Non ho visto il Festival di Sanremo, ma purtroppo l’ho visto lo stesso. Ormai è Sanremo tutti i giorni. È Sanremo quei giorni lì, quelli in cui si svolge la messa cantata del conformismo più letargico, in cui il tempo delle canzoni dura meno delle réclame, delle marchette, dei monologhi mattone ormai così ripetitivi che pure il giullare Benigni – quello che un tempo cantava giulivo L’inno del corpo sciolto (e che io preferivo) – adesso fa il chierichetto della Costituzione davanti a don Sergio, in cui ci rifilano filippiche sulle donne che non fanno figli – in Italia, dove c’è il gelo demografico –, in cui la superstar di Instagram ci propina pensierini che, al confronto, i biglietti dei Baci Perugina paiono L’Ulisse di Joyce e in cui il marito della superstar di Instagram si deve inventare il bacio gay per fare l’alternativo (a Sanremo, mica a Teheran o a Riad).
Va bene, non è il caso di fare la contropredica alle prediche, anche perché ...
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