Samantha morirà come Eluana?

Di Caterina Giojelli
17 Novembre 2021
Acqua, cibo, sedazione profonda, l'amministratore di sostegno, il giudice. Non è vero che il “caso Englaro” non ha insegnato niente. La vicenda della giovane veneta dice che, con o senza Dat, il destino dei disabili gravi è segnato
Samantha D’Incà, la 31enne veneta da 11 mesi in stato di minima coscienza
Samantha D’Incà, la 31enne veneta da 11 mesi in stato di minima coscienza (foto Ansa)

Vista dai radicali, in piena campagna per l’eutanasia legale, e da Beppino Englaro, la vicenda di Eluana non ci ha insegnato niente; prova ne è «la situazione infernale» in cui si trovano i genitori di Samantha D’Incà, la 31enne di Feltre in stato di minima coscienza da quasi un anno. Ora un giudice ha stabilito che il padre può interrompere i trattamenti vitali, ma per Englaro, fin dall’inizio, il punto è sempre stato un altro: «Senza disposizioni anticipate di trattamento chiare e inequivocabili per una futura capacità di autodeterminarsi non se ne esce. Il caso ha voluto che mia figlia conoscesse solo il bianco o il nero per quanto riguarda la sua vita. Mi dispiace che questa ragazza in questo momento si trovi scoperta. Che non avesse voluto affrontare questo tema, con disposizioni scritte. Si tratta di decisioni che vanno affrontate fino in fondo e con le idee chiare o si incorre in queste situazioni. Senza si è spacciati».

Con o senza Dat siamo spacciati

Spacciati? Se un’equipe medica deciderà di rimuovere idratazione e nutrizione, Samantha morirà. Senza aver lasciato un testamento biologico, senza avere fatto le Dat ai sensi della legge 219/17. Una legge che si piccava di evitare altri “casi Englaro” e applicata in prima battuta dal Tribunale di Belluno, che a maggio ha negato ai genitori della ragazza la possibilità di “staccare la spina”, una decisione ritenuta illecita in un primo momento anche dal comitato etico della Ussl territoriale. Ed è proprio qui che invece il caso Englaro comincia a fare scuola.

Fiondandosi ad affiancare la famiglia D’Incà, Marco Cappato si era detto subito fiducioso: «Questa cosa può essere risolta sulla base delle battaglie vinte in precedenza. Normale per la legge non accogliere subito l’istanza se non c’è un testamento biologico ma abbiamo già seguito procedimenti giudiziari di questo tipo». A conferma delle parole del tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, il segretario Filomena Gallo aveva assicurato di aver già seguito due casi di persone «che come Samantha non erano più in grado di esprimere le loro volontà. È stata seguita la procedura prevista dalla legge 219/17: abbiamo ricostruito la volontà degli assistiti tramite la testimonianza di parenti, amici e familiari e abbiamo ottenuto dei provvedimenti da parte dei giudici per la sospensione del trattamento sanitario».

«Samantha sarà libera»

Il trattamento sanitario? «Adesso potrò dare il mio consenso affinché le vengano interrotte la nutrizione e l’idratazione. Poi con la sedazione profonda la nostra bambina ci lascerà», ha spiegato Giorgio D’Incà a Repubblica, quando, il 10 novembre scorso, il giudice l’ha nominato amministratore di sostegno di sua figlia Samantha. Una ragazza che il 4 dicembre si era, come dice il padre, «spenta» (cioè era entrata in stato di minima coscienza) in un ospedale di Treviso. Era stata portata lì d’urgenza dall’ospedale di Feltre, dove era stata operata al femore in seguito a una brutta caduta e dove «forse» aveva preso un batterio in sala operatoria dalle complicanze drammatiche. «Ma della battaglia per ottenere giustizia sul fronte sanitario ci occuperemo dopo». Dopo, quando?, aveva chiesto la giornalista di Repubblica a d’Incà. «Quando Samantha sarà libera e le sue ceneri sparse nel mare della laguna di Venezia. Finalmente i medici e il giudice hanno ascoltato la nostra voce».

