Lettere dalla fine del mondo

Se non fossimo di Cristo potrebbe abbandonarci anche nostra madre

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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – «Il Signore è con voi, potete andare in pace. Chiedo ai presenti che non sono parenti della defunta di uscire». Chiudo le porte e rivolgendomi ai familiari della signora Lorenza, affermo: «Ringrazio il nipote e sua moglie che hanno accompagnato la nonna nel suo lungo dolore, fino a ipotecare casa per aiutarla. Ma voi – riferendomi al figlio e alla figlia della signora – non avete mai voluto vedere vostra madre neanche quando era moribonda: con che coraggio siete qui? Capite perché durante la Messa non ho pronunciato “datevi un segno di pace” e non vi ho dato la comunione? Come si può permettere che un essere che è all’origine della tua vita se ne vada solo come un cane?». Terminata l’orazione funebre, do loro la mano in segno di pace dicendo: «Vi perdono il grave peccato a nome di questa madre che prima di morire, lucida, senza nessuno al suo fianco, mi ha confidato le sue ultime parole. Dite inoltre all’altra sua figlia, madre di quel nipote che ha sempre assistito la nonna con affetto, che il suo comportamento selvaggio non è degno di un essere umano: non è possibile che non sia venuta neanche alla Messa di addio».

Esco dalla clinica e incontro una signora arrabbiatissima: «Padre, lei conosce il badante dei miei genitori. Gli abbiamo dato tutto, lo abbiamo aiutato a comprarsi una casa, una macchina, a sposarsi, a farsi una famiglia. Ieri all’improvviso ci ha messo alle strette dicendoci che la datrice di lavoro di sua moglie gli offriva uno stipendio maggiore rispetto al nostro e che pensava di andarsene. Non ci potevo credere. Quando lo abbiamo raccolto dalla strada era un mendicante, gli abbiamo dato tutto e ora… per un piatto di lenticchie, ci ricatta. Ho voglia di cacciarlo come un cane». L’ascolto con amarezza ripetendomi: «Laddove non c’è Cristo non esiste gratitudine, il cuore è una pietra». E le dico: «Signora, non mi sorprende la sua rabbia, ma è inutile amareggiarsi: quando nel cuore dell’uomo non c’è il Signore, c’è solo il demonio e qualunque cosa è possibile. Lo cacci, lo lasci andare, presto piangerà di nostalgia, come gli israeliti, sulla strada per la Terra Promessa, rimpiangevano le cipolle che avevano mangiato in Egitto».

Finisco di parlare quando mi avvisano che i familiari dei malati mi aspettano per la riunione settimanale. Sono presenti solo quattro persone perché gli altri malati non hanno nessuno. Chiedo a ciascuno di raccontare la propria situazione. «Padre, io vivo sola e Pedro, il malato di Aids, è per me come un figlio: quando è nato sua madre me lo ha affidato, come ha fatto con tutti i suoi bambini. Da tempo ormai chiede di vederla, ma lei non ne vuole sapere. Sono l’unica che lo cura, molte volte non ho da mangiare, non ho soldi per le medicine. Ma grazie a Dio, quando tutto sembra finito, il Signore mi soccorre sempre attraverso qualcuno».

I malati, la bimba, il cuore
Ancora: «Padre, sono l’unica che si interessa di mio zio, gravemente malato di cancro, perché nessuno dei miei parenti ha tempo per farlo». «Padre, da 22 giorni sono qui con la mia piccola di 4 anni. Nessuno dei miei parenti è venuto a trovarmi. Sono sola con il mio dolore, ma Gesù è con me. Inoltre il giovane malato di Aids prega per la mia figlioletta, offrendo il suo dolore al Signore perché lei guarisca». «Padre, mia moglie è ricoverata da mesi nella clinica, ha fratelli, parenti, ma nessuno finora è venuto da lei per un saluto. L’Aids è diventata una barriera. Comunque, in questa casa abbiamo incontrato con il Signore un milione di amici: questo è ciò che vale».

La giornata è finita, presa l’immaginetta con la preghiera di padre Grandmaison (sacerdote gesuita), inizio a pregare: «Santa Maria, Madre di Dio, conservami un cuore di fanciullo, puro e limpido come acqua di sorgente. Ottienimi un cuore semplice, che non si ripieghi sulle proprie tristezze; un cuore magnanimo nel donarsi, facile alla compassione; un cuore fedele e generoso, che non dimentichi alcun bene e non conservi rancore di alcun male. Formami un cuore dolce e umile, che ami senza esigere di essere riamato, contento di scomparire in altri cuori, sacrificandosi davanti al tuo divino Figlio; un cuore grande e indomabile, perché nessuna ingratitudine lo possa chiudere, nessuna indifferenza lo possa stancare; un cuore appassionato per la Gloria di Cristo, ferito del suo amore, con una piaga che non si rimargini se non in cielo. Amen».
Davvero, come disse don Luigi Giussani a La Thuile nell’estate del 1977, «se non fossi tuo, mio Cristo, mi sentirei creatura finita». Se non fossimo tuoi, o Cristo, tutti potrebbero abbandonarci, perfino nostra madre, ma noi siamo disegnati nel palmo della mano del Signore, dal quale non siamo mai dimenticati.

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