«La Cina è governata da un regime sempre più totalitario che usa la tecnologia per spiare i suoi cittadini. Sta compiendo un genocidio contro la sua popolazione musulmana uigura. Fa sparire regolarmente le persone che osano dissentire. E vuole controllare i termini del dibattito, della politica e degli affari in tutto il mondo». Commentando il caso della tennista cinese Peng Shuai, scomparsa dopo avere denunciato sui social un abuso sessuale nei suoi confronti da parte di un ex alto funzionario, Bari Weiss inquadra perfettamente i termini della questione, che non può essere rubriacata – come fa qualcuno – soltanto a un episodio di Me Too cinese: la Cina è un regime che elimina chiunque le si metta contro.
Le amnesie sui diritti umani di chi investe in Cina
«Dopo la scomparsa di medici e scienziati che hanno cercato di denunciare il Covid-19», scrive ancora l’ex giornalista del New York Times e ideatrice della newsletter Common Sense, «il Partito comunista cinese ha ora preso di mira Peng Shuai». Il fatto è noto (nonostante un paio di messaggi “rassicuranti” filtrati dal regime non è chiaro quanto sia effettivamente libera Peng in questo momento) ed è stato raccontato da tutti i media del mondo. Difficile che la notizia non sia arrivata – ironizza Weiss – all’investitore di hedge fund Ray Dalio a Greenwich, nel Connecticut.
«Un ragazzo intelligente, si immagina, a cui affidare la gestione di 150 miliardi di dollari di altre persone, come fa la sua azienda, Bridgewater. Ma quando alla CNBC è stato chiesto a Dalio della situazione dei diritti umani in Cina, paese in cui investe, ha fatto finta di non sapere nulla. “Non posso essere un esperto in questo tipo di cose”, ha detto all’intervistatore. “Davvero non ne ho idea”. Poi ha paragonato il governo cinese a un genitore severo, e ha fatto sfoggio di relativismo morale dicendo che anche gli Stati Uniti fanno cose cattive».
La mossa della WTA per Peng Shuai
L’esempio fatto da Weiss serve a denunciare una situazione nota (di cui Tempi vi aveva già parlato qui) e cioè che sempre più aziende investono in Cina, per via della manodopera a bassissimo costo e per i potenziali alti profitti, chiudendo tutti e due gli occhi di fronte alle violazioni dei diritti da parte del regime e accettando ricatti e censure di Pechino. Con il caso di Peng Shuai, però, stiamo assistendo forse alla prima grande presa di posizione pubblica contro il Partito comunista, ad opera della WTA, l’associazione del circuito tennistico internazionale femminile, che ha deciso di sospendere tutti i suoi tornei in Cina nel 2022 fino a che non verrà fatta chiarezza sulle condizioni di Peng.
Una mossa enorme, per tanti versi inaspettata (in molti sono pronti a parlare di boicottaggio, quasi nessuno lo fa). «Come capo della Women’s Tennis Association, Steve Simon guadagna una frazione di quello che la maggior parte degli amministratori delegati di altre aziende porta a casa, ma ha dimostrato più coraggio in poche settimane rispetto ad altri in decenni», scrive Weiss. Mentre Dalio scantonava sull’argomento Pechino in tv, Simon si diceva dubbioso che Peng «sia libera, al sicuro e non soggetta a censura, coercizione e intimidazione. La WTA è stata chiara su ciò che è necessario qui e ribadiamo la nostra richiesta di un’indagine completa e trasparente, senza censura, sull’accusa di violenza sessuale di Peng Shuai».
Il silenzio di LeBron James e di Wall Street
La decisione ha preso in contropiede molti, a partire dal Comitato olimpico internazionale, che a febbraio deve organizzare a Pechino le Olimpiadi invernali. È «la mossa più coraggiosa in materia di diritti umani che ricordo da parte di qualsiasi organizzazione sportiva», ha detto Winston Lord, ex ambasciatore degli Stati Uniti in Cina, che elogiando la WTA ha definito «codarda» l’NBA che negli scorsi anni è scesa a patti con il Partito per non perdere sostanziose entrate economiche.
«Spero, ma non mi aspetto, che questo passo serva a fare provare vergogna e a galvanizzare altre organizzazioni e imprese a contrastare l’intimidazione economica e la prepotenza politica della Cina», ha detto ancora Lord. Il campione americano di basket LeBron James, sempre in prima fila per i diritti dei neri, non si è esposto sulla Cina e sul caso di Peng, fa notare Bari Weiss, che conclude: «Il tennis femminile ha le palle. Dove sono quelle di LeBron James, Ray Dalio, e degli uomini (e donne!) ai vertici delle grandi aziende americane?». Non si può chiedere allo sport di sostiuirsi alla politica, all’economia e alla finanza. Non troppo a lungo, almeno.