Se non paritari, almeno liberi
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Carissimo direttore, volevo fare un monumento al lettore Currò di Messina (vedi la rubrica delle lettere di Tempi n. 16, ndr) per i potenti interrogativi che pone e per offrirgli una piccola consolazione, dal momento che, a meno di un miracolo, non vedrà mai una risposta positiva. Ma anche tu, direttore, devi metterti il cuore in pace. Hai ragione di dire che nel problema della libertà di educazione, l’aspetto economico è questione di giustizia. Ma non ti sei accorto che la parola giustizia, come le parole libertà o parità o sussidiarietà, è andata al macero o nell’oblio anche in campo cristiano?
[pubblicita_articolo allineam=”destra”]Per fare una scuola da cattolici, bisogna avere una logica cattolica (che scoperta!) e, quindi, motivazioni “spirituali” cioè, più che concrete; esattamente come sono le leggi della realtà investita, però, dal Dio fatto uomo. Certo che ci vogliono i soldi, e tanti. Ma il problema è nella “logica”. Se io dico: i costi della scuola sono tot, gli utenti sono tot, quello diviso questo fa tot (=retta), ecco, questa mi sembra una semplice logica aziendale. Se io dico che voglio fare una scuola da cattolico (per quel poco che sono, evidentemente) e che costa tanti soldi, io mi devo arrangiare a trovarli! Questa mi sembra una logica più cristiana. Comunque è la logica che a Tarcento abbiamo da quarant’anni e, prima di abbandonarla, siamo disposti a tirare ancora un po’ la cinghia.
Ricordo che anche don Giuss ha fatto un po’ di fatica ad accettare “il fatto”. Ma, dopo dieci anni, quando si è ben assicurato che non ci sono intrallazzi e che non abbiamo una lira di debito e, soprattutto, che riusciamo a vivere insieme anche un po’ matti, è venuto a darci la “medaglietta”. Questo ci è bastato per resistere altri trent’anni.
Mi rendo conto che devo giustificare il pessimismo circa la possibilità di cambiamento della situazione. Non è soltanto il nostro monsignor Negri a segnalare l’affievolimento dell’impeto educativo nel mondo cattolico. Quarant’anni fa mi sentii dire da sacerdoti che «è immorale dar vita a una scuola che può provocare difficoltà a una istituzione dello Stato» e, siccome era la stessa preoccupazione espressa su di noi dall’organo del Partito comunista (11 novembre 1976), mi divenne chiaro che era in atto uno scontro titanico non tra due ideologie, ma tra una libertà e il suo nemico.
Devo smetterla per non lasciarmi travolgere dalla tentazione del lamento. Non sarebbe giusto! Abbiamo avuto la grazia di nascere in una Chiesa dove ci è proposta un’esperienza di gioia che, in questo tempo pasquale, ha anche il sapore della Sua Vittoria! A proposito di vittoria, ti sei messo, caro direttore, nel campo di battaglia. È stata proprio una bellissima decisione.
Don Antonio Villa Tarcento, 29 aprile 2016
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5 commenti
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“E cosa c’è di tanto diverso nella “concessione” della parità in cambio della totale assimilazione al modello statale”
Una scuola faziosa, confessionale e ideologica non deve far parte del sistema scolastico di un paese civile.
I ragazzi non sono merce per gli interessi dei privati, hanno diritto alla verità, ad un insegnamento oggettivo e senza condizionamenti per crescere sani e per poter acquisire gli strumenti cirtici con cui valutare la realtà che li circonda.
Le scuole private prosperano sull’inefficenza della scuola pubblica a cui è condannata da politici corrotti e complici della chiesa che a loro volta sono espressione della parte peggiore della società.
Trollona, qui lucillo-franchino, ma sei già attiva alle 8,02 di domenica mattina?
Perbacco.
Quindi quale sarebbe l’idea?
Ti mollo i soldi – tanti soldi, l’intero importo delle rette magari basate su costi autodichiarati – e poi fai tu senza controlli ed invadenze ovviamente, se no ove finiscono parole come libertà o parità o sussidiarietà?
Il tutto perché don Giuss ti ha dato la medaglietta?
Entrando nella mensa della scuola una frase ricorda i conti in gioco:
“Un alunno statale riceve 7.688 euro. Un nostro alunno 106.”
Il “Ti mollo i soldi” è quasi ridicolo, ma tutto serve.
Per quanto riguarda la libertà, sarebbe molto più interessante vedere i frutti di una certa educazione ed istruzione piuttosto che di un’altra. Dai frutti si riconosce la pianta e non dai verbali dei consigli di classe: basta andare a vedere, basta avere questa umiltà.
“Alunno statale” ?
“Riceve” ?
Ma amo certi che trattasi di una scuola?