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Per le scuole non sarà solo un anno di “videocose”

Così gli istituti affrontano (anche economicamente) l'emergenza coronavirus. Difficoltà, incidenti ma anche la disponibilità di alunni e professori

Caterina Giojelli
13/04/2020 - 12:30
Interni
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Aula di una scuola chiusa per l'emergenza coronavirus

Articolo tratto dal numero di aprile 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.

Padova, Istituto professionale Dieffe. “Il fenomeno in mutande”.  

Si presenta spavaldo a videolezione senza braghe, «subito il professore gli mette una nota sul registro, “fossi entrato così in classe ti avrei cacciato a casa!”. In quel momento spunta il padre, lo vede in mutande davanti al pc e gli molla un ceffone. “Ma papà, ho appena preso una nota”, e sbem, secondo schiaffone. Ora invece il fenomeno in mutande porta i pantaloni, studia sodo e non manca una lezione. Eccola qui, la comunità educante, l’intero villaggio che ci vuole per educare un ragazzo».

Il ragazzo per Federico Pendin, presidente di Dieffe, sono in realtà 1.000 ragazzi che si sommano ai 2.000 adulti attrezzati dal grande polo didattico per la formazione e l’aggiornamento professionale (una formidabile corazzata, tassi di occupazione a soli sei mesi dal diploma che raggiungono percentuali dell’88 per cento). «Qui stiamo portando a casa tutti gli obiettivi didattici, non era scontato». 

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Pendin, sangue veneto, educazione come pesca d’altura che acciuffa ciascun ragazzo a profondità sensatissime, dei “suoi” non vuole perderne neanche uno. È stato il primo a sperimentare la Fad, Formazione didattica a distanza, appena il coronavirus si è presentato in Veneto, il primo a chiudere un centro e a dover mettere delle classi in quarantena appena un suo direttore si è ammalato.

«Molti ragazzi disponevano solo di cellulare e dei propri giga per collegarsi, e se all’inizio si organizzavano in gruppo da chi aveva il wi-fi in casa, col lockdown si sono trovati soli, a cercare offerte internet per seguire le lezioni». Eppure «oggi contiamo un numero di assenze inferiori a quelle registrate nell’ordinario. Il registro è stata la prima cosa attivata dai professori per aiutare i ragazzi a non scambiare il giorno con la notte. Ma quanto potrà durare il format della “classe tecnologica”?».

Pendin spiega che a Dieffe «non abbiamo il problema di consumare il programma, ma di far crescere i ragazzi. E le lezioni sulle piattaforme sono stremanti per chi le tiene e per chi le segue. Soprattutto per i più fragili: penso ai disabili, ai dislessici, il “104” va in debito d’ossigeno. E penso anche al cambiamento radicale che abbiamo introdotto senza valutarne ancora le conseguenze: dal docente che accoglie a scuola siamo passati alla scuola che entra nelle case dei ragazzi, li viene a prendere ad uno ad uno nelle loro stanze. La cosa avrà risvolti sociologici e va seguita bene. E penso anche a un’altra cosa».

Pendin può fornire alle famiglie strumenti digitali, aiuti, ma far fronte ai pagamenti delle rette che iniziano a saltare è altra cosa. «Ora c’è l’emergenza sanitaria, ma seguirà quella economica e demografica. In Veneto è atteso nei prossimi anni un calo di nascite del 26 per cento, un quarto di allievi in meno. Il ministro non ritiene che le paritarie siano affare suo, dimenticando che si tratta di scuole pubbliche (che producono valore e sviluppo) e quanto costerà allo Stato il lavarsene le mani. Da qui la domanda: siamo semplici erogatori di didattica? Se la nostra mission è robusta non c’è crisi che tenga, ma a è venuto il momento di chiedersi veramente quale sia e battagliare per difenderla».

Tarcento, media Monsignor Camillo Di Gaspero. “Il don gabbadiavoli”. 

«Mi mancano i bambini, i panini, mi manca Radio Camilla. Io sono un analfabeta digitale, non uso quei marchingegni, le videocose. Non mi connetto, io trasmetto: trasmetto loro il momento iniziale, c’è in nuce tutto». Don Antonio Villa vive seppellito nel cuore del Friuli dal 19 maggio 1976, quando arrivò a Tarcento da Milano per ricostruire un territorio sventrato dal terremoto. E non se ne andò più: cedendo all’implorazione dei sopravvissuti restò ad occuparsi dell’educazione di marmocchi e orfani che gli strattonavano la giacchetta nel freddo bestia che tirava tra tende e cucine degli alpini.

Qui impiantò una scuola che da quarantacinque anni fa il tutto esaurito, la tirò su come Dio comanda, cioè a suon di didattica, pizzini, panini, canti, preghiere, chitarre, baretto autogestito, radio autogestita, e tutte quelle cose di cui i lettori di Tempi hanno sentito molte volte parlare. E ora che i suoi ragazzi sono “al confino” a don Villa preme di salvaguardare il senso di tutto ciò: «In piedi di buon’ora, trasmetto quello che è da 45 anni il “momento iniziale” della scuola. Cioè l’Angelus recitato insieme; poi faccio l’appello e propongo la canzone e se mi vien bene la commento. Una mezz’oretta per far memoria all’inizio del giorno di chi siamo e cosa è la nostra scuola».

