Tempi ha sempre avuto un occhio di riguardo per il mondo della scuola. Meglio sarebbe dire per la “questione educativa”. Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, nell’intervista che appare sul settimanale in edicola (qui alcuni stralci), ha promesso che il 29 agosto «ci stupirà». Col ministro Stefania Giannini, in uno dei numeri di Tempi, abbiamo a lungo discusso di scuola, dei suoi problemi e di che cosa è realistico attendersi (qui l’intervista). Di seguito ospitiamo un contributo di suor Monia Alfieri.
Forse la “vacanza” di uno dei ministri più tribolati della Repubblica, quello dell’Istruzione, ha avuto almeno un aspetto di tranquillità: le dichiarazioni, i colloqui, gli incontri, le conferenze, le allocuzioni degli ultimi mesi hanno ampiamente preparato il CdM del 29 agosto e non solo: gli italiani medi già sanno a grandi – ma sicure – linee quale sarà il destino della scuola italiana almeno per la presente legislatura. Tali linee meritano il grassetto.
Gli italiani, certamente, condividono con il presidente Renzi che «la scuola è il punto di partenza. Non uno dei tanti punti bensì il punto» (discorso programmatico). E prendono atto che «la scuola non la può cambiare il presidente del Consiglio o il ministro, la devono cambiare le famiglie, gli studenti, i professori» (agli Scout). A rigor di logica, se è così, ci si chiede umilmente da chi dipenda allora la crisi attuale della scuola e quali possano essere gli artefici sani del cambiamento. «Inizieremo con un percorso di radicale riflessione sulla scuola, con particolare attenzione alla scuola media, all’autonomia e al rapporto formazione/lavoro» (Renzi ai parlamentari di maggioranza). Il ministro ampliava la prospettiva (alla VII Commissione Cultura): «Vorrei partire da un dato, che è sicuramente all’attenzione di tutti: questo Governo è il primo, a partire dall’immediato dopoguerra, che mette la scuola e il capitolo dell’istruzione al centro dell’agenda politica. Credo che non si tratti né di una scelta casuale né di un annuncio propagandistico», timore che gli italiani lo pensino? – «ma piuttosto della volontà di essere e mostrarsi coerenti con una visione della società italiana. L’agenda politica si costruisce e si deve costruire soprattutto attorno a una visione e a un modello di società: nella fattispecie, una società in cui il sistema educativo diventi la leva più efficace per lo Stato e per i cittadini, per perseguire le finalità politiche più importanti, cioè la crescita civile, lo sviluppo economico e l’equità sociale» – esattamente ciò che all’Italia serve come il pane – «Sono tre compiti che, a partire dall’educazione, ma non esclusivamente contenuti in essa, la classe politica può e deve perseguire, particolarmente in questi tempi». Compito del ministro, quindi, sarà di «accelerare questo processo di ricostruzione culturale ed educativo del Paese, attraverso una serie di princìpi programmatici e di linee concrete di azione». Questo è il punto: che cosa significa “linee concrete di azione”? Significa, per l’italiano medio con figli a carico, “fatti concreti”. «Le mie linee programmatiche in riferimento al capitolo scuola, ricorrendo a quattro princìpi che considero essenziali per un sistema dell’istruzione, dell’università e della ricerca davvero moderno ed europeo. Il primo principio è quello della semplificazione. Nella mia visione, semplificare significa resistere alla tentazione dell’ipertrofia normativa» – il fegato dei dirigenti scolastici ne sa qualcosa – «che ha afflitto il sistema universitario e scolastico per molti decenni – quella tentazione di voler sempre aggiungere, talvolta di dover sommare una norma a un’altra norma, con funzione emendativa o con funzione di superamento – e invece concentrarsi sull’attuazione dei provvedimenti già approvati, che sono tanti e che spesso non hanno avuto la possibilità di essere realizzati tramite provvedimento attuativo» di notevoli frustrazioni per chi lavora per la vita della scuola…
«Semplificare significa, quindi, lavorare per ridurre quegli spazi di incertezza normativa che alimentano la conflittualità e il tasso di contenziosi che, vi garantisco, nel Ministero dell’istruzione rappresentano un dato credo insuperato e insuperabile rispetto a qualsiasi altro dicastero italiano» buon dirigente scolastico sa che dietro ad ogni genitore spunta l’ombra dell’avvocato… «A titolo di ulteriore esempio, cito la normativa scolastica nel suo complesso: l’ultimo testo unico risale al 1994; ormai sono passati vent’anni e da allora il corpus giuridico scolastico si è sedimentato in una sorta di geomorfologia inarrestabile, tanto che talvolta, per individuare una norma e la sua possibile applicazione, è necessaria un’esegesi testuale che impegna l’ufficio legislativo del MIUR per settimane» un’esegesi biblica è nulla a confronto e persino il Levitico è certamente più gradevole.
