Memoria popolare

«Perché stiamo nella Cisl e non nella Cgil o nella Uil?»

Di A cura di Fondazione Europa Civiltà
16 Febbraio 2024
Rocco Buttiglione sulla scelta di campo sindacale del Movimento Popolare in funzione di un preciso «impegno culturale per l’unità dei lavoratori»
Foto d’archivio di una manifestazione della Cisl in piazza Santi Apostoli a Roma
Foto d’archivio di una manifestazione della Cisl in piazza Santi Apostoli a Roma (foto Ansa)

Quarta e ultima parte della rassegna dei contributi esposti al convegno “Operatori sindacali del Movimento Popolare” tenutosi a Rimini nel dicembre 1978, anno di nascita dell’Ufficio Lavoro del Movimento Popolare. Tutte le uscite della serie sono reperibili in questa pagina.

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Nella seconda parte della sua relazione al convegno di Rimini del 16-17 dicembre 1978 “Operatori sindacali del Movimento Popolare”, Rocco Buttiglione affronta il tema del rapporto dei lavoratori dell’Movimento Popolare col sindacato della Cisl.

«Perché stiamo dentro la Cisl e non dentro alla Cgil o alla Uil? […] La grande maggioranza della gente della Cisl ha una memoria (più o meno vaga ed appannata) di valori e di esperienza cristiane. Questo è un elemento importante, che certo rende più facile confrontarsi sui giudizi che si hanno ed arrivare ad un giudizio comune. Ma questo non è tutto, anzi non è nemmeno il principio della presenza nel mondo del lavoro e quindi della specificità dell’azione sindacale. Si fa un sindacato, infatti, intorno a giudizi sulla situazione dei lavoratori».

«Proprio per questo motivo c’è un altro aspetto dell’affermazione “stiamo nella Cisl perché è un sindacato cattolico” che invece è sbagliato. Sarebbe sbagliato se volessimo fare della Cisl un sindacato solo per i cattolici o se dicessimo che la Cisl recupera la sua identità solo trasformandosi in un sindacato specificamente cattolico. Al contrario, nella storia della Cisl dei cattolici hanno elaborato un giudizio ed un metodo di azione sindacale che coglieva il nesso fra la loro identità cristiana e la situazione concreta in cui si trovavano ad operare e su quel giudizio e su quel metodo hanno incontrato anche altri che insieme con loro hanno costruito un sindacato che ha una sua specifica identità.

Ciò che fa l’identità della Cisl è allora un modo di essere sindacato, un modo di intendere la funzione del sindacato nella società. Questo modo di intendere la funzione del sindacato nella società esprime un giudizio, alla cui radice c’è una identità cristiana che si gioca nella situazione ma che può essere condiviso da chiunque al mondo lo riconosca giusto ed umano».

L’ideologia della Cgil, il corto respiro della Uil

Buttiglione poi analizza le differenze di metodo fra i tre principali sindacati italiani, Cgil, Uil e Cisl. La Cgil ha il difetto di apparire una cinghia di trasmissione della linea del Pci:

«Tutta la struttura organizzativa della Cgil è permeata dalla tensione verso un assetto sociale diretto dall’alto, rigidamente programmato, all’interno del quale il sindacato da organo dei lavoratori per la difesa dei loro interessi si trasforma in organo del governo per persuadere ed incitare i lavoratori a comportarsi secondo le regole prescritte dai piani generali. La Cgil, come tutto il sindacalismo di tradizione marxista, crede insomma che l’attività del sindacato sia strutturalmente subordinata a quella del partito rivoluzionario che solo può realizzare quei mutamenti complessivi (la dittatura del proletariato) che risolvono alla radice i contrasti sociali.

Il sindacato è un’organizzazione dei lavoratori di livello inferiore, che conosce solo i loro interessi immediati ma non il loro interesse strategico complessivo, che è affidato ad un’altra organizzazione, il partito della classe operaia. Proprio per questo motivo il sindacato deve essere in ultima istanza subordinato al partito, deve assecondarne la politica».

Il difetto della Uil è di accettare il sistema senza aspirare a cambiarlo:

«La Uil ha invece un modello di azione sindacale che mira essenzialmente a tutelare gli interessi dei lavoratori all’interno del sistema economico e produttivo. Manca, in questa tradizione sindacale, lo stimolo a trascendere l’ordinamento capitalistico della produzione, a cercare una nuova qualità della vita e prevale piuttosto la preoccupazione, realistica ma spesso miope, per i vantaggi immediati che singole categorie di lavoratori possono conseguire».

