Scola e l’ecologia: «L’uomo non può essere “responsabile” del creato senza Qualcuno a cui rispondere»
Pubblichiamo dall’Osservatore Romano l’anticipazione di una parte del discorso alla città che il cardinale arcivescovo di Milano terrà oggi 6 dicembre nella basilica di Sant’Ambrogio alla vigilia della memoria liturgica del santo patrono. Il discorso sarà contenuto nel libro Cosa nutre la vita? Expo 2015 (Milano, Edizione Centro Ambrosiano, 2013, pagine 96, euro 8,90, disponibile anche in e-book nella collana “I corsivi di Corriere della Sera” al prezzo di euro 1,79) in uscita il 9 dicembre.
«Nutrire il pianeta. Energia per la vita». Il titolo di Expo 2015 contiene quattro parole chiave: alimentazione, energia, pianeta, vita. Ciascuna forma di vita ha bisogno di energia. Il nesso vita-alimentazione, a sua volta incide sullo sviluppo del pianeta. Questa complessa circolarità chiama in causa una quinta parola chiave: l’uomo. Solo il riferimento all’uomo consente una riflessione che eviti di cadere in opposti estremismi nella considerazione dell’ambiente. Da una parte la posizione, ancora assai diffusa, che si relaziona all’ambiente con una logica “predatoria” o di sfruttamento; dall’altra quella che ne propugna una sorta di “sacralizzazione” che, alla fine, rivendica pari diritti per ogni forma di vita.
Superando queste opposte posizioni, la centralità dell’uomo consente di pensare un rapporto con il pianeta responsabile e capace di cura. Tale riferimento antropologico però domanda un deciso cambio di rotta in campo economico e tecnologico. Viceversa: non è pensabile una riformulazione dell’assetto economico-tecnologico globale senza mettere al centro, e non solo a parole, l’uomo e i suoi legami sociali.
L’affermazione del posto dell’uomo nel cosmo, necessaria per pensare alla “dimora” del pianeta di cui prendersi “cura”, non è in assoluto qualcosa di assodato nella cultura contemporanea.
Contro la centralità dell’uomo si muove la nota critica all’“antropocentrismo biblico” di certo pensiero ecologista. A dire di non pochi «il monoteismo ebraico e cristiano sarebbe stato funzionale agli interessi umani nei confronti della natura, servendo da garante teologico dell’esasperato antropocentrismo della concezione biblica».
Ma l’annuncio biblico sulla creazione del mondo e sul posto occupato in esso dall’uomo porta davvero ad una tale conclusione? È bene anzitutto non trascurare questo giudizio di Sergio Lanza: «La diffusa banalizzazione del racconto genesiaco è una delle disavventure culturali più gravi dell’Occidente moderno». Non di rado, infatti, le parole del Libro della Genesi non sono percepite nella giusta prospettiva. Esse non si preoccupano di fornire una “spiegazione scientifica” dell’origine dell’universo, ma intendono porre la domanda sull’uomo e sul senso — significato e direzione — della sua esistenza. Ciò non significa che la Parola di Dio non abbia qualcosa da dire sull’origine dell’universo. Anzi, i racconti della creazione ci offrono due importanti riflessioni complementari. Da una parte le diverse espressioni dei racconti non consentono un’univoca visione cosmologica. Dall’altra, nel tentativo di comprendere la realtà creata da Dio, gli stessi racconti si servono di elementi cosmologici.
E se si parla di comprensione della realtà il riferimento all’uomo è obbligato.
Appare, quindi, opportuno chinarsi di nuovo, sia pur brevemente, sui testi del Libro della Genesi che ci parlano della creazione dell’universo e dell’uomo e del loro rapporto. Essi, come sappiamo, sono due. Nel primo racconto della creazione — denominato dagli studiosi Poema dei sette giorni (cfr. Genesi, 1) — Dio formula un comando all’uomo: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra» (Genesi, 1, 28). Nel secondo racconto (cfr. Genesi, 2, 4 – 3, 24), l’insegnamento biblico afferma: «Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse» (Genesi, 2, 15).
Il primo dato, comune ai due racconti, sembra scontato, eppure riveste grande importanza: i protagonisti del rapporto uomo-cosmo non sono semplicemente due — la comunità degli uomini e la terra — ma tre. In entrambe le versioni il Creatore non cede il ruolo di protagonista. Anzi il testo biblico sottolinea con forza che è Dio a mettere in relazione l’uomo e il cosmo. Qualsiasi pretesa antropocentrica è così esclusa.
Se Dio, creando, non si ritira dalla creazione, Egli lascia tuttavia un ampio spazio all’uomo e alla sua corresponsabilità. L’uomo, infatti, non potrebbe essere effettivamente “responsabile” del creato senza qualcuno a cui rispondere. Se deve rispondere al Creatore, è perché l’opera della creazione è in fieri. Questa constatazione riveste grande importanza perché permette di superare una visione statica del rapporto tra l’umana libertà e il cosmo.
Per questa ragione Giovanni Paolo II non esitò a identificare la radice del problema ecologico in un errore antropologico: «Alla radice dell’insensata distruzione dell’ambiente naturale c’è un errore antropologico, purtroppo diffuso nel nostro tempo. L’uomo, che scopre la sua capacità di trasformare e, in un certo senso, di creare il mondo col proprio lavoro, dimentica che questo si svolge sempre sulla base della prima originaria donazione delle cose da parte di Dio. Egli pensa di poter disporre arbitrariamente della terra, assoggettandola senza riserve alla sua volontà. Invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio nell’opera della creazione, l’uomo si sostituisce a Dio e così finisce col provocare la ribellione della natura, piuttosto tiranneggiata che governata da lui» (Centesimus annus, 37).
La verità della pagina biblica esclude ogni antropocentrismo esasperato, come invece vorrebbero i suoi critici. Così come esclude la posizione opposta, quella di una “sacralizzazione” del cosmo che giunge, come disse il beato Giovanni Paolo II, a «eliminare la differenza ontologica e assiologica tra l’uomo e gli altri esseri viventi, considerando la biosfera come un’unità biotica di valore indifferenziato» (Discorso ai partecipanti ad un convegno su ambiente e salute, 24 marzo 1997, n. 5).
È necessario, quindi, recuperare l’insegnamento biblico compiuto, che mette in campo simultaneamente Dio, l’uomo ed il creato. Benedetto XVI ha parlato di «ecologia dell’uomo» (Caritas in veritate, 51). E Papa Francesco ha fatto riferimento a questo compito fin dall’omelia della messa per l’inizio del suo ministero petrino: «La vocazione del custodire, però, non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti (…) è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. È il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore» (19 marzo 2013).
I temi di Expo 2015 rappresentano un’occasione privilegiata per approfondire questa necessaria ecologia dell’uomo.
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