«Il secondo principio è quello della programmazione, che nella mia visione significa smettere di lavorare rincorrendo le emergenze, per darsi quell’orizzonte temporale di cui parlavo, di tipo strategico e finanziario, che corrisponde a un triennio almeno, necessario per trasformare gli aggiustamenti puntuali in soluzioni strutturali». L’italiano medio con figli a carico forse è distratto; ma qualcuno potrebbe davvero segnarsi la scadenza in agenda…
«Il terzo principio è quello della valutazione, che significa eliminare i colli di bottiglia esistenti nei vari campi – mi riferisco a quello dell’università, dove già esiste una specifica struttura che può lavorare, ma anche a quello della scuola – e quindi sostituire la procedura dei controlli ex ante – nella scuola» simili alle mosche bianche, per la cronica mancanza di ispettori scolastici, stirpe in estinzione! Pacati, competenti, rassicuranti! – «con la procedura della valutazione ex post. Principio semplice a enunciarsi, un po’ più complesso a realizzarsi» è implica lucidità e rettitudine di pensiero… ingredienti e prodotti tipici della scuola. «Significa anche assegnare le risorse ovviamente sulla base dei meriti e dei risultati ottenuti; significa, altresì, sottrarre risorse sulla base dei demeriti e dei risultati non ottenuti». Terra-terra: chi valuterà e sulla base di quali parametri i meriti e i demeriti sul piano culturale, ad esempio? Come mai un dieci in inglese in una certa zona d’Italia corrisponde a un quattro in un’altra zona? L’inglese non è sempre lo stesso? Più o meno.
«Il quarto principio, infine, è quello dell’internazionalizzazione, cioè l’apertura del sistema. Riteniamo che un sistema dell’istruzione, dell’università e della ricerca che non sia aperto alla comparazione e alla competizione con il resto del mondo non solo non riesca a generare una maggiore qualità intrinseca sul piano didattico, scientifico e strutturale, ma non riesca nemmeno, fino in fondo, a essere un motore diretto e indiretto dello sviluppo economico e della crescita della società italiana». Ragionare: è aperto chi è curioso; è curioso colui che sa di non sapere; sa di non sapere chi ha vera cultura. La scuola italiana quanta “vera cultura” attualmente produce? Abbastanza per lanciarsi. Occorre che le forze migliori si facciano avanti. E possibilmente a costo zero per lo Stato… Una convinzione granitica del Ministro: «Ritengo che l’Europa sia un contesto necessario, direi indispensabile: è una condizione, un contesto geopolitico di riferimento primario perché le politiche educative e le scelte strategiche in campo di ricerca e di education possano essere efficaci e competitive».
Conseguenza: «Un modello di scuola e di istruzione più semplice, programmabile, valutabile e aperta al contesto e al resto del mondo è un obiettivo doveroso, più che avanzato. Penso però che a questo si debba aggiungere un tratto di tipo più politico e culturale, cioè un ruolo, inclusivo per quantità e competitivo per qualità, dell’istruzione, sia nella fascia di cui stiamo parlando sia nella fascia universitaria. La legge n. 62 del 2000 sulla parità, cosiddetta «legge Berlinguer», prevede questo modello integrato, che non significa pubblico versus privato. Il sistema privato in Italia non esiste: esiste la scuola statale e paritaria ed esiste l’università statale e non statale. Credo che l’articolo 2 del protocollo addizionale della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, da cui deriva la piena affermazione della libertà di scelta educativa da parte degli alunni e delle famiglie, nel nostro Paese non sia ancora attuato». Ancora, in varie occasioni il concetto è chiaro: «È sempre più indispensabile compiere un processo culturale che restituisca il corretto significato etimologico alle parole. Pubblico è ciò che è fatto per l’interesse pubblico, quindi non implica necessariamente e solo la gestione statale. Se parlando di questo tema non riusciamo a superare questa apparente dicotomia tra destra e sinistra di ciò che in fin dei conti rappresenta solo un errore lessicale non arriveremo mai al nocciolo di una azione finalizzata ad una educazione di qualità, ad una scuola libera, inclusiva e competitiva».
