Passa il dl sviluppo alla Camera. Berlusconi: «Follia una crisi al buio» – Rassegna stampa/1

Di Redazione
22 Giugno 2011
Il decreto sviluppo viene approvato alla Camera con 317 sì, 293 no e 2 astenuti. Poi Silvio Berlusconi va al Senato a parlare su invito del capo dello Stato Giorgio Napolitano: «E' interesse degli italiani che il governo completi la legislatura per mantenere i conti in ordine, eviteremo certamente di fare come alcuni paesi europei che si stanno dissanguando»

Ieri alla Camera il decreto sviluppo è passato, con voto di fiducia, con 317 sì contro 293 no e due astenuti. Il governo Berlusconi conquista la maggioranza assoluta a Montecitorio superando anche quota 316. Il decreto passa ora al Senato per essere approvato definitivamente.



Il presidente Silvio Berlusconi ieri, dopo aver votato alla Camera, ha anche parlato in aula al Senato, per le comunicazioni chieste dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, dove ha ribadito la tenuta e gli obiettivi che il governo intende realizzare entro il 2013. “Per tre motivi il governo non può cadere ed è destinato ad arrivare alla fine della legislatura: perché «con Bossi hanno provato a dividerci, non ci sono riusciti e non ci riusciranno mai; perché oggi una crisi politica «sarebbe una sciagura finanziaria»; e infine perché «nelle grandi nazioni occidentali né le opposizioni, né i media, né l’opinione pubblica reclamano dimissioni di capi di governo in seguito a risultati elettorali di medio termine»” (Corriere, p. 3).

«E’ interesse degli italiani – ha continuato Berlusconi – che il governo completi la legislatura per mantenere i conti in ordine e dare garanzie ai mercati, eviteremo certamente di fare come alcuni paesi europei che si stanno dissanguando. Sarebbe folle rimettere tutto in discussione con una crisi al buio, le locuste della speculazione aspettano le prossime prede per colpire».



Tra le misure annunciate, il cambiamento del patto di stabilità interno per le spese che riguardano i Comuni, invocato dalla Lega, la riforma fiscale con tre aliquote e cinque imposte, come annunciato in precedenza da Tremonti, la riforma della giustizia, quella costituzionale e infine il piano per il Sud.



”Ci tiene a precisare, e qui sembra rivolto ai centristi di Casini, che «non voglio per sempre restare a Palazzo Chigi e fare il leader del centrodestra», che l’obiettivo di medio periodo è lasciare «un grande partito ispirato ai principi del Ppe» (…) mentre dichiara che ha sempre «auspicato l’ingresso nella maggioranza delle forze più moderate che si riconoscono nel Ppe. Hanno risposto chiedendo una mia uscita di scena, ma è evidente che sollecitando un suicidio è impossibile un matrimonio»” (Corriere, p. 3).

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