“Quali sono i confini del Mali?”: storia di un’odissea chiamata Tfa

Di Daniele Ciacci
20 Luglio 2012
Chi è l'autore di "Libera nos a Malo? Con quali stati non confina il Colorado? Viaggio nella prima prova del Tfa, tra nozionismo, date sbagliate, paesi sconosciuti e scrittori improbabili.

Con quale stato non confina il Mali? È una domanda a cui pochi sanno rispondere, a meno di non tenere sott’occhio un’atlante. Ma durante la prova di selezione del Tfa – Tirocinio Formativo Attivo, la nuova trafila per avere l’abilitazione all’insegnamento – non si poteva consultare nulla. E giustamente, perché nella probabilissima evenienza che uno studente interessato alzi la mano per chiedere i confini dello stato africano, bisognerà pur rispondergli immediatamente. Si sta svolgendo la prima prova di selezione del Tfa, che interpella gli aspiranti insegnanti di ogni materia e di tutta Italia.

Il primo test presenta sessanta domande a risposta multipla. Quattro alternative per una e una sola risposta corretta. Una probabilità di passare, contando i posti a disposizione e i presenti il 18 luglio all’Università Cattolica di Milano, che si aggira attorno al 25 per cento. Non male, ma dopo questa prima fase sono previste una prova orale e una simulazione di lezione. Il tutto per poter accedere a un anno di tirocinio e di corsi pomeridiani a pagamento. E forse, solo allora, si potrà iniziare a mettere qualche soldo da parte. Se mai si avesse in mente un futuro…

Volenterosi proto-docenti di buona volontà si sono uniti in un’unica stanza buia per cominciare quel test che significa l’inizio di un’odissea. Classe di insegnamento: A051, “Materie letterarie e latino nei licei e negli istituti magistrali”. E chi ha fatto il liceo sa bene quanto sia importante sapere che “Libera nos a Malo” è un’opera di Luigi Meneghello, che “Diceria dell’untore” è uno scritto di Gesualdo Bufalino e che il capolavoro di Anton Francesco Grazzini detto il Lasca è “Le cene”. Si narra che il Miur abbia affidato la stesura delle domande agli autori di “Chi vuol essere milionario?”. Ecco spiegato il sadismo di certi quesiti.

«Cinto di fosche e tenebrose bende, / di nero manto e di funest velo / veglio rotear per l’amoroso cielo / quel sol che solo i miei desiri accende». Di chi sono questi austeri versi? Ovviamente di Giovan Battista Marino. Ed è proprio il caso di dirlo: il Colorado non confina con il Tennessee. Entrambe le domande potevano essere difficili, ma se la prima non esulava completamente dai programmi di letteratura di un liceo, la conoscenza delle frontiere dello stato americano sembra un tantino viziata dallo spettro del nozionismo, il vero “peccato originale” di questo test. Ma ormai quel che è fatto è fatto. E adesso, si attende che il Miur pubblichi i risultati definitivi. Nell’attesa, perché non visitare l’isola di Favignana? Che – come segnalava una risposta del test – non fa parte delle Pelagie, ma delle Egadi.

@DanieleCiacci

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8 commenti

  1. Franz

    Buondì.
    Guardate che i test d’ammissione alla SSIS – passaggio inevitabile fino a 5 anni fa per accedere a queste scuole abilitanti (che duravano 2 anni; e non uno soltanto – non erano assolutamente dissimili da questi che voi avete affrontato. E pochi si lamentavano così sarcasticamente e con le lacrime di rabbia agli occhi…
    Se siete preparati – ebbene, sì, anche sui confini del Mali, ai margini dei quali è stata rapita Rossella Urru e dove Al Qaida per il Maghreb sta distruggendo i resti secolari dell’antica Timbuctù – li superate, altrimenti no. Altro che ricorsi…! Un docente SSIS che io ricordo con affetto diceva: Sapere 1000, Insegnare 100, Pretendere 10…!
    Buon lavoro

    1. tarcisio

      mi spiace. Ma la tua è una risposta veramente da imbecille.

    2. Leonardo Giordani

      Se io dicessi che i morti in Siria non ci devono scandalizzare perché tanto la pulizia etnica è stata fatta migliaia di volte nella storia umana verrei giustamente tacciato di irragionevolezza. Una cosa non è giusta perché è stata fatta precedentemente e, per varie ragioni, accettata.

