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Pisapia ha paura della Cina: niente cittadinanza onoraria di Milano per il Dalai Lama
Il Consiglio comunale di Milano rinvierà “sine die” il conferimento della cittadinanza onoraria al Dalai Lama, leader spirituale e non politico del Tibet, oppresso dalla dittatura cinese fin dal 1950. La proposta è stata riportata in Consiglio dal leghista Luca Lepore, dopo che quattro mesi fa, durante la visita del leader buddista tibetano a Milano, la giunta Pisapia per trarsi d’impaccio lo aveva accolto in Consiglio comunale e al posto della cittadinanza onoraria gli aveva consegnato il Sigillo di Milano, sotto minaccia della Cina di non partecipare a Expo 2015.
RINVIO “SINE DIE”. Magari ha ragione il capogruppo del Pd a Palazzo Marino Carmela Rozza quando dice: «Il Comune ha già reso il massimo omaggio possibile al Dalai Lama. L’ha accolto in Consiglio e gli ha consegnato il Sigillo della città. La delibera sulla cittadinanza è solo un atto strumentale dell’opposizione». Forse è così, però la giunta Pisapia perde una bella occasione di dimostrarsi coraggiosa e conferma che le pressioni di Pechino, forte dello strapotere economico comunista, funzionano. Per evitare spaccature nella maggioranza, dove non tutti sono d’accordo a rifiutare al Dalai Lama la cittadinanza, per evitare frizioni con la Cina e per non “rifiutare” la cittadinanza alla massima carica buddista tibetana, almeno formalmente, la formula che verrà usata dal Consiglio comunale di Milano, che si riunisce oggi a partire dalle 16.30, sarà il rinvio “sine die” della proposta leghista.
SI DÀ FUOCO 57ESIMO TIBETANO. Anche se è vero che il Comune ha consegnato al Dalai Lama il Sigillo, dargli ora la cittadinanza onoraria sarebbe stato molto importante. Stamattina si è dato fuoco il 57esimo tibetano dal 2009, è il secondo nelle ultime 48 ore, il quinto questo mese, a riprova che la repressione cinese in Tibet non accenna a diminuire. Quattrocento tibetani in esilio si sono riuniti a fine settembre a Dharamsala, India, sede del governo tibetano in esilio, per chiedere ai tibetani di non «auto-immolarsi» e «di non prendere azioni drastiche, di preservare la vita perché anche una singola vita ha valore». I 400 esiliati si riproponevano di suscitare con più forza il problema davanti alle istituzioni internazionali.
JULIE PIÙ CORAGGIOSA DI PISAPIA. Milano poteva dare un primo segnale. Non lo farà. Questa scelta, come affermato a tempi.it dal presidente della comunità tibetana italiana Kalsang Dolker, «copre di vergogna Milano e l’Italia»: «Io capisco che gli affari siano importanti e che l’Italia stia attraversando una crisi molto pesante. Ma se la Cina continua ad agire in questo modo, e Milano si dimostra succube, l’Italia perderà la sua indipendenza. Ma ci rendiamo conto che la Cina vuole decidere a chi Milano può o non può dare dei premi? È una vergogna, un vero peccato per tutti i tibetani e tutti gli italiani. È una perdita di libertà». Pisapia avrebbe invece potuto agire come il sindaco di Corvallis, una cittadina di 54 mila abitanti a 80 miglia da Portland, nell’Oregon, Stati Uniti, dove il commerciante originario di Taiwan David Lin ha commissionato su uno stabile di sua proprietà un murales lungo 30 metri e alto tre, dove viene raffigurata una scena brutale di poliziotti cinesi che picchiano manifestanti in Tibet e un monaco buddista che si auto-immola per protestare contro il regime comunista. Ebbene, il primo cittadino, anzi la prima cittadina, Julie Manning, davanti alle pressioni di Pechino che chiedeva di eliminare subito il murales, ha risposto: «Non vedo come il mio governo possa intervenire in questo tipo di situazioni, il murales riflette la libertà di espressione che il Primo emendamento della nostra Costituzione protegge. Ho detto all’ambasciata cinese che anche volendo, e non voglio, non potrei far distruggere quel murales». La libertà si difende coi fatti.
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