Poi c’è anche il resto, ma per don Villa l’inizio è tutto. «Ho ricostruito gli inzi della scuola in Italia e la storia di quell’inciso diabolico – “senza oneri per lo Stato” – che avrebbe impedito ai cattolici di fare i cattolici e i loro sforzi per vedere riconosciuta la libertà educativa».

Don Villa ha vissuto lo sconquasso della terra, va da sé che durante l’avanzata di un virus le cui conseguenze faranno traballare scuole libere come la sua passi le notti sui verbali della commissione costituente, «sono convinto che il diavolo vada gabbato con le sue stesse armi. Cioè facendo leva sul malcontento dell’impiegato statale: riuscissimo a far sì che gli insegnanti possano giuridicamente concepirsi come liberi professionisti invece di timbratori di cartellini giostrati dai sindacati e i presidi come timonieri invece di passacarte, cosa diventerebbe la scuola?».

A questo pensa don Villa, che ha già liberato l’educazione dalle macerie, e a questo, secondo lui, dovrebbero pensare le paritarie tra una “videocosa” e l’altra: «Liberare l’autonomia per servire il popolo in libertà. È nella situazione estrema che le cose, e quindi anche le scuole, rivelano di che pasta sono fatte».

Bologna, Licei Malpighi. «La gratuità del sabato in cucina» 

«Sarà un anno che non dimenticheremo più. Stiamo cambiando insieme ai nostri studenti. Non solo perché siamo stati costretti a inventarci nuove strade per continuare ad insegnare rimanendo in rapporto con loro, ma perché siamo stati obbligati ad andare all’essenziale. Quanto tempo si “spreca” nelle 1.000 ore all’anno di lezione a scuola», spiega Elena Ugolini, preside del glorioso Malpighi, nato come ginnasio nel 1883 e che oggi, tra Bologna, Castel San Pietro Terme e Cento, conta una scuola dell’infanzia, scuole medie, quattro licei e la bellezza di 1.450 studenti.

«In questa “distanza” è emersa potente la necessità di una “vicinanza” capace di riportare in una giornata sospesa tra il divano e la playstation la forza della realtà: la bellezza di una poesia o di un’opera d’arte, la durezza di una formula di chimica, il fascino di una legge fisica capace di spiegare in quattro lettere l’universo intero». 

Due ore l’impegno necessario a un grande prof di matematica per produrre una videolezione di 8 minuti pensata apposta per una “certa” classe, tante quelle dedicate da una docente di italiano a organizzare con uno studente una lezione di cucina alla classe il sabato mattina, «perché dei prof a scuola chiusa dovrebbero stare insieme ai propri alunni anche il sabato mattina? Perché nell’insegnamento esiste qualcosa che ha a che fare con la gratuità».

Qualcosa che al Malpighi ha sempre avuto a che fare con il dna della scuola, basti pensare alla sua storica politica delle borse di studio o al programma realizzato con Fondazione Campari che dà a chiunque la possibilità di frequentare il 4-YearProgramme e andare all’estero senza gravare sulle famiglie.

Il Malpighi non ha mai aspettato lo Stato e Ugolini non capisce l’ipocrisia di chi ora grida allo scandalo perché 900 mila famiglie, pur vivendo le stesse difficoltà di quelle che hanno i figli iscritti alle statali, saranno costrette a pagare le rette della paritaria: «Questo grido allo scandalo dovrebbe levarsi sempre, per ogni ora di scuola pagata da chi sta versando delle tasse per una scuola statale che i figli non frequentano. Un’ingiustizia che dovrebbe essere riparata definitivamente, non solo in questa situazione. È urgente uscirne in modo stabile ma aiutando in modo stabile le famiglie dei 900 mila, attraverso lo strumento del voucher, del credito di imposta o della detraibilità dell’importo della retta».

Milano, galassia La Zolla. «Scavare sotto l’ultima stella» 

«Val la pena che il sole si levi dal mare e la lunga giornata cominci? Se lo chiedeva Pavese ne Lo steddazzu sotto l’ultima stella che resiste, e sulla possibilità che al posto di dormire ci si alzi per un nuovo inizio sta lavorando una nostra terza. Altri ragazzi sono alle prese col deserto di Ungaretti, altri ancora col purgatorio di Dante. Sostenere la domanda e l’urgenza di significato: questo virus ci sta costringendo alla radicalità della proposta educativa, scavare oltre la didattica». Non sarà un anno perso, ne è certo Daniele Gomarasca, coordinatore didattico della Zolla a Milano (scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado) e direttore delle medie nel polo di via Carcano.

