Ieri il tribunale di Lahore, Pakistan, ha condannato a morte Sawan Masih in base alla famigerata legge sulla blasfemia. Sawan, un cittadino cristiano non ancora trentenne e residente nel quartiere Joseph Colony di Lahore, è in carcere dall’anno scorso, quando è stato arrestato con l’accusa, da parte di un amico, di avere insultato il profeta Maometto durante un alterco con lui. Uno dei suoi avvocati difensori, Naeem Shakir, ha raccontato all’agenzia Afp che la sentenza gli è stata letta in galera, e che il prossimo passo del condannato sarà «fare appello all’Alta Corte di Lahore».
LEGGE VERGOGNOSA. Tutti gli organi di stampa sottolineano oggi che comunque in Pakistan vige dal 2008 una moratoria de facto per la pena di morte e che «solo una persona è stata giustiziata da allora». La sottolineatura tuttavia non lascia affatto tranquilli i cristiani, che da sempre protestano contro la legge sulla blasfemia non solo perché prevede reati durissimi per chi offende l’islam (se non è pena di morte, sono comunque anni di carcere o addirittura ergastolo), ma soprattutto perché è spesso utilizzata fraudolentemente contro di loro anche per regolare questioni personali. Senza contare i casi estremi come quello del cittadino britannico malato di mente condannato alla pena capitale nel gennaio scorso per le sue farneticazioni anti-musulmane.
GLI SCONTRI A JOSEPH COLONY. Per altro il caso di Sawan Masih è doppiamente emblematico perché un anno fa – come tempi.it ha raccontato all’epoca in questo articolo – in seguito alle accuse rivolte a lui dall’amico scoppiarono disordini violentissimi Joseph Colony. Più di tremila musulmani infuriati invasero l’insediamento cristiano dando alle fiamme 178 case, una dozzina di negozi e due chiese. Per oltre 400 famiglie cristiane non rimasero che ceneri. Molte altre, terrorizzate, abbandonarono il quartiere. Sawan ha sempre respinto le imputazioni denunciando l’intera vicenda come un complotto volto a svuotare la zona per renderla oggetto di speculazione. Lo ricorda il New York Times con le parole dello stesso condannato: «Hanno escogitato una cospirazione per cacciare i residenti dall’insediamento. Hanno inventato un caso e lo hanno fatto portare in tribunale da una persona a me vicina. Sono innocente».