Balcanizzazione, faide, infruttuosa ricerca di una nuova leadership. All’indomani delle elezioni europee la notizia non è solo la vittoria solare e straordinaria di Matteo Renzi, ma anche l’incredibile travaso di problemi dal fu centrosinistra al fu centrodestra. Al netto di alcune differenze (a sinistra si cannibalizzava un leader al mese, a destra da anni si cerca un’alternativa convincente all’unica conosciuta), i problemi che affliggono l’ex centrodestra sono pericolosamente simili a quelli che segnarono i giorni della sinistra pre Renzi. E se un giornale come Libero arriva a titolare “Cercasi leader per il centrodestra” significa che l’onda d’urto del voto del 25 maggio è tutt’altro che esaurita. «Bisogna toccare il fondo per sperare di potersi rialzare», dice a Tempi il direttore di Europa Stefano Menichini, non senza fare riferimento a ciò che «l’esperienza del Pd insegna».
L’analisi di una performance a dir poco modesta non può che partire dal Nord, dove tanto Forza Italia quanto Ncd sembrano aver perso il contatto con la parte del paese che li aveva sempre guardati con benevolenza. «Non c’è nessuna mutazione genetica degli elettori – osserva Giovanni Orsina, docente di storia alla Luiss di Roma e autore del saggio Il berlusconismo nella storia d’Italia (Marsilio). L’elettorato del Nord, ad esempio, chiede le stesse cose da vent’anni: un apparato pubblico più efficiente, meno tasse, condizioni per fare impresa. È l’offerta politica che è mancata. Renzi ha dato un’idea di dove voleva portare il paese, tra l’altro riprendendo molti temi tipici del centrodestra. Il centrodestra invece non ha detto niente». Orsina rimprovera, soprattutto a Forza Italia, una campagna elettorale sbagliata, in cui nemmeno appariva chiaro se si partisse dal governo o dall’opposizione.
Il giorno dopo un risultato che è il migliore nella storia del Pd e migliore del miglior Pdl (che andò poco sopra il 37 per cento alle politiche del 2008) arriva il momento di valutare anche gli effetti della diaspora degli eredi di Berlusconi. Inviti a ricomporre la frattura arrivano da più parti, perché l’attrattiva politica di un centrodestra unito è indiscutibile, se è vero che anche la Lega, come dimostra il tentativo di Salvini di riallacciare i rapporti con Berlusconi, ha bisogno di un contesto dove capitalizzare quanto guadagnato in queste sorprendenti europee.
Ma se l’obiettivo è chiaro, la terapia da seguire lo è molto meno. In mezzo c’è, soprattutto, l’enorme incognita che la partecipazione, a vario titolo, di Ncd e Forza Italia al progetto renziano, avrà sul futuro e la composizione dei due partiti. «È evidente – osserva Menichini – che sia Ncd che Fi pagano un prezzo molto alto per la collaborazione che stanno assicurando al premier e che al momento avvantaggia solo lui. Lo fanno, secondo me, perché hanno chiaro quale è la domanda degli italiani e sanno che punirebbero chi facesse saltare il tavolo. In un certo senso la linea politica è obbligata, ma in termini di leadership e rinnovamento generazionale c’è molto che si può fare nel centrodestra. Anche se non mi sembra che le prese di posizione dei giorni successivi al voto vadano in questo senso».
Il governo e le riforme
La strada della “responsabilità”, per cui lo stesso Renzi ha ringraziato Forza Italia e Ncd commentando i risultati delle elezioni in una conferenza stampa che sembrava fatta apposta per sancire il suo passaggio da “twittarolo” a statista, non sembra pagare elettoralmente. «Il rischio che al termine di questo percorso il centrodestra si ritrovi un vicolo cieco c’è eccome», osserva Orsina.
«Un tempo – riprende Orsina – la coerenza ideologica del centrodestra si costruiva intorno al leader. Adesso mancano tanto la leadership quanto la coerenza ideologica. E, aggiungo, non ci sono neppure le regole per dotarsi di un leader». Perché Renzi sarà pure un “visitor”, per dirla con Enrico Mentana, ma è anche il figlio di un lungo lavoro politico. «Il centrodestra invece su questo parte da zero. Prendiamo la tanto discussa ipotesi Marina. Dentro Fi potrebbe essere accettata, ma perché Lega, Ncd e Fratelli d’Italia dovrebbero dare il via libera?».
E che dire degli altri nomi che si fanno? Per Orsina sono tutti estremamente fragili, dal votatissimo Fitto al nuovissimo Toti, compreso l’ex delfino designato Angelino Alfano. «Insomma il fatto è che c’è da lavorare perché giocare il jolly Berlusconi non funziona più. Intendiamoci: la crisi del berlusconismo è in atto da anni, secondo me addirittura dal 2006, quando il cavaliere governò e non mantenne le promesse. Però l’assenza di alternative a sinistra l’ha sempre coperta».
Ora le carte si sono invertite, con in più la variabile di una sorta di conservatorismo obbligato a livello di strategia politica. Al punto che per il direttore di Europa è del tutto fuori luogo pensare a un rimpasto di governo dopo la prova elettorale di Ncd. «A Renzi conviene l’esatto opposto perché è garanzia di stabilità del quadro politico. Contemporaneamente lui non paga il minimo prezzo a questa alleanza. Queste elezioni hanno dimostrato che il Pd fa il pieno dei voti di sinistra nonostante l’accordo del Nazareno con Berlusconi sulle riforme e nonostante la convivenza al governo con Alfano».
Ma oggi esiste una opposizione a Renzi? «Attenzione – conclude Orsina: se Grillo fosse andato meglio si sarebbe ricostruito una sorta di bipolarismo Pd-M5S. Invece sul medio periodo c’è un partito egemone, che è il Pd, con intorno dei nanetti. Questo dà uno spazio al centrodestra. O meglio glielo darebbe se facesse politica come Dio comanda. Il premier adesso dovrà passare dagli annunci alle cose concrete e inevitabilmente perderà consensi». Dovevano essere le elezioni dei vaffa e sono diventate le elezioni della politica. Potrebbe essere una buona notizia. Anche per il fu centrodestra.