La visione e la libertà della Cisl

La Cisl invece ha una visione meno ideologica della Cgil e meno riduttiva della Uil:

«La Cisl (raccogliendo in questo tutta l’eredità del sindacalismo cattolico) ha prodotto un modello di azione sindacale che mira al superamento del capitalismo ma non attraverso una rivoluzione politica guidata dal partito della classe operaia e che sbocca in una dittatura, ma piuttosto attraverso l’attività nella società civile di una serie di istanze diverse, politiche sì ma anche culturali, sociali e religiose.

Il problema, per questa tradizione culturale, non è quello di impadronirsi del potere per affidarne la gestione ad un “nucleo di acciaio” di rivoluzionari possessori della giusta teoria sociale, ma quello di ripartire il potere, articolarlo, diffonderlo nel corpo sociale, chiamare strati sempre più larghi a parteciparvi, impedire soprattutto che possa esercitarsi come comando diretto ed umiliante, prevaricazione incontrollata, potere di disposizione arbitrario di un uomo su altri uomini o di una struttura burocratica che non deve rendere conto a nessuno su ambiti interi della vita sociale.

In questa prospettiva il sindacato svolge un ruolo decisivo ed autonomo per la trasformazione della società esistente, ma senza subordinarsi ad una forza politica che pretende di possedere la ricetta dell’avvenire. Da un lato esso è uno strumento essenziale per il controllo del potere e per la sua demitizzazione, nel quartiere come sui luoghi di lavoro. Per un altro aspetto esso aiuta a raccogliere i desideri, anche gli umori della gente perché alle decisioni politiche complessive, che sono necessarie per una programmazione complessiva dell’economia ed un governo ordinato della vita sociale, si arrivi tenendo conto al massimo dei timori e delle speranze dei cittadini».

Le divisioni del sindacato cattolico

Da queste considerazioni Buttiglione trae la conclusione che

«la proposta della Cisl, strategicamente, è quella più profondamente unitaria. Vogliamo dire con questo che la sua storia e la sua cultura permetterebbero alla Cisl di svolgere un ruolo decisivo nel movimento sindacale italiano aiutando il sindacato unitario a costituirsi ed a trovare una propria identità nel pluralismo e nel rispetto di tutte le diverse esperienze che nel sindacato unitario confluiscono».

Tuttavia la Cisl appare

«poco unita al suo interno. Esistono oggi almeno tre componenti culturali all’interno della Cisl: a) la dottrina sociale cattolica; b) il pragmatismo proprio del cosiddetto “sindacalismo all’americana”; c) l’anticapitalismo dei gruppetti che li porta spesso a posizioni globalmente antisistema. Il problema della Cisl, lo abbiamo già detto, non è quello di sopprimere una o alcune di queste componenti ma quello di arrivare ad una sintesi fra di esse, cioè quello di trovare un giudizio sintetico che permetta di valorizzare in modo ordinato ciascuna di esse per ciò che ha di umano e di vero».

Unità, il compito del Movimento Popolare

Il ruolo di Mp e dei suoi lavoratori che si impegnano nel sindacato dovrebbe essere perciò proprio quello di fare sintesi attraverso la valorizzazione di ciò che di valido è contenuto nelle diverse posizioni:

«Qui si gioca la nostra presunzione: noi crediamo che i cattolici sono strutturalmente capaci di valorizzare gli altri, di riconoscere nelle culture diverse dalla loro ciò che vi è di umano, mentre è spesso evidente che le altre culture che circolano nella società non sono capaci né di valorizzarsi fra loro né tanto meno di valorizzare la cultura dei cattolici.

Valorizzare è già un modo di porsi nell’ambiente, di rapportarsi alla gente, di invitare uno a mangiare o a prendere un caffè, di portare un giudizio su di uno sciopero o su di una vicenda personale di un conoscente. Per questo il lavoro culturale per l’unità della Cisl e per l’unità dei lavoratori, che è urgente, non è un affare da addetti ai lavori, ma chiama in causa la capacità di giudizio di ognuno di noi».

(4. fine)

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