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Quando portai con la Topolino d’anteguerra la prima pietra del seminario del Pime a san Giovanni XXIII, il Papa missionario

Padre Piero Gheddo racconta la sua amicizia con Angelo Roncalli, che fu sempre vicino ai missionari e in gioventù aveva chiesto di entrare nel Pime

Piero Gheddo
05/05/2014 - 15:03
Chiesa
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Il 27 aprile 2014, fatto unico in duemila anni di storia, Papa Francesco ha proclamato santi Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. Idea geniale che esprime plasticamente quello che più unisce i due vescovi di Roma così diversi tra loro: il Concilio Vaticano II (1962-1965), che il Papa bergamasco ha convocato e iniziato e il Papa polacco l’ha riportato con forza alla ribalta della Chiesa, in tempi di crisi della fede e della vita cristiana. Alla cerimonia era presente Benedetto XVI, mancavano i due servi di Dio Pio XII e Paolo VI, speriamo vengano anch’essi beatificati assieme.

Ho conosciuto bene e da vicino i due nuovi Santi, ambedue hanno promosso e rinnovato la “missione alle genti”, indicandola come fine primario della Chiesa: non hanno ceduto al pessimismo che portava i fedeli a chiudersi in difesa; anzi hanno lanciato la missione fino ai confini della terra come rimedio alla crisi della fede nel popolo cristiano. Li amo e li ricordo proprio in quest’ottica.

Il Papa di Sotto il Monte donò la sua casa natale al Pime, oggi meta di tanti pellegrinaggi, per costruirvi accanto un seminario missionario e ne benedisse la prima pietra, il 3 marzo 1963 in Vaticano; un pesante macigno, che avevo portato da Milano a Roma in una Topolino d’anteguerra da 70 km all’ora (l’Autostrada del Sole arrivava a Piacenza). Una cerimonia intima fra il Papa e una ventina di missionari. Giovanni XXIII parlava in bergamasco e diceva: «Se fate in fretta a costruire, vengo io a inaugurare il seminario».

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E poi aggiungeva che ai suoi tempi nel seminario di Bergamo si leggevano le riviste missionarie e diversi chierici erano entrati nel Pime. «Io stesso – aggiungeva – ero innamorato delle missioni e ho chiesto al mio vescovo di poter entrare nel vostro istituto. Lui mi rispose di continuare gli studi teologici in seminario per essere ordinato sacerdote diocesano, poi potevo andare con i missionari. Però, quando mi ordinò sacerdote, mi nominò suo segretario particolare e ho seguito la santa obbedienza della volontà di Dio».

Negli anni Venti, come direttore delle Pontificie Opere missionarie, monsignor Roncalli aveva stretti rapporti col beato padre Paolo Manna, che definiva «il Cristoforo Colombo dell’animazione missionaria». Il 3 marzo 1958, il patriarca di Venezia cardinale Angelo Roncalli venne a Milano per portare al Pime le spoglie del nostro Fondatore (nel 1850), il servo di Dio monsignor Angelo Ramazzotti, suo predecessore a Venezia, oggi tumulate nella chiesa di San Francesco Saverio. Roncalli diceva che avendo studiato la vita dei patriarchi veneziani «si è fatta profonda e schietta in me la convinzione che davvero a monsignor Ramazzoti il titolo di Santo gli convenga e di Santo da Altare». Ed esortava il Pime a introdurre la sua causa di beatificazione, cosa che, essendo il nostro un istituto non religioso ma di clero secolare fondato dalle diocesi lombarde, non aveva mai pensato di fare.

In quei giorni del cardinal Roncalli a Milano c’è un episodio curioso. Era venuto a Milano il 2 marzo per mezzogiorno. Nel pomeriggio chiama me e padre Mauro Mezzadonna nel suo ufficio e ci dice: «Voi siete preti giovani e giornalisti, vi leggo il discorso che farò domani quando saranno presenti tutti i vescovi lombardi, ditemi cosa vi pare». E ci legge il discorso, gli dico di scrivere frasi più brevi come si usa oggi. La sua semplicità era commovente. Il giorno dopo, prima di ripartire per Venezia, mi consegna una lettera al superiore, nella quale lodava la rivista del Pime «che leggevo da giovane e ancor oggi leggo con piacere».

Un segno di questa sua vicinanza al Pime è quando, nel settembre 1962, mi nominò uno dei “periti” del Concilio per il decreto Ad Gentes e il direttore dell’Osservatore Romano, Raimondo Manzini, mi chiamò come redattore delle pagine dedicate al “Concilio”, col compito di seguire il tema missionario e intervistare i vescovi delle missioni.

