Un voto per la nazione

Di Pietro Piccinini
14 Maggio 2016
Sostenitore di Sala e di Renzi, amico fraterno di Parisi, Sergio Scalpelli prova a convincerci che bisogna battere il «partito della reazione permanente»
Da sin. Stefano Parisi, candidato a sindaco di Milano per il centrodestra, Gianluca Corrado, candidato per il Movimento 5 Stelle, e Giuseppe Sala, candidato per il centrodestra, in un momento del confronto organizzato da Confprofessioni Lombardia a Milano, 27 aprile 2016. ANSA/STEFANO PORTA

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Magari non sarà un complotto ma un assalto sicuramente sì. Sergio Scalpelli, uno che gli anni di Mani pulite li ha vissuti da protagonista della sinistra milanese, concorda con un grande vecchio della politica come Rino Formica quando dice che la raffica di colpi giudiziari al Pd restituisce una certa «aria di ’92». Per questo non si fa scrupoli a venire a dire a questo giornale che adesso bisogna sostenere Matteo Renzi.

[pubblicita_articolo allineam=”destra”]Di mestiere Scalpelli attualmente fa il manager di Fastweb (direttore delle relazioni esterne) ma rimane uno fra i più ascoltati conoscitori di “cose milanesi”. Che queste “cose” si muovano a destra o a sinistra, lui in qualche modo c’entra sempre. Ha simpatizzato per Lotta continua, è stato dirigente del Pci, ha diretto la Casa della Cultura, culla del progressismo meneghino, poi ha virato verso Craxi e si è spinto anche oltre, fino a Forza Italia (erano gli anni del partito liberale di massa). È stato assessore nella giunta di Gabriele Albertini, il cui city manager era un certo Stefano Parisi, che Scalpelli si ritroverà come amministratore delegato in Fastweb, vivendo al suo fianco – a proposito di manette facili – una delle più clamorose bolle mediatico-giudiziarie che l’Italia ricordi, il caso Fastweb-Telecom Italia Sparkle. Presentata come “la frode fiscale del secolo”, iniziò con decine di arresti e finì con tante scuse (Parisi fu solo indagato ma dovette dimettersi, salvo poi essere archiviato tre anni dopo).

C’è una costante, però, nelle mille piroette politiche di Scalpelli. Come tentò di spiegare già undici anni fa al Corriere della Sera, «ho sempre fatto il tifo per quello che veniva chiamato Partito Democratico. Dove lo vedo, vado». Tifava per Renzi prima che Renzi fosse. Così ha deciso da subito di spendersi per Beppe Sala nella corsa a sindaco di Milano. Se avesse saputo che il centrodestra gli avrebbe candidato contro proprio l’amico fraterno Parisi, chissà. Lui comunque si dice convinto che deve vincere Sala, e deve vincere Sala perché deve vincere Renzi. Non solo a Milano, anche a Torino, più complicato che ciò accada a Roma e Napoli. È una questione che parte da lontano. Dalla giustizia, appunto. Dalle «riforme liberali» che l’Italia aspetta da sempre e dalla fondazione del Foglio e di Tempi. Sì, perché Scalpelli ha anche contribuito a fondare il giornale di Giuliano Ferrara e questo, di cui è stato il primo direttore responsabile.

Sergio ScalpelliPartiamo da questa «aria di ’92»?
Io per cultura non credo nel complotto. Vedo però all’opera una specie di partito della reazione permanente, molto radicato in alcuni segmenti della politica, dei media, delle istituzioni, con un ruolo prevaricante di alcune procure. Un partito reazionario organizzato che si mobilita ogni volta che sia messo in discussione l’assetto dei rapporti tra i poteri dello Stato determinatosi all’inizio degli anni ’90.

Le toghe rosse?
Da tempo non è più quello il problema. È proprio una battaglia corporativa. Un pezzo di quel mondo non vuole che sia messa la parola fine alla guerra civile che si combatte senza armi in Italia da 25 anni, perché scrivere quella parola significa ricondurre nel loro giusto alveo i diversi organi dello Stato, quindi ripristinare il primato della politica. Lo scontro si indurirà nei prossimi mesi, visto che si entra nel vivo del confronto sulla riforma costituzionale. Perché quella riforma, con buona pace di quelli che dicono che è pasticciata, è uno spartiacque: l’Italia decide se avviarsi davvero a riscrivere il patto civile in funzione di una seconda (o terza) repubblica, o se invece proteggere lo status quo in nome della difesa della Costituzione più bella del mondo. Che però ha già subìto un vulnus non ancora sanato.

Quale vulnus?
L’invasione giudiziaria della politica, nel ’92-’93.