La voce dei genitori si era levata non appena la ragazza era entrata in “stato vegetativo”, per chiedere a medici e giudici che fosse «lasciata libera», «rispettata la sua dignità», «esaudita la sua volontà» (morire piuttosto che vivere nella condizione di Eluana Englaro o Dj Fabo), la sentenza risale invece alla scorsa settimana. Dopo un tentativo di riabilitazione ad agosto in un centro specializzato a Vipiteno, supervisionato dal professore Leopold Saltuari (che ha seguito anche il caso Schumacher), e dopo un secondo parere del comitato etico (rieletto a fine agosto) e uno della procura di Belluno (favorevole a interrompere trattamenti e sostegni vitali), il giudice tutelare Umberto Giacomelli ha indicato dunque Giorgio D’Incà amministratore di sostegno di Samantha, con facoltà di avviare il percorso di fine vita della ragazza (per due volte la “nomina” del padre era stata respinta perché considerato troppo emotivamente coinvolto).

«Quale ragazza lascia le Dat a 30 anni?»

Avviare in che modo? Nel parere del comitato – leggiamo sul Fatto quotidiano -, c’è scritto che «nella probabilità del verificarsi di complicanze e nell’eventualità di una mancata risposta alle terapie messe in atto in struttura, è appropriato valutare di procedere ad una sedazione palliativa profonda». E che «la condizione clinica descritta e l’analisi dei profili bioetici emergenti suggeriscono di non escludere una desistenza dal trattamento di nutrizione artificiale». Lo stesso comitato aveva sostenuto la necessità di effettuare una «ricostruzione della volontà della donna» ai sensi della legge sulle Dat. «Quale ragazza lascia un testamento biologico a 30 anni? Le volontà di Samantha sono state ricostruite sulla base delle nostre testimonianze», ha spiegato D’Incà a Repubblica. «Fin dai giorni terribili di Eluana Samy diceva che non lasciarla morire era un accanimento disumano. Di fronte al dramma di Dj Fabo, che abbiamo seguito ogni giorno, Samy continuava a ripetere che sarebbe stato giusto aiutarlo a morire. Noi siamo sempre stati per l’eutanasia e la libera scelta».

È al parere del comitato etico che il giudice fa riferimento nello scrivere una sentenza «innovativa», che «farà scuola», spiega l’avvocato di famiglia, vincolando tuttavia il consenso all’interruzione dei trattamenti da parte del padre alla decisione dei medici. Non sarà quindi “formalmente” D’Incà a stabilire se e quando Samantha morirà, ma i sanitari, e solo in caso di «un severo aggravamento e una mancata risposta alle cure erogabili», oppure di «rischi di complicanze» (sempre fonte Fatto). In altre parole al padre di Samantha viene consegnato il potere di esprimere o rifiutare il suo consenso alle cure “proposte dal medico”, l’équipe che la sta seguendo nell’Rsa di Cavarzano, a Belluno. E se le cure proposte non fossero un fine vita? «Cercheremo un’altra équipe» ha tagliato corto D’Incà su Repubblica.

Senza acqua e cibo, il protocollo Eluana

Noi non sappiamo quali siano le condizioni di Samantha, se siano analoghe a quella di Eluana Englaro (che al momento del ricovero “d’urgenza” alla Quiete di Udine, dove le sono state ritirate idratazione e nutrizione, non presentava «patologie rilevanti» passate, si trovava in «buone condizioni di salute», un ciclo sonno-veglia «normale», «non ha piaghe da decubito»). Sappiamo che come Eluana, Samantha non dipende da un respiratore e non è una malata terminale.