      Se l’ammissione alla SSIS verteva sul nozionismo, ritengo (opinione personale e discutibile) di dover catalogare anch’essa nei cosiddetti “test di falso negativo”. Sono quei test che vengono fatti anche da aziende come Google o altri grandi del settore industriale, i quali, avendo migliaia di candidature giornaliere, si possono permettere di fare una scrematura col mitragliatore; in questo modo, infatti, incorrono in molti “falsi negativi”, ovvero nello scartare persone che invece sarebbero state valide, ma quelli che restano sono sicuramente gente che qualcosa sa.

      Poi però solitamente in queste aziende ci sono almeno altri 4 o 5 livelli di selezione, con colloqui a gruppi e personali, in cui si testa non solo se il candidato sa a memoria tutti i paragrafi del libro, ma se ha capito le nozioni apprese, se le sa utilizzare in un contesto anche stressante, se in definitiva apporterà del bene all’azienda.

      Pertanto, se l’idea alla base della selezione degli insegnanti è quella di partire con 1000 candidature per arrivare ad esprimere 1-2 assunzioni di alto livello (insegnanti) e 4-5 di profilo inferiore (bidelli? segretari?), mi pare che il metodo utilizzato sia perfetto; beh sì, manca tutta la parte di colloqui di livello superiore, ma sulla partenza ci siamo, il mitra è carico ed ha anche già falciato.

      Come già critico questo metodo molto americano di valutazione per le grandi aziende, però, perché in fondo non guarda in faccia il singolo ma fa della statistica la propria fede, lo critico tanto più per la scuola, dove il “mercato” non è certo mondiale e dove non entrano milioni di euro al giorno.

      Chi ha superato i test di ammissione alla SSIS e ha portato con più dignità quella fatica è sicuramente da guardare come esempio di chi nelle circostanze non fa del lamento la propria arma ma persegue il proprio obiettivo e sinceramente ringrazio tali persone per l’esempio.

      Detto questo le mie opinioni espresse precedentemente sul sitema in quanto tale per ora mi sembra rimangano valide.

      1. Franz

        Ringrazio il Sig. Giordani per la risposta, mentre trovo che definire (vedi Tarcisio) “da imbecille” un testo soltanto perché non condiviso – e senza argomentare alcunché – sia un modo di fare un po’ puerile e cialtronesco. Se ho punto nel vivo, sono a maggior ragione soddisfatto di quanto scritto.
        Tuttavia, concordo con il sig. Giordani sull’irragionevolezza (anche se la SSIS non appartiene ancora alla Storia, visto che risale a 3 anni fa la sua chiusura) di alcune cose da me dette. Io volevo soltanto sottolineare – come infatti appare ben spiegato poi nella Sua risposta – che, essendoci tanti, troppi candidati, purtroppo una “scrematura” di questo tipo è quasi indispensabile e, per farla, van bene anche quesiti di quel tipo (nella fattispecie, visto che le insegno, le nozioni riportate nell’articolo di tempi.it, altre non so, fanno parte del patrimonio di un docente di Lettere del Liceo); è evidente che, poi, come accaduto per me e per tanti altri, non ci si ferma lì nella selezione, perché il nozionismo fine a se stesso è cosa quanto mai obsoleta.

  2. Leonardo Giordani

    Ed intanto a colpi di test post-laurea, esami di stato, SSIS, tirocini formativi di ogni natura lo Stato stesso continua a delegittimare il suo organo formativo principale, ovvero l’università.

    Comunemente si ritiene che il laureato sia un poveraccio che ha finito gli studi, si è formato una certa mentalità ed ora, con 10 anni di ritardo rispetto all’amico carpentiere CON CUI DIVIDEVA IL BANCO ALLE MEDIE, deve iniziare a capire cosa vuol dire lavorare, sia tecnicamente che dal punto di vista sociale, perché, non avendo mai FATTO nulla, non sa fare nulla (dove si intende ovviamente aver insegnato, aver costruito una casa, aver fatto un ponte, aver creato un software funzionante, aver difeso una causa in tribunale, …).

    No, no. Il laureato è molto meno. Perché finché non ha l’approvazione del sistema non può nemmeno pensare di andare a bussare ad una porta chiedendo umilmente di iniziare ad imparare questo benedetto lavoro. No! Non è ABILITATO.

    Abilitato? Ma 5 anni di università cosa fanno? Vista la qualità di certi insegnanti universitari effettivamente si potrebbe dire che dopo 5 anni uno studente potrebbe aver imparato come non si insegna. O come non si fa ricerca. O anche come non si sta al mondo.

