La repressione “antirazzista” non salverà l’Inghilterra dal disastro sociale
Comincia ad aprirsi qualche crepa nel muro di unanime sostegno alla politica del pugno di ferro che il governo laburista e la magistratura britannica stanno conducendo da un mese a questa parte contro i responsabili delle sommosse xenofobe seguite all’uccisione di tre bambine a Southport per mano di un diciassettenne figlio di immigrati ruandesi.
Più di mille persone sono state arrestate, compreso un bambino di 11 anni di Middlesbrough; alla polizia è stata data l’indicazione di trattenere gli arrestati nelle celle dei commissariati fino a quando non si liberino posti nelle carceri (un piano del governo prevede il rilascio di 2.000 detenuti dalla carceri sovraffollate il prossimo 10 settembre, e di 5.500 in tutto nel giro di 18 mesi) e l’ex responsabile capo della lotta al terrorismo nel Regno Unito Neil Basu ha proposto di far rientrare nella fattispecie penale del terrorismo alcuni degli atti compiuti dai rivoltosi, come il tentativo di dar fuoco all’Holiday Inn Express di Rotherham, un hotel che attualmente ospita richiedenti asilo.
Arresti anche per chi incoraggia le violenze sui social
Nelle dichiarazioni di Basu traspare la ratio che guida le misure prese da governo e magistratura: «Sovrastimiamo l’intelligenza di questi delinquenti. Non pensano alle conseguenze delle loro azioni fino a quando è troppo tardi, ma buttatene in prigione un certo numero, e gli altri correranno a nascondersi. Sono dei bulli e dei codardi».
L’ondata repressiva si caratterizza anche per l’erogazione di sanzioni severe nei riguardi di coloro che, pur senza partecipare alle violenze, le hanno incoraggiate attraverso i social o hanno diffuso false notizie suscettibili di provocarle. È su questo aspetto che si sono manifestate le prime critiche all’operato della magistratura: Rachel Treweek, vescovo donna anglicano di Gloucester, ha affermato che è “folle” mandare in prigione coloro che hanno aizzato la violenza per il tramite dei social, perché questo non servirà a riabilitarli, mentre l’assegnazione a lavori comunitari potrebbe cambiare il loro modo di comportarsi.
Mandare in carcere chi twitta odio è «ingiusto», dice il vescovo
Sono almeno cinque finora le persone condannate a pene detentive con l’accusa di avere fomentato l’odio razziale e le violenze coi loro post o tweet. Fra essi una signora di 53 anni che aveva invitato a far saltare in aria le moschee con gli adulti che vi si trovavano dentro, condannata a 15 mesi di carcere nonostante sia la caregiver principale di un marito malato (che ha commentato la sentenza dichiarando che è «parecchio esagerata, completamente sproporzionata, è semplicemente ridicola»). Secondo il reverendo Treweek, responsabile della pastorale carceraria della Chiesa anglicana, il crimine non può essere tollerato e devono «esserci conseguenze per ogni nostra azione», ma sentenze detentive per incitamento all’odio razziale online sarebbero «ingiuste».
Ha dichiarato alla Bbc: «Mandare qualcuno in prigione per un certo numero di mesi o di anni, e aspettarsi che quando uscirà quella persona tornerà sui suoi passi e contribuirà al rafforzamento dei legami comunitari, in mancanza di appropriati interventi è folle. Continuiamo a guardare alle cose nel breve termine e a pensare che il problema principale è il sovraffollamento delle carceri, ma non è quello il problema principale».
In particolare il vescovo si dichiara «fortemente preoccupato» per la narrativa secondo cui le strade sarebbero più sicure se più gente stesse in galera più a lungo. «Non c’è nessuna prova che imprigionare più persone per più tempo renda le nostre strade più sicure. Al contrario, i nostri tassi di recidività sono estremamente alti. E se vogliamo creare comunità che siano buone per le vittime della criminalità, per coloro che hanno commesso delitti, per le famiglie di tutta la comunità, dobbiamo porci la domanda di lungo termine su cosa stiamo facendo e su quale sia la funzione della prigione».
La Treweek spezza una lancia a favore delle cosiddette pene comunitarie o sostitutive in alternativa a quelle detentive: «Non conosco tutti i dettagli delle persone che sono state mandate in prigione», ha detto in un’intervista al Church Times, «ma perché non facciamo maggior uso del braccialetto elettronico, erogando pene comunitarie che affrontino questioni relative alla rabbia o a certi orientamenti politici?».
