
Roald Dahl ci ha messi finalmente (quasi) tutti d’accordo

Evviva, finalmente siamo (quasi) tutti d’accordo: non scriveremo l’ovvio, cioè che Augustus Gloop è un grassone – o che gli Umpa Lumpa sono piccoli uomini (pigmei, era scritto in origine), o che ci sono delle streghe calve, o che la signora Sporcelli è davvero di una raccapricciante bruttezza – per non causare una angina pectoris ai sensitivity reader, ma che quel gigante di Roald Dahl potesse scriverlo e il bambini leggerlo senza per questo finire in analisi, a far la guerra, il colonialismo e i femminicidi sì.
Cancellati centinaia di passaggi “razzisti” ed “escludenti”
Riassunto per chi vive in un mondo sano e senza glutine ideologico: sta generando scandalo e indignazione ad ogni latitudine l’ormai famigerata operazioncina culturale della Puffin Books, editore britannico dei libri di Roald Dahl (gruppo Penguin Random House, il colosso dell’editoria mondiale) e della Roald Dahl Story Company (società che possiede i diritti d’autore fondata dagli eredi e che dal 2021 è interamente di proprietà di Netflix) sulle opere del grande scrittore autore de La fabbrica di cioccolato, Matilde, il GGG.
Operazioncina consistente nella revisione dei passaggi considerati sessisti, razzisti, veicolo di stereotipi, diseducativi ed escludenti. Quanti? Centinaia secondo il Telegraph che ha documentato tutte le revisioni nell’inchiesta “The rewriting of Roald Dahl”: la mannaia dei sensitivity reader, ossia gli editor del collettivo Inclusive Minds che passano al setaccio manoscritti e libri a caccia di stereotipi, pregiudizi, osservazioni e rappresentazioni tacciabili di lesa sensibilità, è calata su parole come “grasso”, “brutto”, “matto”, “pazzo”, “nero”, “doppio mento”, e su intere frasi (come questa, una delle 59 modifiche rilevate nel testo de Le Streghe «Non voglio parlar male delle donne. In genere sono adorabili. Ma tutte le streghe sono donne: è un fatto», scomparsa), e non mancano i rimaneggiamenti. Dalla traduzione del Post:
«Nella vecchia edizione, a un certo punto la nonna spiega al nipote che le streghe indossano guanti per nascondere di avere “lunghi artigli aguzzi e ricurvi” al posto delle unghie e parrucche per nascondere di essere calve. Lui le risponde che quindi tirerà i capelli a tutte le donne per riconoscere le streghe, e la nonna replica:
“Non dire stupidaggini. Non puoi tirare i capelli a tutte le donne che incontri, anche se portano i guanti. Provaci e vedrai”.
Nella nuova edizione britannica la risposta è diventata:
“Non dire stupidaggini. Peraltro ci sono molte altre ragioni per cui una donna potrebbe indossare una parrucca senza che ci sia nulla di sbagliato”».
Ancora: a una delle Streghe non è più concesso di ragionare come se facesse la «cassiera in un supermercato o segretaria per un uomo d’affari» ma come fosse «uno scienziato di punta o a capo di una azienda». Matilde si è messa a leggere Jane Austen invece di Rudyard Kipling, mamme e papà diventano genitori, scompaiono i ciccioni e i matti, i trattori del Favoloso mondo di Mr. Fox non sono più “neri” ma solo «mostri dall’aspetto brutale e assassino».
Le supercazzole woke per giustificare la censura di Dahl
«Roald Dahl non era un angelo, ma questa è una censura assurda. Puffin Books e i gestori dei diritti di Dahl dovrebbero vergognarsi», ha tuonato Salman Rushdie, che di censura ne sa più di tutti gli scrittori e politici che hanno lanciato strali e petizioni contro la casa editrice in difesa della libertà di parola, da Pen America a Rishi Sunak. La rivolta degli autori per l’infanzia c’è stata anche in Italia dove Pierdomenico Baccalario ha lanciato la petizione “Save Roald Dahl from Puffin New Edit“ («Considero questo editing offensivo per milioni di lettori»), Paola Mastrocola l’ha chiamata «una malattia gravissima», «Se si arrivano a riscrivere i grandi libri — e Dahl è un grandissimo, uno degli autori per l’infanzia più liberi, con un umorismo intelligente, una critica della società in grado di sovvertire luoghi comuni — siamo alla fine della civiltà», e Bianca Pitzorno ha dichiarato «Trovo pazzesca
l’operazione di revisione del testo. La sua particolarità è che era crudele, non risparmiava ai bambini le brutture della vita. Per questo piace tanto», «vieterò per testamento che lo facciano i miei eredi».
