“Querida Amazonia” al di là di tante polemiche inutili sul celibato dei preti
Articolo tratto dal numero di marzo 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.
Tutti si aspettavano l’abolizione del celibato, ma l’esortazione apostolica Querida Amazonia di papa Francesco ha confermato che soltanto il sacerdote può celebrare Messa e assolvere dai peccati nel sacramento della confessione. Questo almeno nella Chiesa latina e senza eccezioni, neppure per l’Amazzonia.
I due partiti che si stanno dilaniando facendosi la guerra all’interno della Chiesa, i superbergogliani e gli antibergogliani, come li definisce padre Bernardo Cervellera, sono rimasti delusi per motivi opposti. I nemici del Papa aspettavano l’introduzione dell’eccezione amazzonica per accusare Francesco di andare contro la tradizione della Chiesa latina, mentre gli altri, i superbergogliani, la aspettavano per partire dall’eccezione Amazzonia per estenderla in altre situazioni, in primis in Germania, e così smontare un «dono» per tutta la Chiesa, così come lo ha definito papa Francesco riprendendo una convinzione condivisa dal decreto del Concilio Vaticano II Presbyterorum Ordinis a tutti i pontefici successivi e precedenti.
Niente di tutto questo. L’esortazione apostolica è così scomparsa dalle notizie. Ma di cosa si è occupata? Il testo tratta della missione o evangelizzazione, avendo come sottofondo storico-culturale l’Amazzonia, ma contiene indicazioni importanti per qualsiasi missionario, compresa la nuova evangelizzazione degli antichi paesi un tempo cristiani.
Il Papa esplicita quattro sogni per l’Amazzonia, un sogno sociale, uno culturale, uno ecologico e infine un sogno ecclesiale, quarta parte del testo e forse la più adattabile a qualsiasi circostanza in cui la Chiesa è chiamata alla missione evangelizzatrice.
L’Amazzonia è un luogo dove vivono diverse comunità di indigeni che incarnano una cultura e una civiltà premoderne. I popoli dell’Amazzonia devono custodire le loro radici particolari. Di questo il Papa è convinto, ma conservare non significa chiudersi a qualunque confronto:
«L’identità e il dialogo non sono nemici. La propria identità culturale si approfondisce e si arricchisce nel dialogo con realtà differenti e il modo autentico di conservarla non è un isolamento che impoverisce. Non è perciò mia intenzione proporre un indigenismo completamente chiuso, astorico, statico, che si sottragga a qualsiasi forma di meticciato».
Proprio la forza della fede cristiana e la sua capacità di incarnarsi nelle diverse culture ha permesso nel corso di oltre venti secoli la nascita di diverse civiltà cristiane, uguali nella fede ma non nelle caratteristiche culturali di ciascuna, che la fede ha saputo accogliere e purificare: basti pensare alle differenze fra la civiltà cristiano-romano-germanica e quella bizantina, fra la cristianità armena e quella etiope, soltanto per fare degli esempi.
«L’economia globalizzata danneggia senza pudore la ricchezza umana, sociale e culturale», sostiene il Pontefice e dopo il sogno culturale ne fa un altro, questa volta «ecologico». Anche in questo caso, onde evitare fraintendimenti, il Papa invita a non dialettizzare la difesa dell’ambiente e quella della persona. Il cristianesimo è la religione dell’et et, non dell’aut aut:
«Liberare gli altri dalle loro schiavitù implica certamente prendersi cura dell’ambiente e proteggerlo, ma ancor più aiutare il cuore dell’uomo ad aprirsi con fiducia a quel Dio che non solo ha creato tutto ciò che esiste, ma ci ha anche donato sé stesso in Gesù Cristo».
Rimane la Chiesa con il suo spirito missionario, che è intrinseco al cristianesimo e riemerge sempre perché non può essere emarginato. La fede, se autentica, non può non comportare l’annuncio di Cristo così come la fede non può non tendere a diventare cultura, cioè a fare nascere quei criteri di giudizio che sono alla base della costruzione di una nuova civiltà.
Francesco riprende san Giovanni Paolo II per ricordare come i popoli amazzonici hanno il diritto di ricevere l’annuncio di Cristo, ma anche una inculturazione della fede cattolica che rispetti le caratteristiche peculiari della loro tradizione, proprio perché la fede cristiana quando viene a contatto con i popoli non può rinunciare a favorire la nascita di una cultura, ma nessuna cultura può pretendere di essere l’unica espressione possibile della fede.
Dopo tante polemiche inutili, posso soltanto suggerire di leggere questa esortazione, di lasciare perdere i pregiudizi e di accostarsi al magistero sine ira et studio, con la consapevolezza che Dio guida la sua Chiesa, anche supplendo ai limiti degli uomini che ne fanno parte.
Foto Ansa
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