La strage di Nizza e «l’ideologia nichilista del jihad armato»
Parigi. Lunedì, nella stessa aula-bunker del Palazzo di giustizia di Parigi in cui si è tenuto il processo per gli attacchi jihadisti del 13 novembre 2015, è iniziato il maxi-processo per la strage di Nizza del 14 luglio 2016, giorno della festa nazionale francese, quando un islamista franco-tunisino, Mohamed Lahouaiej-Bouhlel, si lanciò a bordo di un camion contro la folla riunita sulla Promenade des Anglais, il celebre lungomare nizzardo. Procedendo a zig-zag e sparando all’impazzata dal finestrino, l’allora 31enne provocò la morte di 86 persone, tra cui 6 italiani, e ne ferì 450. L’uomo, a differenza di Salah Abdeslam, l’unico sopravvissuto del commando della morte del 13 novembre 2015, fu ucciso dalle forze dell’ordine nei minuti immediatamente successivi all’attacco.
L’adesione all’«ideologia nichilista del jihad armato»
Il processo durerà tre mesi e mezzo, e in aula, davanti a 865 persone costituitesi parti civili, verranno giudicati 7 uomini e una donna, fra i 27 e i 48 anni, persone vicine a Lahouaiej-Bouhlel o presunti intermediari nel fornirgli il camion e le armi, compresa quella con cui aprì il fuoco dal finestrino mentre travolgeva la folla. Tre di loro, Ramzi Kevin Arefa, Chokri Chafroud e Mohamed Ghraieb, sono accusati di associazione a delinquere con finalità di terrorismo. Gli altri cinque, Maksim Celaj, Endri Elezi, Artan Henaj, Brahim Tritou e Enkeledja Zace, devono invece rispondere dell’accusa di traffico di armi. Degli otto accusati solo uno non si presenterà fisicamente in aula: Brahim Tritrou, ricercato dopo aver violato la libertà vigilata, anche se il suo avvocato sostiene che si trova in carcere in Tunisia.
Il più importante del gruppo è il franco-tunisino Mohamed Ghraieb, 46 anni, che secondo l’accusa era «pienamente consapevole» dell’adesione del suo amico Mohamed Lahouaiej-Bouhlel all’«ideologia nichilista del jihad armato» prima dei fatti del 14 luglio 2016. Tuttavia, per ora, le indagini non hanno permesso di determinare in maniera definitiva se fosse al corrente del progetto di attentato, anche se è emerso che l’11 luglio, ossia tre giorni prima, circolava in compagnia del terrorista franco-tunisino a bordo dello stesso camion poi utilizzato per investire le persone.
Hollande tra i testimoni dell’attentato di Nizza
La seconda figura che, durante l’udienza, potrebbe fornire dettagli rilevanti per comprendere la macchina infernale che ha spinto l’attentatore a passare all’azione è il 27enne Ramzi Kevin Arefa, in libertà vigilata dal 2016. Secondo l’accusa, Arefa, anch’egli franco-tunisino, avrebbe aiutato Mohamed Lahouaiej-Boulel a trovare le armi nelle settimane che hanno preceduto l’attentato, facendo da intermediario tra l’attentatore e i fornitori. È l’unico degli otto accusati che rischia l’ergastolo. Il processo verrà trasmesso in diretta nel Palazzo dei Congressi “Acropolis” di Nizza per chi non potrà essere a Parigi e permetterà, come sottolineato dal procuratore generale della Corte di cassazione François Molins (ex capo della procura antiterrorismo di Parigi), di “facilitare il lavoro di ricostruzione delle vittime”.
Tra i testimoni che compariranno in aula, oltre ai famigliari delle vittime, ci saranno l’ex presidente della Repubblica François Hollande e il suo ministro dell’Interno all’epoca dei fatti, Bernard Cazeneuve. Entrambi avevano già testimoniato durante il processo per gli attentati del 13 novembre 2015, il cosiddetto “V13”, titolo, tra l’altro, dell’ultimo libro di Emmanuel Carrère, raccolta delle sue cronache del processo pubblicate sul settimanale Obs dal settembre 2021 al luglio 2022. Una delle questioni irrisolte è se Mohamed Lahouaiej-Boulel, assente nei registri dell’intelligence francese prima dell’attacco, abbia deciso di agire in nome dello Stato islamico.
La radicalizzazione di Lahouaiej-Boulel sfuggita a troppi
L’attentato è stato rivendicato dall’Isis nei giorni successivi, ma gli inquirenti non hanno mai trovato alcun legame diretto tra il franco-tunisino e l’organizzazione terroristica, nessuna prova di somme versate nel suo conto in provenienza dal territorio siro-iracheno. Nel suo computer, tuttavia, sono stati rinvenuti dei video di propaganda jihadista. «Il suo fascino per la violenza accoppiato alla sua personalità instabile ha favorito l’avvicinamento all’ideologia radicale jihadista», spiegano gli inquirenti. Mohamed Lahouaiej-Boulel picchiava e stuprava l’ex moglie, secondo quanto testimoniato da lei stessa, e si sarebbe radicalizzato nei mesi precedenti all’attentato. Una radicalizzazione fulminea sfuggita ai radar dei servizi segreti francesi.
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!