Nel partito della reazione c’è anche molta gente di sinistra.
Infatti paradossalmente quello che secondo me può cambiare la partita è Silvio Berlusconi: nonostante continui a dire sciocchezze sul tema, mi auguro che voglia chiudere la propria parabola politica con un gesto di generosità verso un tentativo di riforma che va nella stessa direzione che aveva esplorato anche lui.

Se il copione è lo stesso del ’92, allora l’obiettivo è abbattere il cinghialone.
Lo schema è quello, ecco perché Renzi deve reagire, rafforzare la sua capacità di tenuta, allargare il consenso, innalzare il confronto.

Non dovrebbe andare al frontale con la magistratura?
Mi sembra di capire che prima voglia vincere il referendum costituzionale, la madre di tutte le battaglie. Dopo di che è chiaro che il tema politica-magistrati resterà nella sua agenda. Ma è una corsa contro il tempo: tenteranno di non farlo arrivare all’appuntamento.

Sulla giustizia i segnali non sono molto promettenti: le microriforme su responsabilità civile e ferie dei magistrati, gli scatti di orgoglio regolarmente rimangiati (vedi dopo l’arresto del sindaco di Lodi), gli annunci caduti nel vuoto.
Ripeto, secondo me Renzi vuole vincere il referendum costituzionale per andare al voto forte di una bella presa sul Pd.

Sicuro che sia questo il “Partito Democratico” che ha sempre cercato?
Un Pd guidato da una cultura politica prevalente di ispirazione liberal-riformatrice renziana mi piacerebbe molto. Visto da vicino, però, il Pd ha un nocciolone duro che è molto distante. Renzi deve mettere mano al più presto all’intelaiatura del partito, costruire gruppi dirigenti davvero suoi, “blairiani” e riformisti. Di queste persone nel Pd se ne vedono poche.

Anche a Milano?
Anche a Milano.

A proposito: prima del referendum costituzionale, ci sono le amministrative. Perché lei invita a votare Sala per sostenere Renzi?
Faccio il tifoso. Siccome penso che Renzi vada nella direzione giusta, immagino che se uscisse dalle elezioni nelle prime quattro città italiane perdendo quattro a zero, beh, il cammino verso il referendum di ottobre un po’ si complicherebbe.

A Roma e Torino i grillini, a Napoli De Magistris. Ma a Milano potrebbe vincere il suo amico Parisi.
Se a Milano, anomalia assoluta, dovesse riprendere corpo un centrodestra unito intorno alla candidatura di Parisi, con un impianto prevalente liberal-popolare, non sarebbe male per gli interessi generali del paese. Poi che da una cosa che potrebbe succedere a Milano si inneschi un processo nazionale, questo è tutto da vedere. Io me lo auguro. Il risultato ideale, per me sarebbe un finale 50,5 a 49,5 per Sala. E una bella affermazione personale di Parisi e con lui di Lupi, Albertini, Amicone e di tutti quelli che in quel campo voteranno sì al referendum costituzionale e vogliono davvero dare vita a uno schieramento liberale e popolare.

Tifa Renzi ma anche centrodestra?
Uno può temere tutte le derive nazional-populiste possibili, ma a maggior ragione un centrodestra popolare, liberalconservatore è fondamentale per l’Italia. Anche perché nei prossimi sei-otto mesi può succedere che i cittadini britannici imbocchino la Brexit e gli Stati Uniti eleggano Trump presidente. L’Europa e il mondo potrebbero ballare un po’: avere nei singoli paesi coalizioni in cui prevalga la convergenza al centro aiuterebbe.

E invece Berlusconi…
Come si è visto con la virata improvvisa su Marchini a Roma, è ancora il più bravo. Quando vuole sa riprendersi rapidamente il campo, ma succede sempre più raramente.

Sala contava di vincere facile grazie all’evaporazione del centrodestra. Invece a sorpresa la partita si è riaperta.
Io credo che si risolverà all’ultimo voto al ballottaggio. E aggiungo un’osservazione. Secondo me, al fondo, ambedue i candidati sono riformisti da “partito della nazione”. Sala, nonostante vogliano schiacciarlo a sinistra-sinistra, le resta estraneo; Parisi va ben oltre il confine del centrodestra. Sala si è pronunciato per il sì al referendum costituzionale e scommetto che anche Parisi, al dunque, sosterrà la riforma.

