Gentile senatore Renzi, ho ascoltato il suo intervento ieri in aula. Perfetto al 99 per cento. Potrei sottoscriverlo parola per parola, con solo un paio di precisazioni (di cui le dirò) e un post scriptum finale, ma, nella sostanza, non posso che sottoscriverlo, ritrovando in alcuni dei concetti da lei espressi una piena sintonia con quelle che sono le preoccupazioni e gli ideali di questo giornale.
Stato etico, Stato etilico
Nel suo intervento al Senato, durante una seduta in cui si discuteva di finanziamento ai partiti, inchieste, uso strumentale dei media per mettere alla gogna gli avversari politici, lei ha legittimamente fatto riferimento anche a quanto le sta accadendo in questo periodo. L’inchiesta sulla Fondazione Open è una «barbarie» con sistematica violazione del segreto d’ufficio, e con pubblicazione di dati personali che solo Bankitalia o la Procura possono conoscere.
«È da Stato etico sostenere che tutto possa essere totalmente privo di qualsiasi limite. Dico no a uno Stato etico che vuole trasformare in processo ciò che è elemento di opportunità politica. E poi diventa Stato etilico quello di chi dice che i figli dei politici non hanno diritto alla privacy. Si abbia il coraggio di dire che siamo alla barbarie».
Perfetto. Così come perfetta è anche quest’altra sua affermazione:
«Per distruggere la reputazione di un uomo può bastare la copertina di un settimanale. Quello che serve per ricostruirne la reputazione sono anni».
L’azione politica dei pm
Gentile senatore Renzi, lei nel suo discorso è volato alto, ha ricordato Moro e Craxi e anche le sue beghe:
«Oggi, per la fondazione Open, stiamo parlando di contributi, regolarmente tracciabili, in presenza di un bilancio che viene reso pubblico. È accaduto che questi contributi regolari sono stati improvvisamente trasformati in contributi irregolari, perché si è cambiata la definizione della fondazione. Si è deciso arbitrariamente e autonomamente che si trattava di un partito. Se al pm affidiamo non già la titolarità dell’azione giudiziaria, ma la titolarità dell’azione politica, di questo stiamo discutendo, di quello che può avvenire a ciascuno di voi».
E ancora:
«La magistratura non può decidere cosa è partito e cosa non lo è. L’intervento della Guardia di finanza, all’alba, è finalizzato a descrivere come criminale qualsiasi tipo di finanziamento privato previsto dalla legge. Le conseguenze quali sono? Una perquisizione a tappeto di tutte le persone che hanno contribuito a finanziare una fondazione ha come effetto che nessuno lo farà più. È un ipocrita chi dice che non servono i soldi per fare la politica. Se c’è un reato qui è la violazione sistematica del segreto d’ufficio, che ha portato a pubblicare, da parte di un giornalismo a richiesta piuttosto che da un giornalista d’inchiesta, i dati sensibili che solo la Banca d’Italia o la Procura hanno. Non è sacrosanto sostenere che tutto possa essere totalmente privo di qualsiasi limite. Io non ci sto nello Stato etico di chi vuole trasformare in un processo ciò che è elemento di opportunità politica. È assurdo pensare che un politico non abbia diritto alla privacy. Chi dice che il diritto alla privacy valga solo per alcune e non per altri significa che siamo alla barbarie più totale».
Gentile senatore Renzi, concordiamo su tutto. Anche dalle nostre parti si pensa che «se al Pm affidiamo non già la titolarità dell’azione penale ma dell’azione politica, questa Aula fa un passo indietro per pavidità e lascia alla magistratura la scelta di cosa è politica e cosa non lo è».
La zappa sui piedi
Ora veniamo alle precisazioni.
Lei anche ieri ha rivendicato di non essere pentito di aver votato per l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti e che lo rifarebbe domani. Sicuro? Quella fu una variante delle innumerevoli battaglie anticasta dell’epoca, cui lei s’accodò generosamente. Il risultato (già allora) era ampiamente preventivabile ed è che – come sempre accade per le battaglie impostate sul risentimento – il mito della trasparenza ha prodotto una zona di un grigio più intenso del precedente. Forse dovrebbe cominciare a riconoscerlo anche lei, andando fino in fondo al ragionamento e non limitandosi ad attaccare “quel partito che dipende da una srl”.
Domenici, Lupi, Cancellieri
Due. Gentile senatore Renzi, qui si è tutti contenti che anche lei, oggi punto sul vivo, su certa magistratura e sul circo mediatico giudiziario inizi a pensarla come un certo Silvio Berlusconi. Davvero, ne siamo felici. Non ci siamo infatti dimenticati che la sua fortuna politica iniziò sfruttando a fine 2008 l‘inchiesta che travolse la giunta di Firenze guidata allora da Leonardo Domenici (Pd), inchiesta emblema di quel circo che lei oggi denuncia perché colpisce lei. Scandalo finito nel nulla, tra l’altro.
Né ci siamo scordati, come nel caso Lupi (altra storia finita in niente), lei abbia fatto il pesce in barile o, ancor più clamorosamente, che lei non si fece troppi scrupoli garantisti a chiedere la testa del ministro Annamaria Cancellieri in base al principio che un politico deve dare le dimissioni «senza attendere l’avviso di garanzia». E, anche in questo caso, tutto è finito in un’archiviazione (e siamo a tre su tre).
Perché ha fatto il governo coi giustizialisti?
Quindi, gentile senatore Renzi, noi oggi siamo doppiamente contenti che lei abbia cambiato idea e che la pensi come un Vittorio Sgarbi qualunque. Resta però (e siamo al Ps promesso) da capire perché lei stia ancora nel campo progressista, quell’ambito che, da venticinque anni a questa parte, ha tenuto bordone al cosiddetto “partito delle Procure” e perché, peccato ancor più grave, sia stato il principale artefice dell’accordo tra il Pd e quello che oggi è il movimento che, scavalcando la sinistra, è diventato il nuovo alfiere del giustizialismo (spazzacorrotti, abolizione della prescrizione, ne vogliamo parlare?).
Quindi, gentile senatore Renzi, lei ieri avrebbe dovuto terminare il suo discorso dicendo che perché “Italia Viva, Forza Italia!”. Così, sarebbe stato un discorso perfetto al cento per cento.
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