Lettere al direttore
Raimo contro Valditara e la finta “scuola neutrale”
Caro direttore, mi hanno molto colpito le parole di Christian Raimo che, alla festa del suo partito (Avs), ha detto: «Dal punto di vista politico Valditara va colpito, perché è un bersaglio debole e riassume in sé tante delle debolezze di questo governo. Penso che vada fatta una manifestazione contro Valditara non per la scuola, ma contro Valditara: dentro alla sua ideologia c’è tutto il peggio. E se è vero che non è lui l’avversario, lui è il fronte di quel palco del mondo che ci è avverso. Va colpito lì come si colpisce la Morte Nera». Sono parole inaudite e non capisco come non ci sia stata una condanna unanime per un linguaggio così violento che ci riporta indietro agli anni Settanta. Anzi, ancora peggio: Raimo si è giustificato dicendo che «era una metafora». A me non pare proprio.
Mauro Gricci
Caro Mauro, Raimo è quello che, per difendere la Salis, ha detto che è giusto picchiare i neonazisti. Questo è il personaggio, per capirci (che vive, di fatto, di queste “sparate” dialettiche per attirare l’attenzione). Le sue parole, come giustamente noti, sono gravi e rivelano anche la pochezza argomentativa di chi, anziché opporre idee a idee, si rifugia nella demonizzazione dell’avversario. Dalle “sparate” dialettiche agli spari veri e propri il passaggio può essere molto breve.
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Caro direttore, è iniziato l’anno scolastico. Si tratta del 76° anno scolastico dopo l’entrata in vigore della “Costituzione più bella del mondo”, avvenuta il primo gennaio del 1948. C’è un serio problema (prima culturale che politico), però: anche in materia scolastica la grande assente è proprio la Costituzione, la quale, in un articolo (il 30) messo sistematicamente sotto silenzio, proclama che «è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli». In questi giorni molte voci si alzano per dire come dovrebbe funzionare la scuola, ma nessuna (tranne qualche eroica ed emarginata voce) fa riferimento a ciò che costituisce l’origine del diritto (insieme al dovere) non solo di istruire, ma anche e soprattutto di educare. Titolare di questo diritto/dovere è la famiglia e solo la famiglia: la Costituzione non assegna tale diritto ad alcun altro soggetto.
Non ha questo diritto lo Stato, al contrario di ciò che avviene in ogni totalitarismo, sia di stampo fascista, che di stampo comunista che di qualsiasi altro stampo. Secondo la nostra Costituzione, la Repubblica (e cioè l’insieme delle sue istituzioni comunali, provinciali e regionali), non ha questo diritto, ma ha semplicemente il compito di dettare «le norme generali sull’istruzione» (non sull’educazione) e di «istituire» scuole statali per tutti gli ordini e gradi, a servizio, evidentemente, del diritto dei genitori. So che, probabilmente, molti non sono d’accordo con quanto ho appena scritto, ma, Costituzione alla mano, hanno torto. Molti, anzi moltissimi, hanno torto nel pensare che lo Stato sia titolare del diritto all’educazione.
E tale diritto non l’hanno neppure i sindacati: alcuni di loro, invece, si atteggiano e si comportano come i padroni dell’istruzione e dell’educazione dei giovani italiani. Un pensiero abusivo.
Proprio in questi giorni, abbiamo letto e sentito molte voci che, attaccando i diritti della famiglia, vorrebbero escluderla da ogni rapporto con la scuola. Come sempre, questi insani tentativi anticostituzionali di emarginare la famiglia da uno dei suoi compirti fondamentali (istruire ed educare) prendono spunto da alcuni infelici episodi in cui alcune famiglie (in nettissima minoranza) mettono in atto comportamenti che devono essere assolutamente condannati. Ma la condanna di alcuni episodi patologici non può arrivare fino al punto di oscurare il sacrosanto diritto delle famiglie, proclamato anche da tutte le dichiarazioni dei diritti umani oltre che dalla nostra legge fondamentale. E qui occorre dire, anche con una certa tristezza, che è innanzi tutto la famiglia che deve riprendere coscienza di essere lei la titolare del diritto all’educazione. Purtroppo, molte famiglie sono state rese convinte che, invece, il diritto all’educazione spetti allo Stato, a cui, purtroppo, delegano ogni iniziativa.
