Abbassare di un grado il termostato. Un’arma efficace o una pallottola spuntata per ridurre i nostri consumi di gas e, quindi, il flusso di denaro verso la Russia e gli altri Stati da cui importiamo il combustibile? E quali altre politiche possono essere adottate a tal fine?
Il risparmio sui “gradi giorno”
La stima della riduzione del fabbisogno energetico per il riscaldamento dipende da molti fattori: le condizioni climatiche locali, il periodo di utilizzo degli edifici su base giornaliera e settimanale, le modalità di regolazione degli impianti. Una valutazione grossolana può essere fatta nel modo seguente. Si confrontano la temperatura, che immaginiamo costante, all’interno delle abitazioni e quella media esterna. Si sommano poi i valori giornalieri per tutto il periodo di esercizio del riscaldamento. Si ottengono così i “gradi giorno”. Questo valore è, in prima approssimazione, proporzionale al fabbisogno di energia termica e, quindi, al consumo di combustibile del generatore di calore utilizzato per il riscaldamento.
A Torino, ad esempio, i “gradi giorno” sono pari a 2.617, a Roma 1.415 e a Palermo 751.
Se riduciamo di un grado la temperatura media per tutto il periodo di riscaldamento, pari a 183 giorni, risparmieremo 183 “gradi giorno” che equivalgono rispettivamente al 7 per cento del totale per Torino e al 13 e al 24 per le altre due città. Complessivamente, a livello nazionale, il risparmio potrebbe essere intorno al 10 per cento. Considerato che l’impiego domestico rappresenta poco più di un quarto dei consumi complessivi, l’impatto sarebbe quindi dell’ordine del 3 per cento.
Ora viene la parte più difficile
C’è anche da tenere in considerazione il fatto che oggi è in situazione di povertà energetica l’8,8 per cento delle famiglie italiane. E che più di una famiglia su dieci dichiara di non avere una disponibilità economica che le consenta di riscaldare adeguatamente la casa. Nessun risparmio potrebbe evidentemente venire da costoro.
Si può altresì notare che l’aumento del prezzo del gas registrato negli scorsi mesi, costituisce di per sé un forte incentivo a economizzare. Famiglie e imprese hanno quindi già tagliato la parte di consumo con benefici minori. Le ciliegie sui rami più bassi sono già state raccolte, ora viene la parte più difficile. Vale per le singole famiglie così come per i Paesi nel loro complesso.
Meglio un provvedimento ad hoc
Un gruppo di economisti ha provato a stimare il costo per l’economia tedesca di un ipotetico stop alle importazioni di combustibili fossili dalla Russia.
Tale evenienza avrebbe effetti rilevanti soprattutto sulle imprese energivore e comporterebbe una riduzione del PIL nazionale che nello scenario più ottimistico è stimata pari allo 0,5 per cento e in quello più pessimistico al 2,5 ossia l’equivalente di una recessione. Ogni abitante vedrebbe il proprio reddito ridursi di circa 1.000 euro.
Più abbordabile sarebbe un provvedimento mirato a eliminare l’import di carbone e petrolio. Per questi due combustibili, infatti, è più facile trovare approvvigionamenti alternativi.
Non tutto il male viene per nuocere
Come ha scritto l’economista Ricardo Hausmann, si potrebbe ipotizzare di adottare una tassa sulle importazioni di petrolio dalla Russia. Come tutte le forme di prelievo, anche questa, rendendo non più convenienti scambi che oggi beneficiano sia i produttori che i consumatori, determinerebbe una perdita di benessere. Nel caso specifico, però, essendo l’offerta nel breve termine molto meno sensibile al prezzo della domanda, la parte largamente maggioritaria dell’onere andrebbe a gravare sul soggetto che vende il prodotto e danneggerebbe solo marginalmente gli acquirenti.
Costi e benefici delle politiche che si possono attuare per ridurre l’afflusso di risorse alla Russia sono dunque molto diversi da caso a caso. Prima di attuarle sarebbe opportuno valutarli con attenzione.
Da ultimo, si può evidenziare un aspetto paradossale: l’aumento di temperatura della Terra causato dall’uso dei combustibili fossili che nel lungo periodo comporterà costi maggiori ai benefici nel caso dell’Italia ha causato negli ultimi 150 anni un riscaldamento intorno a 2 °C, riducendo così i “gradi giorno” e i consumi di gas in misura doppia rispetto a quanto oggi ipotizzato (e accrescendo però i consumi elettrici per il raffrescamento nel periodo caldo). Non tutto il male viene per nuocere.
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