Così vince la «diabolica alleanza tra islamisti e sinistra», dice Hirsi Ali
Un altro argomento di critica alla linea adottata dal governo riguarda la limitazione della libertà di espressione, che rischia di essere imposta sull’onda dell’emozione suscitata dalle violenze di inizio agosto. Il governo infatti intende rafforzare le misure di controllo previste dall’Online Safety Act approvato dal vecchio governo conservatore. Ha scritto in proposito Ayaan Hirsi Ali sullo Spectator: «Naturalmente, è necessaria una regolamentazione di Internet per evitare che diventi un bazar di pornografia infantile, droga e armi. Ma i conservatori hanno sottovalutato il modo in cui la regolamentazione potrebbe trasformarsi in un regime di sorveglianza e censura. L’Online Safety Act è stato approvato dal governo Tory nell’ottobre dello scorso anno. Come ha sostenuto Fraser Nelson, potrebbe fungere da “carta costitutiva della censura” perché include la frase “legale ma dannoso” per caratterizzare determinati contenuti».
«Ora la sinistra vuole di più. Il sindaco di Londra Sadiq Khan ha affermato dopo i disordini che sono necessari emendamenti. Ha descritto l’atto come non più “adatto allo scopo”. Peter Kyle, ministro della Scienza e della Tecnologia, ha aggiunto che il governo è impegnato a “sviluppare l’Online Safety Act”, qualunque cosa ciò significhi. I perdenti in tutto questo non sono gli sventurati sciocchi che languono in prigione a causa dei loro volgari post online. I perdenti sono milioni di persone che credono che il governo esista per proteggerci dai nemici e dai criminali stranieri, non per proibire idee, parole o immagini che potrebbero offendere. I vincitori? Quella diabolica alleanza tra islamisti e persone di sinistra che vogliono usare lo Stato per imporre i loro dogmi a tutti gli altri».
Libertà di parola in pericolo in Inghilterra
Il New York Times ha echeggiato le sue preoccupazioni in un articolo apparso il 21 agosto: «I critici di destra affermano che le rivolte potrebbero fornire al governo il pretesto per reprimere ulteriormente la libertà di parola. Sottolineano che alcuni parlamentari laburisti hanno annunciato di voler inasprire l’Online Safety Act, approvato lo scorso anno dal governo conservatore e che impone nuove responsabilità alle società di social media per rimuovere contenuti dannosi per bambini e adulti. La già controversa legislazione darebbe alle autorità il potere di multare le aziende tecnologiche fino al 10 per cento dei loro ricavi mondiali e persino potenzialmente di imprigionare i loro massimi dirigenti per violazioni».
L’inizio di una catastrofe sociale in Inghilterra
Infine sul Daily Telegraph la commentatrice Sherelle Jacobs, figlia di padre nigeriano e di madre britannica di famiglia operaia, mette in discussione la lettura secondo cui le sommosse di agosto sarebbero opera di elementi della classe operaia bianca ostile all’immigrazione: la rivolta in realtà andrebbe messa in capo al disperato sottoproletariato bianco, frutto di decenni di politiche assistenziali lassiste.
«I gruppi di estrema destra sono abili nel dire a queste persone ciò che vogliono sentire, piuttosto che ciò di cui hanno bisogno, manipolando sentimenti che oscillano tra la presunzione che tutto sia loro dovuto e il disprezzo di sé. Non sfidano, ma assecondano la cultura della dipendenza, distribuendo volantini nelle cassette delle lettere delle case popolari che recano slogan come “la carità inizia a casa”. Danno la colpa della disgregazione familiare alla cultura LGBTQ+, invece di discutere del modo in cui il welfare può incentivare le coppie a separarsi. (…) Una sottoclasse bianca è cresciuta costantemente a partire dagli anni ’60, a causa di due errori catastrofici. Il primo è il crollo del tasso di effettiva punizione dei reati dovuto al prevalere dell’opinione infondata secondo cui “la prigione non funziona”. La seconda è che lo stato sociale sembra avere incentivato l’esplosione delle famiglie monoparentali. Eravamo stati avvertiti che ciò sarebbe accaduto».
«Negli anni Ottanta», prosegue Jacobs, «il controverso sociologo americano Charles Murray avvertì che, a meno che tali tendenze non si attenuassero, la Gran Bretagna si sarebbe ritrovata con un ventre molle sociale permanente molto simile alla “sottoclasse” urbana nera americana – un substrato di rapinatori, regine del welfare, ladri di catenine e semi-alcolizzati che era esploso negli anni Ottanta. Le profezie sembrano essersi avverate in modo catastrofico. La preoccupazione per la povertà e la criminalità tra i gruppi etnici minoritari ha distratto dall’incubazione – e dalla possibile espansione – del sottoproletariato bianco».
«La disoccupazione tra i giovani bianchi è aumentata, mentre è crollata tra gli altri gruppi. Gli uomini di origini bengalesi hanno meno probabilità di essere disoccupati rispetto ai maschi bianchi britannici. Le donne africane nere hanno meno probabilità di essere disoccupate rispetto alle donne britanniche bianche. Nel Nord, i condannati per spaccio di droga sono spesso bianchi. (…) La crisi del sottoproletariato bianco britannico rischia di diventare l’ennesimo problema supercomplesso che i politici strenuamente ignorano. Le recenti rivolte potrebbero essere solo l’inizio di una catastrofe sociale che sta appena iniziando a manifestarsi».
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