«È vero che la legge sulle Dat ha equiparato l’erogazione di idratazione e nutrizione per via artificiale a trattamenti sanitari», spiega a Tempi Alfredo Mantovano, magistrato di Cassazione e vicepresidente del Centro studi Rosario Livatino, «ma sappiamo tutti che si tratta di due categorie ontologicamente diverse. Come per Eluana, anche nel caso di Samantha si sta parlando di privazione di acqua e cibo e si ipotizza il ricorso alla sedazione profonda per sollevarla dalle sofferenze. Non quelle derivate da una patologia, bensì dai dolori, atroci, causati dal ritiro degli stessi sostegni vitali».

L’irrompere del comitato etico

Tra le informazioni rilasciate dalla famiglia alla stampa su cosa pensava Samantha e perché «non avrebbe mai voluto un’esistenza così», non ci sono riferimenti alle sue condizioni di “salute” prima e dopo l’operazione al femore, nessuno ha mai fatto riferimento a una malattia che prefigurasse morte imminente né a “cure” palliative. «Ma anche l’iter per arrivare all’interruzione di idratazione e nutrizione ricalca il caso Englaro: c’è la figura dell’amministratore di sostegno – anche in questo caso il padre – che non ricava le volontà di sua figlia da una dichiarazione scritta, bensì da stile di vita e ricordi, forzando le maglie della legge 219. E c’è un giudice che autorizza l’intera procedura basandola sulle presunte volontà. La vera novità è rappresentata piuttosto dal ruolo rivestito dal comitato etico».

Mantovano ricorda che allo stato attuale la disciplina dei comitati etici è nel caos, non c’è alcun quadro normativo di riferimento che autorizzi gli stessi ad emettere pareri vincolanti al di là delle materie di competenza, valutazioni su trial clinici o terapie sperimentali. In pratica, nonostante sia stato dato mandato al governo di riportare ordine, al momento nessun comitato etico, nemmeno nel testo di legge sull’eutanasia in discussione, avrebbe il potere di “alzare o abbassare il pollice” sul destino di un malato. “Avrebbe”: dopo l’ultima pronuncia del giudice «c’è da chiedersi quale sorte attenda oggi i non pochi casi Englaro in Italia, casi di disabili gravi che non sono mantenuti in vita artificialmente né sono sottoposti ad accanimento terapeutico. Spiace dirlo, ma la morte di Eluana ha segnato uno spartiacque: il disabile che piace è quello che vince le Paralimpiadi, lasciare in vita quello allettato è visto invece come un danno». Un danno costoso e inutile.

Se finirà come Eluana «sarà un fallimento»

A questo proposito e in questo momento di bilanci di governo consegnati al parlamento, sottolinea Mantovano, sarebbe interessante confrontare le risorse confermate per «quello strumento di diseducazione di massa chiamato reddito di cittadinanza, o destinate alla transizione ecologica, cioè al tributo alla religione del clima» con quelle messe in campo per il sostegno delle famiglie “danneggiate” secondo la logica di cui sopra. Un sostegno in termini di accompagnamento anche psicologico per chi vive il dramma della sofferenza. «Cosa resta di quanto ci siamo detti a proposito dei cosiddetti “caregiver” all’inizio della pandemia? Delle persone che per prendersi cura di un familiare disabile hanno dovuto rinunciare o perdere il lavoro, reddito? Per settimane abbiamo ascoltato le manfrine sul Ddl Zan, ora sarebbe interessante che qualcuno rimuovesse le discriminazioni – quelle vere, verso i disabili – con i fatti e non solo a parole».

Non è vero che il caso Englaro non ci ha insegnato niente. Nonostante Eluana, Dj Fabo, la campagna a tambur battente dei radicali sull’eutanasia, le Dat sono un flop, gli italiani non le firmano. Non è vero che senza le proprie volontà «si è spacciati». Per esserlo basta la volontà di un altro. Un amministratore di sostegno, un giudice, un comitato etico, una società che in un disabile a letto non vede più una persona ma un reato di lesa dignità e normalità. Da risolvere con l’erogazione dell’eutanasia a chi nei fatti resta un non consenziente. Se Samantha morirà come previsto, conclude Mantovano, non sarà solo un altro caso Englaro, «sarà il fallimento di tutti».

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