È giunto il tempo, allora, che sia la famiglia stessa a ribellarsi di fronte a questo clima anticostituzionale, facendo valere, in modo saggio e discreto, tutti gli strumenti legittimi e costituzionali per riaffermare con orgoglio il diritto al compito che la natura e la Costituzione le assegnano. Forse vale la pena ricordare ciò che scrisse il grande san Giovanni Paolo II nella Familiaris Consortio: “Famiglia, diventa ciò che sei!”. In particolare, è bene ricordare ciò che il Papa scrisse al punto 44: «Il compito sociale delle famiglie è chiamato ad esprimersi anche in forma di “intervento politico”: le famiglie, cioè, devono per prime adoperarsi affinché le leggi e le istituzioni dello Stato non solo non offendano, ma sostengano e difendano positivamente i diritti e i doveri della famiglia. In tal senso le famiglie devono crescere nella coscienza di essere “protagoniste” della cosiddetta “politica familiare” ed assumersi la responsabilità di trasformare la società: diversamente le famiglie saranno le prime vittime di quei mali, che si sono limitate ad osservare con indifferenza».
Tutte le componenti della famiglia, quindi, nonni compresi, sono tenuti, anche nella vita scolastica, a non far mancare la propria voce (espressa in modo civile e paziente), opponendosi a tutti coloro che, portati dalle correnti dell’attuale pensiero statalista, tendono ad eliminare la famiglia dalla sua presenza nella scuola. Si tratta di una questione fondamentale, che coinvolge le fondamenta stesse della democrazia. Ricordiamo, ancora, che sono i regimi totalitari che si appropriano indebitamente di ciò che spetta solo alla famiglia. Mi pare che il ministro Valditara abbia positivamente le idee chiare in proposito, ma che il clima culturale e burocratico che si respira nel complessivo mondo della scuola non lo aiuti.
Peppino Zola
Caro Peppino, mi pare che tu colga il punto della questione e non è cosa da poco. Per esempio, ieri, leggendo l’editoriale di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere sono rimasto un po’ perplesso. Ha scritto Della Loggia che il governo dovrebbe «mettere in cantiere» la riforma «più importante» cioè quella che riguarda la scuola (e noi siamo d’accordissimo). Come? Con lo ius scholae (e ci sono cascate le braccia). Non starò a ripetere quel che già Gian Carlo Blangiardo ha spiegato sulle pagine di Tempi a proposito dello Ius scholae – proprio ribadendo la necessità di non sostituire il criterio familiare con quello scolastico per ottenere la “targa” della cittadinanza -, ma mi preme qui ribadire un concetto: occhio a caricare sulla scuola qualsiasi compito educativo.
A me pare che, soprattutto negli ultimi anni, si tenda a trasformare la scuola nell’unico luogo deputato a fornire quella “educazione corretta” che altrove non si sa più come impartire. La scuola, ci si dice, è l’unico ambito neutro ideologicamente e abitato da esperti super partes che può prestarsi a questo compito. Quindi a scuola si impara non solo a scrivere o a fare di conto, ma anche a diventare bravi cittadini (educazione civica), bravi amanti (educazione all’affettività), persino bravi pedoni e autisti (educazione stradale). Praticamente la scuola è diventata un “corsificio”. Ora: a parte il fatto che nessuna educazione e nessun luogo è neutrale di per sé (rileggersi Charles Glenn, per favore), qui il vero tema mi pare sia quel che dici tu, Peppino. Si vuole escludere dall’ambito educativo qualsiasi soggetto – dalla famiglia fino a quelle scuole paritarie nate dal basso – che non sia lo Stato, con buona pace di quel che prevede anche la nostra Costituzione.
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