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Per una effettiva parità per le paritarie

Il costo standard sostenibile per alunno può essere inteso come “la quota capitaria” che la Repubblica investe per garantire il “diritto inviolabile della persona all’istruzione”

Giuseppe Richiedei
14/06/2019 - 0:10
Interni
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In questi giorni si ritorna a parlare di scuola e di costi. «Secondo dati forniti dal Ministero dell’Istruzione, bocciare uno studente nella scuola secondaria di primo grado o istituto professionale costa tra i 6 e i 7 mila euro. Se invece la ripetenze riguarda la secondaria di secondo grado, il costo è sugli 11.500 euro. Insomma, un paio di ripetenze possono costare anche 23 mila euro che andranno a pesare sulle casse dello Stato».

Seguo da anni l’azione culturale di suor Anna Monia Alfieri e da genitore, dirigente di scuola statale e nonno credo che la proposta del costo standard di sostenibilità sia non solo la soluzione ad un sistema scolastico italiano sempre più classista, regionalista e discriminatorio e insostenibile economicamente per lo Stato.

Mi ricollego ai passi compiuti in alcuni comuni virtuosi come Arona e Milano che suor Anna Monia definisce piccoli passi iniziali verso la meta e che guardo con interesse seppur definisco ancora timidi passi. Mi riferisco all’attuazione della Dlgs. 65/2017 cd Decreto zero-sei anni.

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Il costo standard sostenibile per alunno può essere inteso come “la quota capitaria” che la Repubblica investe per garantire il “diritto inviolabile della persona all’istruzione”. Investimento finanziario, che viene impiegato attualmente nella gestione diretta delle scuole statali, con accesso gratuito di tutti gli allievi, indipendentemente dal loro reddito familiare.  Come dire che la quota, legittimata dal diritto umano della persona, viene tradotta nella gratuità del servizio scolastico statale.

Per quanto riguarda l’Italia tale servizio, però, è in sostanziale regime di monopolio, in quanto le scuole paritarie, a gestione privata, sono poche e in continua diminuzione, a causa delle rette elevate, che solo le famiglie abbienti possono permettersi. La persona e la famiglia meno abbiente è in tal modo costretta a frequentare le scuole statali gratuite.

Questa impostazione della politica scolastica è all’origine di una evidente discriminazione nei riguardi delle persone e delle famiglie povere. Viene leso il principio di uguaglianza tra i cittadini (studenti e genitori), a seconda del censo, nell’esercizio del diritto inviolabile ad istruirsi e ad istruire i propri figli.  Lo Stato italiano nei decenni ha cercato di attutire questa grave discriminazione con contributi alle scuole paritarie. Contributi che nel volgere dei decenni e dei Governi raggiungono la modica cifra di circa cinquecento euro ad allievo, rispetto ai cinque mila che costituiscono il costo effettivo del servizio svolto.

In questa situazione che sta portando anno dopo anno alla chiusura di molte scuole paritarie, la proposta di introdurre “il costo standard sostenibile per allievo” rappresenta una delle soluzioni più immediate ed efficaci in grado di rimuovere l’ostacolo, che impedisce a tutti i cittadini l’esercizio di un diritto inviolabile, in coerenza con l’articolo 3 della Costituzione. Il “costo standard sostenibile per allievo” può costituire il criterio di finanziamento per tutte le scuole statali e paritarie.

Può, inoltre, essere perseguito in modo graduale a seconda delle risorse finanziarie disponibili  e delle economie indotte man mano che si estende la scelta libera delle scuole da parte di allievi e genitori.  

Si può iniziare dal Sistema Integrato di Educazione e Istruzione da zero a sei anni per raggiungere gradualmente tutti gli ordini di scuola. Già nel Decreto istitutivo (art 9 DLgs 65 – 2017) si chiede di prevedere «agevolazioni tariffarie fino all’esenzione totale per le famiglie con particolare disagio economico e sociale, per la frequenza dei servizi educativi pubblici e privati». L’esenzione totale esige che si definisca  “il costo standard per allievo” che ogni famiglia bisognosa assegnerà al servizio prescelto, pubblico o privato.

Si stabilisce, ancora, di definire «la soglia massima di partecipazione economica delle famiglie alle spese di funzionamento dei servizi pubblici e privati», il che porta a intendere le rette, non più come aggravio per chi sceglie il servizio privato, ma come la quota che le famiglie abbienti devono versare nei servizi sia pubblici che privati, per compensare quanto manca al “costo standard per allievo”, che lo Stato versa in toto soltanto per le famiglie meno abbienti.

In questo modo il Decreto Lgs 65 non discrimina più i servizi privati rispetto ai servizi pubblici, ma fa riferimento al bambino e alla sua famiglia come destinatari e titolari dell’apporto economico, totale o parziale, che lo Stato garantisce : «Alle bambine e ai bambini … superando disuguaglianze e barriere territoriali, economiche, etniche e culturali» (art. 1). I contributi dello Stato, delle Regioni e dei Comuni, in questa visione, non si compenserebbero a vicenda, ma si sommerebbero al fine di superare gli ostacoli economici che si frappongono al libero accesso per tutte le famiglie, abbienti e non abbienti, ai nidi e alle scuole dell’infanzia statali e paritarie. 

La gradualità nell’introdurre il “costo standard per allievo come criterio di finanziamento” porta a interpretare diversamente anche i contributi che attualmente le scuole paritarie ricevono da Stato, Regioni, e Comuni. Infatti la legge, che riconosce la «parità alle scuole paritarie» stabilisce che «al fine di rendere effettivo il diritto allo studio e all’istruzione a tutti gli alunni delle scuole statali e paritarie …  lo Stato adotta un piano straordinario di finanziamento …  da utilizzare a sostegno della spesa sostenuta e documentata dalle famiglie per l’istruzione mediante l’assegnazione di borse di studio di pari importo … prioritariamente a favore delle famiglie in condizioni svantaggiate» (art.9 – 11  legge 62 – 2000). La borsa di studio può essere intesa come  il “costo standard per allievo” che lo Stato assegna alle famiglie bisognose, quindi  sarebbe di immediata evidenza che non costituiscono  una sottrazione di fondi alle scuole statali, ma che compensano solo in parte il risparmio di cui fruisce lo Stato per la non frequenza del servizio scolastico statale  da parte di circa un milione di  ragazzi frequentanti le scuole paritarie. Le reiterate contestazioni al finanziamento alle scuole paritarie risulterebbero chiaramente infondate e settarie.

Proposta

Se gli attuali contributi statali di 500 milioni non fossero distribuiti a pioggia, ma assegnati  per un costo standard di 5.000 euro circa, potrebbero favorire l’accesso di  100.000 famiglie con il reddito più basso nelle scuole paritarie.  Gli attuali 25 milioni della Regione Lombardia faciliterebbero la frequenza di 5.000 famiglie meno abbienti in più. I contributi dei Comuni potrebbero ampliare ulteriormente la platea delle famiglie destinatarie, assegnando il “costo standard per allievo” a famiglie con reddito man mano più elevato. Infatti, l’obiettivo finale è quello di giungere a che tutte le famiglie possano scegliere tra scuole statali e paritarie alle medesime condizioni economiche.

 In questo modo il finanziamento ai servizi e alle scuole paritarie non apparirebbe più come il contributo alle scuole dei ricchi, ma il doveroso sostegno al diritto della  persona all’istruzione e al compito educativo dei genitori, cominciando dai più bisognosi.

Giuseppe Richiedei già dirigente di Scuola Statale e membro del CD Associazione genitori scuola statale (AGE)

Foto Ansa

Tags: ScuolaScuole Paritarie
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