Certo, «l’educazione è un corpo a corpo, non basta mettersi davanti a uno schermo per fare o andare a scuola. Serve un’adunata delle urgenze acuite dalla guerra in Ungaretti e in noi sul deserto del marciapiede: per questo alla Zolla la didattica è diventata l’indagine di questo bisogno, la cultura un modo che passa attraverso il mezzo tecnologico per alimentare nel deserto il desiderio che la vita rifiorisca». Un compito ardito, come ardita era quell’idea di scuola libera a cui diedero vita un manipolo di genitori all’inizio degli anni Settanta e che sarebbe diventata un’avventura possibile per migliaia di famiglie.

E all’avventura sono andati i suoi insegnanti, zolla per zolla, appunto, «video, challenge sportive, introduzione a calcoli, immagini e realtà che ogni giorno svegliano, o meglio, risvegliano il bisogno di un senso ardente e spalancato per centinaia di ragazzini». E sulla tenuta delle scuole libere «non ho altra risposta se non l’estremo realismo espresso dal Papa durante la benezione Urbi et Orbi: siamo tutti sulla stessa barca. Auspico sia l’occasione per affidare a molti la possibilità di rispondere all’emergenza fedeli a ciò in cui si crede: questa corrispondenza è decisiva in ambito educativo e quando si tratta dei propri figli. Pensiamo alla straordinaria alleanza tra ospedali pubblici e privati che al netto delle polemiche hanno dettato un nuovo passo, un modello di alleanza che non nasce da utopie ma dall’esperienza concreta».

Milano, Fondazione Grossman. “Non la classe, ma Martina, Giovanni, Pietro”. 

«Qui abbiamo ragazzi di quinta che organizzano chat per aiutarsi nel ripasso, discutono chiavi interpretative, scrivono proposte per la maturità al ministro, attraversano epoche paragonandole all’attualità. Non si può prescindere dalla scuola fatta di banchi, tuttavia ho assistito a un’impressionante crescita della capacità “critica” in tutti i nostri studenti». Raffaella Paggi, rettore delle scuole della Fondazione Grossman (infanzia, primaria, secondaria, liceo classico e liceo scientifico) non sogna un futuro fatto di didattica a distanza ma sa che le sue scuole dimenticheranno l’immersione nell’essenziale che i docenti sono riusciti a raggiungere nelle più disparate discipline, aiutando la lettura del presente.

«L’emergenza ci ha insegnato a valutare i ragazzi in modo diverso, ci ha insegnato a osservarli. Questo grazie anche a loro che hanno iniziato a porci domande dirette sul significato della vita, della morte, costringendoci a una dialettica autentica». Molti i figli impauriti di medici in trincea, o quelli che hanno sofferto lutti in famiglia: «Questo ha messo a nudo anche i docenti che hanno saputo attraverso le loro discipline intercettare ogni domanda. Lavorano il doppio di prima, non fanno più i conti con la classe, ma con Martina, Giovanni, Pietro, il singolo».

La Grossman ha fornito ipad a chi non aveva dotazione digitale (o troppi fratelli con cui doverla condividere), linea internet o giga sufficienti a chi non poteva permetterseli. E si è attivata per accedere al Fis, integrando fino al 100 per cento lo stipendio dei dipendenti, spiega Gerardo Vitali, direttore della Fondazione. «Molti genitori sono a casa a reddito zero e con figli molto piccoli. Noi stiamo facendo del nostro meglio per andare incontro a chi ha fatto esplicita richiesta di una riduzione delle rette, ma la scuola non può diventare l’ammortizzatore sociale delle famiglie. Certamente una volta traguardata l’emergenza ragioneremo caso per caso, rinnovando il patto di solidarietà che ci permette sempre di aiutare chi fa più fatica o è costretto a esborsi consistenti cui lo Stato non sopperisce, come in caso di figli disabili. Ogni anno investiamo in questo aiuto 250 mila euro, frutto della solidarietà delle altre famiglie».

Vitali sa che questo meccanismo rodato verrà presto messo alla prova e allora «chi potrà si metterà una mano sul cuore e chi non potrà chiederà un aiuto: ma questa richiesta sarà sempre condivisa in un rapporto personale, consolidando l’alleanza tra scuola e famiglia». 

* * *

Va detto che nessuna delle scuole sentite da Tempi nelle regioni più colpite dall’emergenza ha aspettato lo Stato per nascere, né creperà aspettandolo. Occorre tenerlo a mente, mentre per “salvare le paritarie” a rischio chiusura (tra costi fissi e richieste di sospensioni e riduzione delle rette) la politica ragiona sulla detraibilità integrale delle rette, l’attivazione di fondi, l’erogazione dei contributi ministeriali, la considerazione del costo standard di sostenibilità per allievo.

Occorre tenere a mente che è da un popolo che ha sentito l’emergenza educativa che sono nate scuole libere. E che non moriranno se anche questo popolo tornerà a farsi sentire.

Foto Ansa

Tags: CoronavirusEducazioneScuolascuoleScuole Paritarietempi aprile 2020
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