Ripercorriamo a memoria l’audizione del Ministro Giannini alla VII commissione cultura nei suoi passaggi più salienti: dare della centralità della famiglia, sostenere il suo diritto costituzionale di scelta educativa per i propri figli, in una pluralità (ovvio, altrimenti che scelta è?) di offerta formativa pubblica, statale e paritaria. E’ dal 1948 che la Costituzione Italiana (art.30) parla e che la famiglia aspetta. Noi e la Grecia: i campioni europei.
Dunque, cominciare con la scuola è… questione di vita o di morte. «Per troppo tempo, a mio parere, abbiamo continuato a considerare la scuola come una spesa, come un costo, anche oneroso» o peggio: come un ammortizzatore sociale, per cui oggi, nelle zone a rischio dove dovremmo avere i docenti migliori, abbiamo ben altro – «e non come un investimento nel capitale umano del Paese, cioè nel suo futuro».
Già, i docenti. A monte, subito in successione e coerentemente alla libertà di scelta della famiglia (chi sceglie una scuola sceglie anzitutto i suoi docenti) l’obiettivo deve essere una «scuola di qualità per tutti. La valutazione, cioè quel procedimento che permette di controllare, misurare e certificare la qualità dell’attività didattica, diventa decisiva. Ci ritroviamo con un sistema ingessato, talvolta incapace di dotarsi di quegli strumenti snelli e meritocratici, sia di reclutamento che di avanzamento in carriera, che dovrebbero facilitare, se non consentire direttamente, quella programmazione strategica e finanziaria nel medio termine che ritengo sia uno degli obiettivi doverosi, in questo settore più che in altri». CdM del 29 agosto questo obiettivo deve uscire. L’italiano medio, pensante e con figli a carico, suppone che ci sarà.
E’ vero: nell’ottica di una comparazione e internazionalizzazione L’Italia parte da una situazione agli antipodi: «potremmo parlare di una guerra tra ultimi dell’elenco o della lista, cioè precari e TFA, docenti in ruolo e supplenti, idonei e inidonei: insomma, un elenco inesauribile di legittime rivendicazioni. Alcuni aspettano da anni, altri da decenni, altri ancora erano precari quando hanno iscritto i loro figli alla scuola elementare e magari sono ancora precari ora che i loro figli stanno per diplomarsi o laurearsi. Docenti più sottopagati rispetto ai docenti del resto d’Europa, senza alcun incentivo a migliorare e senza alcuna meritocrazia». Dalla mancanza di sicurezza, non solo logistica (ogni anno si cambia: continuità per gli alunni paria a zero) ma anche economica. In alcune scuole i precari ricevono lo stipendio a turno…
Di più. Il Ministro incalza: «Vorrei entrare nel merito dei processi fondamentali che rappresentano l’essenza della scuola e dell’istruzione: insegnamento e apprendimento. Se la scuola funziona trasmette dottrina e metodo – lasciatemi usare queste parole che, seppure antiche, hanno ancora una funzione molto importante nella nostra visione per il futuro – alle nuove generazioni, perché ne facciano tesoro in termini di patrimonio di conoscenze acquisite e di capacità di trovare nuove soluzioni a nuovi e a vecchi problemi». Sostanza, gli alunni della scuola italiana, ai loro vari livelli, vanno a scuola per imparare e applicare nelle evenienze della vita ciò che hanno imparato. Vanno a scuola per sviluppare, attraverso le conoscenze acquisite, quelle abilità che consentano l’esercizio di sempre nuove competenze. Se il genitore medio vede che il figlio non impara, non applica, non sviluppa alcunché di utile per la vita, si deve preoccupare. «Questo processo molto antico, secolare e anche delicato, per alcuni aspetti, può e deve essere osservato, e talvolta corretto, se necessario, con procedure in itinere», senza sconti. «Questo corso può e deve essere oggetto di valutazione dei risultati e dei procedimenti adottati per ottenerli. Il capitolo della valutazione è quindi, a mio avviso, il singolo capitolo che può decidere da solo se saremo in grado di dare al Paese una scuola moderna nella funzionalità e negli obiettivi e antica nella sua missione fondante, oppure se arriveremo alla fine di questa legislatura con una scuola che conserva le imperfezioni da cui siamo partiti». Non voglia… ma la scuola moderna non cade dal cielo. Pertanto «sono legittimamente attesi progressi significativi nei singoli settori: dobbiamo porci come obiettivo congiunto la valutazione delle scuole, dei presidi (o dirigenti scolastici, se preferite) e dei docenti.
