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È questione di tempismo e, forse, di fortuna. Di cogliere il momentum, come dicono gli americani. E sei mesi fa, dopo la roboante riconferma a governatore della Florida, più di un repubblicano era persuaso che fosse scoccata l’ora di DeSantis, che dopo Donald toccasse a Ronald. Sul palco di Tampa, benedetto da una pioggia di voti e di coriandoli, pareva chiaro che il quarantaquattrenne governatore bis fosse l’uomo del destino, «il combattente creato da Dio» – come aveva postato la moglie Casey – per far fronte alle sfide dell’America oggi. Il giorno della non-vittoria repubblicana alle elezioni di metà mandato era iniziato il dopo Trump; il partito che negli anni, come riflesso alla sua base fedele all’ex presidente, si era rassegnato alla sua metamorfosi e aveva finalmente trovato il profilo vincente e dall’immagine non compromessa: Ron DeSantis. E invece no.
Invece, qualcosa è andato storto: l’inverno dello scontento trumpiano non pare ...
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