    In ogni azienda privata intelligente, che, incredibile!, intraprende la strada delle buone idee che fanno guadagnare e non delle idiozie che fanno buttare soldi, la formazione del personale avviene in un unico modo. AFFIANCANDO i nuovi assunti a chi già fa quel lavoro da tempo.

    In questo modo si insegna il mestiere, si correggono sul nascere eventuali sbagli di impostazione, si valorizzano gli aspetti di novità e di freschezza portati dal neo-assunto, che magari venendo da fuori ha uno sguardo tutto da portare in azienda. La classica situazione a due vincenti: l’azienda forma il personale ma ne trae contemporaneamente vantaggio.

    Vogliamo una volta tanto chiederci allora perché gli insegnanti di scuola media e superiore devono passare attraverso un iter sempre più assurdo? Iter che sembra sempre costruito da persone che non hanno mai dovuto insegnare il lavoro a nessuno. E che probabilmente non hanno neppure mai imparato.

    È ora che la scuola italiana, come ogni buona azienda (sì scusate, AZIENDA. Ha dei prodotti: CULTURA, IDEALI, MESTIERI. Ha delle materie prime: RAGAZZI e RAGAZZE. Ha dei dirigenti e dei dipendenti: PROVVEDITORI, PRESIDI, INSEGNANTI. Voce del verbo “essere un’azienda”) metta mano al reparto che si occupa della formazione dei dipendenti, di chi ha in mano non solo la famigerata classe dirigente dei prossimi decenni, ma il popolo stesso.

    È realmente così difficile fare colloqui nelle scuole, demandando al preside la decisione su chi assumere? È realmente così difficile affiancare un insegnante senior (+10 anni di insegnamento) ad un neo assunto, perché lo aiuti in classe e fuori? È realmente così difficile far partire a lavorare un insegnante appena esce dall’università, quando ha la mente fresca, ha idee nuove, ha forza per fare le nottate a preparare le lezioni e si sposta facilmente sul territorio perché non ha famiglia?

    Sto elencando solamente i criteri ragionevoli che ogni persona di buon senso seguirebbe se si trattasse della SUA azienda, che da da mangiare ai SUOI figli, che dà lavoro ai SUOI concittadini e costruisce il SUO paese. Ma la scuola cos’è se non questo?

    1. tarcisio

      Sono dalla tua parte.

    2. Robert Benson

      Purtroppo per fare qualcosa di ragionevole andrebbe ribaltato, macchè, demolito l’attuale assetto. Un percorso abilitativo (non formativo) puramente burocratico si riduce solo a fornire un pezzo di carta.
      Non sarebbe possibile cominciare a formare i giovani insegnanti integrando facoltativamente il tirocinio durante il loro proprio corso di laurea? Oppure per i laureandi/laureati che lo desiderano fare come gli specializzandi in medicina, cioè un affiancamento post laurea presso una scuola che poi magari ti assume?

      1. Leonardo Giordani

        Ritengo che tutti i grandi cambiamenti vadano pensati bene e fatti il più possibile per piccoli passi. Purtroppo (parlo per esperienza aziendale) le “grandi rivoluzioni” (non dissimilmente da quelle politiche o sociali) solitamente si risolvono in un “interregno” di caos, in cui ciò che funzionava anche male non funziona più e ciò che dovrebbe funzionare bene non è ancora pronto.

        Certamente bisogna anche avere il coraggio di eliminare le parti del sistema che evidentemente non solo non funzionano ma “incastrano” sempre di più il sistema. Chi di noi, notando un buco nel serbatoio della macchina, non penserebbe a portarla immediatamente dal meccanico? E per tappare il buco, non per fare il pieno! Dico questo in riferimento alla marea di insegnanti in attesa di un posto di ruolo, a cui si vanno ad agigungere i nuovi laureati, con l’unica piccola differenza che far iniziare un lavoro nuovo ad un 25enne è di gran lunga più semplice e remunerativo che farlo iniziare ad un 40enne.

        I piccoli passi però essere parte di una visione a lungo termine che deve obbligatoriamente lasciarsi guidare e correggere dagli eventi che nel tempo emergono. Questa metodologia, che nel mondo industriale si chiama “modello iterativo” o “circolo virtuoso”, prevede però che ci sia un obiettivo chiaro, una meta, insomma un’ideale.

        @Robert Mi pare che una proposta di tirocinio facoltativo affiancato ad una specializzazione post laurea per chi non ne ha fruito prima sia ottima e proprio nella direzione di introdurre il nuovo sistema nel vecchio per “(piccoli) passi”.

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