genoa ha 40 giocatori e una ventina di allenatori. Il problema è che tutti questi club non hanno un vivaio e sono costretti a comprare i calciatori, poi molti di questi non rendono e ci si perdono molti capitali. Manca la cultura del vivaio e si va a prendere lo straniero.
Non è gratis neppure la gestione di un vivaio, se si considerano le varie spese di gestione.
Ovvio che costa avere un vivaio, ma può essere un modo per ammortizzare. In fase di start up i primi anni perdi, ma poi vivi di rendita. E considerati i risultati, a parte la Juve, le grandi squadre, perdono parecchi soldi, mentre realtà come il Catania e il Napoli vincono nei bilanci.
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