Strano ma vero, anche destra e sinistra, stampa progressista e reazionaria, si sono trovati tutti allineati, perfino i più preposti al raddrizzamento del legno storto dell’umanità come Massimo Gramellini o Nadia Terranova. Certo, non manca chi si accontenta di improntare la difesa di Dahl al signoramia, «il punto di vista di Dahl sul mondo è quello di un uomo britannico nato nel 1916» e «le opere letterarie vanno preservate come opere d’arte», come se dal 1916 grassi, pigmei, donne o neri fossero solo parole figlie del loro tempo e vivaddio estinte (salvo riapparire come canone ideologico, portatore di diversità e inclusione al cinema, nello sport o perfino in azienda). Così come non mancano le supercazzole woke della casa editrice sull’importanza delle parole e il rispetto della sensibilità degli infanti, «vogliamo assicurarci che le meravigliose storie e i personaggi di Roald Dahl continuino ad essere apprezzati da tutti i bambini di oggi». Certo: e magari le fisime woke di Netflix non c’entrano nulla.
I bambini di oggi e quelli di cento anni fa sono così diversi?
Ma in cosa sarebbero diversi i bambini di oggi da quelli di cent’anni fa? Da anni nel mondo anglosassone è in corso una sorta di igiene delle eredità, ci passano i cartoni animati, ci è passato anche il “Dr Seuss” Theodor Geisel, uno da oltre 600 milioni di copie di libri per bambini vendute in tutto il mondo, tradotte in più di venti lingue e poi ritirato dagli scaffali: uno che ci ha insegnato che i piccoli sono gli estimatori d’istinto del nonsense intelligente, incantati dalla costante e arguta presa in giro della stupidità gratuita, dall’ingegneria fantastica, dalla deformazione temporanea delle cose così efficace a rappresentare l’assurdo della realtà e del mondo dei grandi.
Non staremo a elencare cosa ci ha lasciato o insegnato il gigante Dahl, 250 milioni di copie, di cui sappiamo dicesse cose assolutamente sconvenienti e litigasse con tutti i suoi editor («Non ricevo mai proteste da parte dei bambini. Ottieni solo allegria e gioia. So cosa piace ai bambini»).
Non serve amare Roald Dahl per non censurarlo
Non staremo a difendere il suo mondo così politicamente scorretto e lesivo della sensibilità altrui perché sul tema ha scritto una pagina fondamentale Wisława Szymborska (l’ha richiamata qui qualche anno fa a proposito della fisima degli adulti a non turbare i bambini, Giovanna Zoboli, con Paolo Canton fondatrice della casa editrice TopiPittori). S’intitola L’importanza di farsi spaventare:
«I bambini amano essere spaventati dalle favole. Hanno un naturale bisogno di sperimentare emozioni forti. Andersen atterriva i bambini, ma nessuno di loro, una volta diventato grande, gliene ha mai voluto. Le sue splendide favole sono piene di creature soprannaturali, senza contare gli animali parlanti e i secchi dal pronto eloquio. Non tutti i membri di questa confraternita sono cordiali e innocui. Il personaggio che ricorre con maggiore frequenza è la morte, figura implacabile che irrompe all’improvviso nel cuore della felicità, portandosi via i migliori, i più amati.
Andersen prendeva i bambini sul serio. Non parlava loro soltanto della radiosa avventura della vita, ma anche di disgrazie, sventure e sconfitte non sempre meritate. Le sue favole, popolate di creature immaginarie, sono più realistiche di quintali di odierna letteratura per l’infanzia, così ansiosa di risultare verisimile da sfuggire gli incantesimi come la peste. Andersen aveva il coraggio di scrivere favole con un finale triste. Riteneva che non si debba cercare di essere buoni per un tornaconto (proprio quello che i raccontini moralistici di oggi si ostinano a divulgare, e che non sempre, in questo mondo, corrisponde a verità), ma perché la cattiveria è frutto di un limite intellettuale ed emotivo, l’unica forma di miseria da cui tenersi alla larga. Ed è ridicola, quant’è ridicola! Andersen non sarebbe stato il grande scrittore che fu senza un senso dell’umorismo che spaziava dall’indulgenza al dileggio. E non sarebbe stato nemmeno un grande moralista, se si fosse limitato a incarnare i buoni sentimenti. No, aveva i suoi capricci, le sue debolezze e nella vita di ogni giorno poteva essere un tipo insopportabile».
Pare che Dickens, scrive ancora Szymborska, rendesse grazie al cielo il giorno in cui Andersen si recò a fargli visita e fu sistemato in una cameretta piena di fiori. Ma poi arrivò a fare altrettanto anche il giorno in cui l’ospite ripartì alla volta della nebbiosa Copenhagen. Non serve amare Roald Dahl per non censurarlo. Non serve sgrassarlo per farlo digerire ai bambini, e nemmeno agli adulti: il gigante Dahl ci ha messi tutti d’accordo con grassoni, nanetti, streghe calve e donne di bestiale bruttezza.
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