Ma prima del Concilio va ricordata l’enciclica Princeps Pastorum (28 novembre 1959), dedicata al clero e ai laici delle missioni. Le altre encicliche missionarie erano appelli dei Papi al mondo cattolico a favore del mondo non cristiano. Papa Giovanni, pur non tacendo questo aspetto,  rivolge la sua attenzione ai giovani cristiani, rendendoli protagonisti della missione alle genti nei loro paesi. Passaggio fondamentale, perché ha dato importanza massima ai catechisti, all’Azione cattolica e altre associazioni di formazione laicale.

Nell’omelia dell’incoronazione a Pontefice romano (4 novembre 1958), Giovanni XXIII affermava che la qualità più importante del Papa è lo zelo apostolico verso le pecorelle che non sono nell’ovile di Cristo. E aggiungeva: «Ecco il problema missionario in tutta la sua vastità e bellezza. Questa è la sollecitudine del Pontificato romano, la prima, anche se non la sola».

La convocazione del Concilio Ecumenico Vaticano II, il 15 gennaio 1959, ha spalancato porte e finestre dell’ovile di Cristo sulla missione universale. I frutti dell’apostolato missionario erano ben visibili anche nelle lunghe file dei vescovi nella basilica vaticana. I prelati dalle “missioni” erano 800 su 2.500 e Giovanni XXIII proponeva al Concilio tre scopi:

1) il rinnovamento interno della Chiesa (“aggiornamento”),

2) la riunione di tutti i cristiani con iniziative ecumeniche,

3) l’annunzio di Cristo al mondo non cristiano.

piero-gheddo-missione-senza-se-e-senza-maNel volume Missione senza se e senza ma (Emi 2013) spiego le difficoltà incontrate dall’Ad Gentes, riscritto sette volte, ma poi approvato quasi all’unanimità il 7 dicembre 1962: 5 voti contrari su 2.394. Il Concilio aveva decretato numerosi e provvidenziali passi in avanti per la “missio ad gentes”, recependo le esperienze e tendenze che venivano dal Sud del mondo. Ecco un breve elenco che fa capire quanto il Vaticano II ha cambiato la Chiesa:

1) Secondo la Lumen Gentium, la missione alle genti non è più un’appendice della Chiesa: come comando di Cristo è il compito primario dei credenti in Cristo.

2) La Nostra Aetate capovolge il giudizio sulle religioni non cristiane: non più nemiche di Cristo, ma preparazione a Cristo.

3) Il Dignitatis Humanae sulla libertà religiosa: la missione è una proposta di libertà. Protagonista della missione è lo Spirito Santo, non spetta a noi “convertire le anime”, ma allo Spirito.

4) La Sacrosantum Concilium sulla Liturgia introduce l’uso delle lingue locali nella Messa e ammette altri riti e forme di preghiera, oltre a quelli latini.

5) La Gaudium et Spes esalta la povertà e coinvolge la Chiesa per il rispetto dei diritti umani e la pace del mondo, collaborando con tutte le forze positive per l’uomo.

6) Il Christus Dominus decreta la collegialità dei vescovi col Papa, non più monarca assoluto, ma centro della Chiesa, con strumenti di consultazione.

7) Il decreto Inter Mirifica (sui mezzi di comunicazione sociale), dove la Chiesa riconosceva in giornali, radio e tv strumenti preziosi per trasmettere l’annunzio di Cristo. Prima era più comune condannare che apprezzare, e mi ha convinto della bontà di quanto mi chiedevano i superiori del Pime, quando chiedevo di partire per l’India dove ero stato destinato: «La tua missione è questa».

8) E poi, naturalmente, il decreto Ad Gentes, che presentava un’altra immagine delle missioni ai non cristiani: dal missionario fondatore e protagonista al missionario a servizio delle giovani Chiese e tanti altri aspetti. E la prima enciclica di Paolo VI, Ecclesiae Sanctae (1964), che presentava la missione come un dialogo (dare e ricevere) con i non cristiani e i non credenti.

Il Concilio è stato, per noi giovani di quel tempo, una meravigliosa esperienza di fede e di missione universale, aveva suscitato grandi speranze in tutti i credenti, ma specialmente nel mondo missionario.  Il Papa di Sotto il Monte aveva detto: «Il Concilio sarà una nuova Pentecoste per la Chiesa». Pareva quasi che il mondo intero fosse pronto a ricevere l’annunzio di Gesù Cristo  e mi veniva spesso in mente lo slogan col quale all’inizio del 1900 si era concluso il primo Congresso mondiale delle Chiese e società missionarie protestanti: «Convertire il mondo a Cristo entro il 2000». A me la meta pareva plausibile, dato il volto trasparente e accogliente della Chiesa.

tratto dal blog di padre Piero Gheddo

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