Un altro suo amico è Massimo Ferlini, ex Pci divenuto uno dei principali animatori della Cdo. Lei ha sgridato molto la sinistra per la smaccata esibizione di pregiudizi con cui lo ha spinto fuori dalla lista di Sala.
Se posso parlare chiaro, è stata una sonora stronzata. Motivata solo da una coazione a ripetere luoghi comuni su Cl. La verità è che la Cdo è una importante realtà del sociale, che negli ultimi 15 anni ha incrociato prevalentemente Berlusconi per una semplice ragione: la diffidenza di una buona parte della sinistra verso il principio di sussidiarietà. Adesso però, grazie all’attorcigliamento di un centrodestra incartapecorito, e grazie soprattutto a una evoluzione nella leadership del centrosinistra che appare meno orientata alla centralità del pubblico in ogni settore, siamo di fronte a un fatto nuovo importante. Non so quantificarlo elettoralmente ma in chiave culturale e politica sarebbe stato un segnalone, che si sarebbe incarnato nella candidatura di Ferlini per Sala. Io lo avrei proposto addirittura come testa di lista nel Pd. Come gli indipendenti del Pci: è vero che erano considerati “utili idioti”, ma simboleggiavano anche un cammino. Quando nel 1987 candidammo Antonio Giolitti, che se n’era andato nel ’56 dopo i fatti di Ungheria divenendo uno dei maggiori esponenti del riformismo socialista anticomunista, non pensavamo mica che ci portasse carrettate di preferenze.

E lei dal Pci se n’è andato per la deriva giustizialista?
Me ne sono andato prima di Tangentopoli, nel 1991, con un gruppo di amici (Piero Borghini e altri). Abbiamo rotto perché il cammino liberal-socialista intrapreso con la morte del Pci e la nascita del Pds si era rivelato un camouflage. Eravamo destinati a entrare nel Psi, la grande formazione socialista riformista. Poi è successo quel che è successo e siamo arrivati a fondare nel 1995 il Foglio e Tempi. Ero già fuori dalla politica attiva, ma con il tema della giustizia chiaro in testa.

Lei non si è fatto problemi a partecipare alla presentazione milanese del libro di Totò Cuffaro, uno che il Pd rifugge come la criptonite. Si narra di un suo intervento infuocato sulla vicenda di Mario Rossetti.
Un manager Fastweb di prim’ordine che si è trovato immerso nell’universo umano del carcere e lo ha raccontato in un libro bellissimo, per il quale bisogna ringraziarlo. Ma questo non cancella lo scandalo di come è stata usata la carcerazione preventiva su di lui. Vale anche per la vicenda, diversissima, del sindaco Pd di Lodi: la vergogna non è che ci sia un’indagine per turbativa d’asta, ma che lo abbiano messo in galera invece di mandargli un avviso di garanzia.

Non avrebbe ottenuto lo stesso effetto.
Come nel caso Fastweb: senza arrestare Silvio Scaglia, Rossetti e un po’ di altri manager, quella inchiesta (che pure era seria perché aveva scovato una truffa ai danni di Fastweb e Telecom, non ordita da loro) avrebbe ottenuto semplicemente lo spazio che meritava. Un titolo nelle pagine di cronaca giudiziaria, non un caso di criminalità economica mostruosa, che non c’era. Il cancro è il circuito mediatico-giudiziario, che devasta la possibilità di ricostruire un rapporto virtuoso tra la giustizia e il resto della società.

Sulla giustizia vedremo. Per ora di Renzi abbiamo una riforma costituzionale che somiglia più a una controriforma antifederalista statalista.
Francamente, per come si è impiantato il federalismo in Italia, introdotto a spallate dalla Lega e senza un reale decentramento amministrativo e fiscale, abbiamo ottenuto solo regioni che sono ormai il vero ente inutile. Mi spiace per l’eccezione Lombardia, ma capisco l’impulso centralista. Meglio uno Stato centrale che tenda all’assottigliamento dei propri compiti secondo un principio di sussidiarietà estremo, che tanti stati federali superstatalisti.

Ma Renzi è il contrario della sussidiarietà. Di corpi intermedi non vuole nemmeno sentir parlare.
Io non penso che Renzi sia il bene assoluto, penso che sia uno che cerca di rimettere in moto quello che può, sperando che questo si associ a una ripresa economica minimamente strutturale. Non è il leader perfetto. Ecco perché è necessario che ci sia anche un centrodestra liberale, più tory che vecchia Dc.

È pronto a cambiare idea di nuovo?
Il progetto di Renzi somiglia vagamente allo schema che aveva in mente Craxi: ci sto, finché va avanti. Se domattina nel centrosinistra prevalesse che so, un Corbyn italiano, ci saluteremmo. Io oggi in Inghilterra voterei Cameron tutta la vita: quel Corbyn che guida i laburisti, che è pure un amichetto di Hamas, non lo voglio vedere nemmeno dipinto. Poi cosa devo dire, se finisce male anche nel centrodestra e invece di un modello Parisi prevale il lepenismo, faremo le associazioni culturali.

Lo ammetta: un po’ è tentato dal voto disgiunto Amicone-Sala.
Amicone avrà un bel successo personale in Forza Italia, ma io voto Pd. 

Foto Parisi Sala Ansa

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