La questione della valutazione e della valorizzazione delle persone è poi legata anche a quella dei contratti, un altro punto molto importante e molto qualificante: un punto delicato, ma che deve essere affrontato, a mio parere, a viso aperto» L’italiano medio coglie un filo di trepidazione in questa immagine… Timori? «Dovremo iniziare presto la discussione sul contratto degli insegnanti. Anche questo è un impegno che mi sento di assumere; forse è quello più rilevante, di una politica sulla scuola che un Governo come questo deve poter affrontare». Molta chiarezza su dove e come saranno reperiti i fondi relativi, soprattutto in ordine al recupero degli sprechi… una brava preside diceva ad una collega: “Mi vergogno ad aprire le cantine: sono piene di macchinari costosissimi, ancora imballati con la plastica, e già obsoleti…”.
«Per una volta mi piacerebbe che i temi da cui partire fossero il valore della formazione; la valorizzazione della figura che maggiormente contribuisce all’autonomia di questo processo, cioè l’insegnante; la carriera professionale, per arrivare, alla fine di questo iter, ad una visione concreta in cui la retribuzione degli insegnanti non sia basata solo sull’anzianità. Analogamente, intendiamo aiutare le scuole che si trovano ad affrontare situazioni critiche (ce ne sono per varie motivazioni, anche di contesto territoriale), nella piena consapevolezza che non potremo più fare a meno di un sistema trasparente e traducibile in altri contesti, dove i risultati relativi al miglioramento della didattica e della formazione siano comparabili sia nel Paese, tra scuola e scuola, sia all’esterno, tra il nostro Paese e gli altri sistemi internazionali». Buon senso dell’italiano medio con figli a carico direbbe: il Ministero dia a queste scuole in situazioni “critiche” (eufemismo) i docenti migliori d’Italia con adeguata remunerazione, corrispondente all’impegno, alle difficoltà, ai risultati. Una task force dell’educazione. Non esistono le teste di cuoio? I reparti speciali? Gli incursori della Marina? Mutatis mutandis… E se queste scuole sono fatiscenti, siano rase al suolo e si procurino graziosi e d essenziali prefabbricati, questi sì di emergenza… ma i docenti dentro siano draghi di bravura, passione e dedizione. Con stipendio adeguato, reversibile alle vedove/i… Il vero docente deve aspettarsi di tutto. Che si sappia.
«Vorrei anche affrontare un altro punto «scabroso», che però fa parte dello stesso «pacchetto», quello relativo alle modalità di reclutamento degli insegnanti stessi. I due punti non possono essere disgiunti. Vorrei valutare una modifica dello status giuridico che oggi prevede, come sapete, un meccanismo «infernale» – lo dico senza pudori –, di diastole e sistole: un periodo caratterizzato da «mega-concorsi» ed uno caratterizzato invece dal blocco dei concorsi, con conseguente accumulo di sacche di precariato, che hanno caratterizzato, unico caso nel mondo avanzato, il nostro sistema scolastico». Quest’ultimo, un sottosegretario al MIUR ha detto, non più di tre anni fa (è come dire ieri, per i tempi biblici della scuola), che per assorbire i precari presenti al momento sarebbero occorsi almeno 30 anni…
«Per la selezione degli insegnanti e anche dei dirigenti scolastici servono probabilmente nuove regole. Vi enuncio alcuni princìpi: non vi illustro il risultato di un pensiero e di un’azione, ma l’inizio di un processo da avviare». A partire dal CdM del 29 agosto dovrà essere chiaro a) il processo, b) l’inizio/avvio. «Su questo fronte, credo che si possa e si debba applicare il principio di autonomia e il principio di valutazione delle risorse con un’allocazione che non sia on demand, anno per anno, ma di medio termine, come la base per poter arrivare a un reclutamento più snello e semplificato. Programmare nella scuola significa anche disporre di risorse certe e non solo adeguate allo scopo. Il Fondo per il miglioramento dell’offerta formativa (MOF), anche recentemente, è stato decurtato di una quota significativa per poter far fronte agli scatti stipendiali, come affermavo in precedenza. Occorre chiarezza in ordine al fatto che questo fondo venga ripristinato; ricordo che la capienza del fondo, nel 2011, era pari a un miliardo e 500 milioni di euro, mentre oggi è di circa 500 milioni di euro, arrotondando per eccesso con un briciolo di ottimismo: è stato quindi ridotto del terzo. Un altro principio che ritengo prioritario è quello relativo alla certezza e alla tempistica degli stanziamenti. Questo vale in massima misura per l’università, ma vale anche per un sistema scolastico che dia alle scuole e ai dirigenti scolastici maggiore autonomia e responsabilità nella gestione del budget, che deve essere certo, deve essere assegnato nel momento giusto e deve però anche implicare il raggiungimento di obiettivi». Qualcuno verificherà sul piano della didattica e qualcun altro sul piano finanziario. I revisori dei conti esistono apposta.
«Autonomia scolastica è un’altra parola d’ordine: significa anche trasferire il budget orario previsto per il personale, favorendo l’utilizzo condiviso di risorse strumentali e umane tra reti di scuole. Programmazione vuol dire avere le risorse per investire anche sui più piccoli. So di toccare un tema di pertinenza parziale del Ministero, che ha già molte competenze da gestire. Non ho alcuna intenzione di ampliare questo dominio, ma superare l’inaccettabile disparità oggi esistente tra le diverse aree del Paese nell’offerta per tutta la fascia dell’infanzia deve essere un obiettivo condiviso con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con tutto ciò che questo comporta».
Qui si inserisce la proposta di far parlare il costo standard per ogni allievo della scuola pubblica italiana, statale e paritaria. E’ questo l’“anello mancante” alla possibilità di ristrutturazione del sistema scolastico pubblico. Ed è ormai anello ineludibile nella catena che sosterrà la libertà di scelta educativa in una pluralità di offerta.
Pur confermando l’assoluta necessità di individuare il costo standard – come voci autorevoli hanno ribadito lungo questi giorni – si ritiene non sia sufficiente individuarlo. Ben più complesso è agire in regime di costo standard. Affinché sia realmente un anello che porta a compimento il Sistema Scolastico Integrato occorre intervenire a livello macro e micro.
Quali gli “interventi-macro” funzionali? 1) Una buona e necessaria concorrenza fra le scuole sotto lo sguardo garante dello Stato; il che implica il passaggio dello Stato da Gestore della scuola statale e Controllore della scuola paritaria a Stato Garante della Scuola Pubblica; 2) la libera concorrenza tra le scuole, in un sistema sano, domanda autonomia riconosciuta e garantita alla Scuola Pubblica, con la conseguente e necessaria 3) semplificazione e razionalizzazione del Sistema Scolastico.
Contemporaneamente occorre agire sulla singola realtà scolastica. In estrema sintesi gli “interventi micro” da effettuare sono: 1) accompagnare la singola scuola nei processi di rivisitazione degli assetti organizzativi e amministrativi; 2) prevedere nuove figure con competenze organizzativo-gestionali; 3) responsabilizzare la direzione e l’organico sulla sostenibilità dell’attività educativa, sia in fase di programmazione che di verifica.
Infine è necessario introdurre degli indici di verifica. Verificare l’utilità–efficacia della spesa pubblica: 1) Efficienza: verifica interna ed esterna degli assetti organizzativi e dei risultati conseguiti; 2) Efficacia: valutazione che controlla, misura e certificata la qualità; 3) misurazione degli apprendimenti; 4) capacità di fare sistema.
«Le buone idee senza risorse sono prima sogni e poi frustrazioni; ecco perché occorrono dei passi concreti. » risultato armonico 1) la dignità restituita ai genitori di esercitare la propria responsabilità educativa sui figli. Un ruolo ritrovato e una libertà agita; 2) una buona e necessaria concorrenza fra le scuole sotto lo sguardo garante dello Stato (già nella Legge sull’Autonomia “Il Ministro della pubblica istruzione presenta ogni quattro anni al Parlamento, a decorrere dall’inizio dell’attuazione dell’autonomia prevista nel presente articolo, una relazione sui risultati conseguiti, anche al fine di apportare eventuali modifiche normative che si rendano necessarie”; 3) l’innalzamento del livello di qualità del sistema scolastico italiano con la naturale fine dei diplomifici e delle scuole che non fanno onore ad un SNI d’eccellenza quale l’Italia deve perseguire per i propri cittadini; 4) la valorizzazione dei docenti e riconoscimento del merito, come risorsa insostituibile per la scuola e la società; 5) l’abbassamento dei costi e la destinazione di ciò che era sprecato ad altri scopi.